Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Abitare la solitudine

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In una società dominata dalla contingenza, che muta rapidamente, senza orientamenti, senza identità, l’uomo è destabilizzato da regole in continua evoluzione, è indotto a un isolamento, che è espressione di un disagio culturale, sociale e relazionale e conduce alla totale chiusura di se stessi, fino al disinteresse per il mondo vitale dell’altro.

La nostra dimensione sociale è inaridita, cerchiamo la folla per fuggire dalla solitudine, ed esorcizzare l’angoscia, ma la folla del mondo contemporaneo non rafforza il proprio senso di appartenenza, la propria identità, è impersonale e distante, è la negazione della comunicazione autentica e del relazionarsi. È manifestazione dell’inquietudine e del malessere. Essere in tanti cancella il senso di responsabilità individuale, della distinzione del bene e del male, della consapevolezza della scelta. Non è una comunità in cui l’uomo si rapporta agli altri, ma è spersonalizzata, dove ognuno si rifugia per mimetizzarsi, omologarsi e annullarsi.

Nell’intento di riempire e saturare ogni spazio, si nasconde l’insoddisfazione per l’assenza di comunicazione e di relazioni significative. L’immersione nel sociale rappresenta una fuga dalle proprie frustrazioni. Anche la fretta, peculiarità dell’età moderna, è una fuga dal contatto autentico con noi stessi. Il nostro stile di vita è improntato dalla frenesia spasmodica, dalla velocità, nell’illusione di risparmiare tempo,senza accorgerci che nell’esasperata accelerazione del tempo, la vita ci sfugge. Vittime della frenesia non abbiamo il tempo di guardarci dentro, Nietzsche lo riassume così ” la fretta è universale perché tutti fuggono da sé stessi”. Non è facile  disimparare le nostre abitudini, condensiamo le esperienze nel più breve tempo possibile per fare di più, come se la vita fosse solo una competizione, in cui vince chi porta a termine più cose. La fretta non risponde a cose veramente urgenti, ma è dovuta alle esigenze di uno stile di vita che cerca con ogni mezzo di tenerci distratti, occupati, così, non resta tempo per affrontare i veri problemi, l’essenziale.
Oggi più che mai il silenzio spaventa, viene equiparato a una pausa investigativa della propria coscienza, che non riesce a dare senso alla propria esistenza.
Diversamente dall’isolamento, la solitudine è costitutiva dell’essere umano, è una sua peculiarità positiva,  è la possibilità in un mondo saturo di informazioni, di ritrovare il silenzio dentro la propria anima, e in questo silenzio, si può scoprire la nostra condizione esistenziale, che oscilla tra la finitudine e il desiderio d’infinito. La solitudine si nutre di silenzio, garantisce all’uomo di liberarsi dal soffocamento che la società impone, senza paure e ansie di conferme.

Alcuni bisogni sociali, come quello di comunicare, di contare su un’appartenenza sono universali, perché innati nell’uomo e integranti della sua costituzione. Questi bisogni vengono influenzati, attenuati o amplificati dal contesto culturale, ma soprattutto dalle attese e dalle percezioni personali, riguardanti sia la quantità, sia la qualità delle relazioni che instauriamo con chi ci circonda.In qualunque età e civiltà, l’essere umano ha dovuto confrontarsi con un eterno problema: come raggiungere un’autentica comunione con gli altri. L’unico modo per superare il senso di isolamento e di separazione, senza perdere la propria integrità è di tendere alla solitudine, come  strumento di autopromozione, di crescita interiore e di liberazione da condizionamenti ambientali ed esterni, senza cui l’uomo rischia di dissipare la propria umanità, di pronunciare parole non-pensanti, quindi solo parlate e non-parlanti, come dice Merleau-Ponty. La disponibilità al silenzio e a una certa separazione interiore sono indispensabili per strutturarsi e completarsi, si acuisce così, la capacità di avvertire ciò che non è superficiale, cogliendo il senso del nostro esistere. La ricerca del senso non conosce  interruzione, l’individuo ha sempre la possibilità di accrescere la consapevolezza di sé, come essere in continuo divenire. Ciò che la solitudine rende possibile è quello stato di silenzio interiore, in cui tace il linguaggio affermativo dell’io, in cui avviene un ritiro dal mondo per tenere a distanza le sollecitazioni ambientali, per difendersi dall’ovvio, dal banale e inutile, in favore di un² lasciar essere ²le cose e gli eventi. I filosofi hanno da sempre tracciato una fondamentale differenza tra lo stare da soli e il sentirsi soli. Ne “La  Repubblica”, Socrate celebra il filosofo solitario. Nel mito della caverna, il filosofo fugge dall’oscurità e dalla compagnia degli altri esseri umani, per rifugiarsi nella luminosità del pensiero contemplativo. Solo, ma non isolato, il filosofo è in armonia con il suo sé più profondo e con il mondo. Nella solitudine,  il dialogo dell’anima con sé stessa diventa nobile. Solo ripristinando un dialogo autentico e profondo con noi stessi, possiamo ristabilire un dialogo con gli altri, riscoprendo una nuova strada che conduce alla scoperta di aspetti della propria interiorità, rimasti inesplorati.

