Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Micromeccanica, multiverso e time travel

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>di Giovanni Mazzallo*

Abstract

Le ricerche scientifiche compiute agli inizi del secolo scorso sulla costituzione microscopica della materia e sulle relative particelle componenti hanno portato alla luce una dimensione fisica in cui le usuali leggi meccaniche (che descrivono il comportamento dei corpi nell’ordine macroscopico) vanno necessariamente riviste ed adattate ad una realtà inesplorata che differisce per i fenomeni e per le modalità dei fenomeni che la caratterizzano (e che comportano una sostanziale rivoluzione del rapporto soggetto/oggetto in chiave epistemologica): la meccanica quantistica. La fisica dei quanti fu iniziata da Planck con la scoperta della sua costante (detta anche “quanto d’azione”) stante a fondamento non solo della sua formula che correla energie e frequenze delle radiazioni atomiche discontinue (in relazione alla risoluzione del problema dello spettro elettromagnetico del “corpo nero”), ma anche universalmente di tutti i fenomeni ed oggetti quantistici in generale, e sviluppata fisico-matematicamente da Böhr (col suo modello atomico che tracciava gli stati energetici stazionari degli orbitali elettronici dell’atomo), Heisenberg (con la sua algebra non-commutativa delle matrici hermitiane su spazi vettoriali hilbertiani che permise di disvelare il principio di indeterminatezza (dapprima di “inesattezza”) delle variabili cinematiche (posizione e tempo) e dinamiche (quantità di moto ed energia), in seguito riconcepito da Böhr come principio di incertezza (fondato sulla costante di Planck) che determina la complementarietà del mondo quantistico e del suo studio) e Schrödinger (con la sua meccanica ondulatoria non-classica imperniata sul concetto di funzione d’onda, che si prefiggeva il gravoso compito (mai portato pienamente a termine) di tentare di fornire una rilettura in chiave classica (di continuum spazio-temporale) degli elettroni e delle loro transizioni intra ed extra-atomiche come onde (da cui solo in particolari circostanze sorgono apparenze particellari) e che sarebbe stato opportunamente reinterpretato da Born esclusivamente in ottica probabilistica come calcolo della possibilità di individuare la posizione o la quantità di moto del sistema fisico considerato attraverso il modulo quadro). Il concetto di quanto è associabile sia al concetto di entità microscopica (elettrone, fotone, particelle subatomiche) sia ai rispettivi fenomeni peculiari in cui la costante di Planck è inevitabilmente presente e determina la natura prettamente probabilistica tanto della misurazione da effettuare (nessuna predizione è mai assolutamente certa) quanto della manifestazione fisica che verrà ottenuta (strettamente dipendente dall’apparato misurativo utilizzato, gli apparati di misurazione si diversificano in base alla proprietà (cinematica o dinamica) che si intende quantificare) (Cfr. Arkady Plotnitsky, The principles of quantum theory, from Planck’s quanta to the Higgs boson: the nature of quantum reality and the spirit of Copenhagen, Springer, 2016, pp. 161, 171, 178, 204).