Solo a seguito di un dialogo tollerante rispetto ai nostri errori e alle nostre carenze possiamo aprirci al confronto con gli altri in maniera costruttiva, prendendo coscienza della propria fragilità e imperfezioni, è questa consapevolezza di noi stessi, che ci consente di ri-trovarci. La solitudine pone l’individuo in una condizione di completa nudità di fronte a sé stesso e alla propria esistenza.  E’ in questo senso che la solitudine viene considerata una risorsa. L’uomo deve imparare prima a convivere con sé stesso, è essenziale per donarsi poi all’altro, il paradosso risiede nel fatto che per comunicare con l’altro, bisogna ricercare la solitudine e non fuggirla.

Viviamo in un’epoca che cambia a ritmi vertiginosi, in cui si fa sempre più fatica ad adattarsi. Rinunciare all’auto-progettazione significa rinunciare alla libertà, per diventare schiavi di un sistema, che si preoccupa, sostanzialmente, di conservare il proprio potere. In “Fuga dalla libertà”, Fromm spiega che l’uomo moderno si trova in una condizione in cui, gran parte di ciò che egli pensa, consiste in cose che tutti gli altri pensano; non ha acquisito la capacità di pensare originalmente. Si interiorizza il pensiero, come fosse personale. La parte più profonda dell’individuo viene spinta al silenzio per conformarsi. Da qui la necessità di conoscersi e analizzarsi, giungendo alla consapevolezza della propria condizione, senza  ridursi al bisogno del riconoscimento personale, che non deve essere il motore della nostra azione. Fondamentale per questo cambiamento è essere capaci di sviluppare un pensiero critico e potenziare un senso dell’io, tale da permettere di far parte del sistema, senza subirlo. L’uomo alienato,  alla costante ricerca di approvazione, è minacciato nel suo senso dell’io, ma può vincere il senso di alienazione trovando il proprio scopo nella vita, ognuno è quindi, chiamato a scoprire il proprio indipendente senso di sé, il proprio sistema di valori, anziché aderire a norme convenzionali.

In un mondo in cui, il richiamo del raggruppamento rischia di condurre a una progressiva, inesorabile spersonalizzazione di massa, si intravede nella solitudine, così intesa, l’unica possibilità di cui disponga l’uomo moderno, per riappropriarsi e custodire la propria individualità. Il fatto che all’uomo sia data la possibilità di scegliere come vivere la propria esistenza, implica che abbia un valore di unicità, e di questa unicità deve esserne responsabile.

Il cambiamento ha origine dalla conoscenza approfondita di sé stessi. La premessa necessaria per il viaggio volto a conoscere sé stessi è il silenzio, che rende possibile scorgere quanto di più intimo l’uomo custodisce. Il silenzio può richiamare l’uomo contemporaneo a sé stesso, un silenzio scelto consapevolmente, che lo induca a fermarsi.Secondo Heidegger, il silenzio è propedeutico alla comprensione, non ci può essere reciprocità senza silenzio. L’apertura dell’uomo al mondo è la comprensione, ma la comprensione si esplica attraverso due modalità essenziali: l’ascolto e  il silenzio. Avvalorando la parola con un silenzio che accoglie è possibile donarsi reciprocamente agli altri, escludendo ogni chiacchiera inutile, che ne violerebbe gli spazi. Più volte, Heidegger ha sottolineato come il tacere non sia esclusivamente un’assenza di parole, ma quasi un obbligo per garantire un’adeguata comprensione tra gli esseri umani, attribuendo il giusto valore alle parole, a volte logore e superficiali.

Proprio perché oggi, l’autenticità si sta affievolendo è necessario soffermarsi a riflettere sulle condizioni di possibilità comunicative, che dimorano nella dimensione creata dal silenzio; il silenzio come orizzonte di senso, dentro cui accogliere la realtà, il silenzio naturale che rifiuta la banalità, che allontana dal rumore, lesivo della nostra appartenenza al tutto, rumore inteso, come superficialità, come limite allo spazio altrui. Il silenzio esprime la capacità dell’uomo di cogliere il fondamento della realtà, di andare oltre. E’ la relazione in cui ogni essere è sé stesso e ogni altro è accolto in quanto altro. Il silenzio così percepito, non è vuoto, ma pienezza, perché apre l’uomo all’incontro.

“E’ essere ospitati dal silenzio e al contempo ospitarlo in noi “(Mancini, 2002).

Il raccoglimento e l’unità interiore che scaturiscono dal silenzio, vengono assunti come momento fondamentale di apertura e non come ripiegamento dell’io su di sé,apertura nei confronti dell’altro. E’ un io che include, è accogliente. Non il rapimento di un soggetto che si isola, annullando la relazione, ma l’apertura di un orizzonte.

La comunicazione autentica che si genera nel silenzio, non annulla gli altri, crea comunione, senza tornaconto, senza ricompense, e esclusione. Solo chi è sceso in profondità, nella propria solitudine è veramente capace di comunione con gli uomini, senza discriminazioni.

Questo è l’uomo che abita il silenzio e che si lascia abitare dal silenzio. Abitare contiene in sé l’idea di una consuetudine, di una frequentazione, indica l’umanità più intima.

Se non si  arriva a conoscere e accettare la propria solitudine esistenziale, non si può avere una comunione con gli altri, ma una fuga da sé stessi. Il recupero consapevole dei momenti meditativi dell’esistenza, contribuiscono alla maturazione emotiva dell’individuo. In una società, che Pascal definiva ²intrisa di superficialità²,  si propone una riscoperta del valore del silenzio, non solo come strumento per richiamare l’uomo contemporaneo a sé stesso, ma anche, paradossalmente come possibile modalità comunicativa.

La solitudine diventa un luogo sacro, dove far vivere il nostro essere, la zona più segreta della nostra individualità, lo spazio dove nascono e si alimentano le energie creative. Il profondo e vissuto silenzio, come pienezza di vita.

Bibliografia

M. Heidegger, Essere e tempo, a cura di Franco Volpi, Longanesi, Milano 2015

E. Fromm, Fuga dalla libertà, Edizioni di Comunità, Milano 1963.

E. Fromm, L’arte di amare, Mondadori, Milano 1995.

H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2004.

Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Rusconi, Milano 1991.

R. Mancini, Il silenzio, via verso la vita, Qiqajon, Magnano, Biella 2002.

F. Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, Adelphi, 2017.

Z. Bauman, La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000.

J. Selby, Elogio della solitudine. Armenia, Milano 1999.

E. Borgna, L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano 2001.

A. Masullo, L’Arcisenso, dialettica della solitudine, Quodlibet Studio, 2019.

M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, tra.it. Andrea Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1965.

1 thoughts on “Abitare la solitudine

  1. segnalo una piccola svista in questo interessante e suggestivo post: “Ne “La Repubblica”, Socrate celebra il filosofo solitario”.

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