Il celebre esperimento della doppia fenditura rappresenta il paradigma esemplare in base al quale è possibile comprendere appieno l’essenza enigmatica che permea il regno quantico: un fascio di elettroni (o fotoni), che prima può aver attraversato una singola fenditura (senza però alcuna differenza per l’esito dell’esperimento), passa attraverso due fenditure (debitamente distanziate) biforcandosi, i due raggi creatisi interferiscono dopo il passaggio attraverso le due fenditure (si ricostituisce il solo e unico raggio di partenza) e il fascio finale impatta sullo schermo di destinazione (una lastra fotografica di bromuro d’argento). Il risultato (apprezzabile utilizzando almeno 70000 elettroni) è dapprima l’apparizione di impressioni puntiformi (corpuscolari) sullo schermo, in seguito la comparsa di distinti pattern d’interferenza che evidenziano la natura ondulatoria degli elettroni che hanno urtato lo schermo. Gli elettroni hanno pertanto duplice natura (corpuscolare/ondulatoria), cosa che vale anche per la luce i cui quanti particellari (ossia i fotoni teorizzati da Einstein) furono dimostrati definitivamente da Compton (il famoso effetto scattering che regola le interazioni fra radiazioni e materia in virtù dell’intensità di frequenza della radiazione e degli orbitali atomici interessati, con risultati come gli urti elastici, gli urti anelastici, le brevi transizioni elettroniche fra stati stazionari dovute all’assorbimento atomico del fotone col ritorno finale allo stato iniziale di appartenenza e il rilascio dell’energia fotonica, l’effetto fotoelettrico). La meccanica dei quanti si configura dunque come una scienza di stampo brouweriano in cui il principio logico (fondativo del pensiero classico) del tertium non datur trova applicabilità meramente relativa in quanto legata all’ambiente misurativo in cui avviene la descrizione di quanto avviene quantisticamente e che implica la fenomenologia fisica di un certo tratto degli oggetti quantistici a discapito di un altro (che non può avvenire simultaneamente) sia gnoseologicamente (posizione/quantità di moto, energia/tempo) sia ontologicamente (onda/particella). La misurazione di una data proprietà è calcolabile probabilisticamente, ma mai pienamente determinabile sulla base di un’esatta predizione (il ventaglio delle probabilità rimane sempre molto ampio anche in circostanze ideali, così che l’ascrizione quantitativa di un’osservabile ha sempre un discreto margine di imprevedibilità con correlata sospensione del tertium non datur), la reale natura dell’oggetto quantistico (le entità microscopiche) è conoscibile unicamente in modo parziale (particella od onda) e pertanto il tertium non datur si ritrova limitato alla sola porzione di realtà quantistica (di oggetto quantistico) che è dato stimare per mezzo dell’apparato misurativo scelto senza poter comprendere l’entità microscopica nella sua intera struttura. Gli oggetti quantistici rimangono inconoscibili nella loro vera natura e la reale meccanica che ne determina il comportamento nella dimensione microscopica (atomica e sub-atomica) della materia resta un mistero che potrebbe essere dominato o da un determinismo nascosto e apparentemente inaccessibile (diverso da quello della fisica classico-relativistica) o da un sostanziale indeterminismo completamente probabilistico (Cfr. Werner Heisenberg, The physical principles of the quantum theory, Dover Publications Inc., 1949, pp. 4-12).
Come descritto nell’esperimento del microscopio a raggi gamma di Heisenberg (che sfrutta l’effetto Compton), la misurazione della posizione dell’elettrone si accompagna a un’irreversibile perdita d’informazione riguardo alla sua quantità di moto per la legge di correlazione inversa delle distribuzioni di probabilità che concerne le variabili coniugate interessate (la moltiplicazione del loro variare (quindi anche delle probabilità ed errori di calcolo) è maggiore o uguale al quanto d’azione di Planck). Questo perché l’atto per misurare la posizione causa la distruzione dell’interferenza (delle relazioni di fase dello spazio-k in cui è distribuita la quantità di moto) caratterizzante le onde elettroniche nello spazio atomico con la formazione nello spazio-x posizionale di pacchetti d’onda che, urtando contro la parete del microscopio (da cui si evince la posizione originaria dell’elettrone mediante il rapporto fra la lunghezza d’onda e l’angolo di scattering), provocano un collasso della funzione d’onda (riduzione del pacchetto d’onda) rappresentante le probabilità di determinare la posizione dell’elettrone (si realizza una sola delle probabilità). Invece, nell’atto per misurare la quantità di moto (attraverso l’effetto Doppler), la distruzione delle relazioni di fase (nello spazio-x in cui è distribuita la posizione) trasforma la funzione d’onda in un gruppo di pacchetti d’onda che non interferiscono e si sovrappongono portando alla formazione di pacchetti d’onda nello spazio-k della quantità di moto. Una misurazione, pertanto, impedisce l’altra (determinando la posizione si inficia la possibilità di determinare la quantità di moto che viene irreversibilmente modificata, come dimostrato in diversi contesti sperimentali) a causa della natura stessa della realtà quantistica (e degli oggetti che la definiscono) che può essere studiata soltanto in modo indiretto mediante strumenti di misurazione limitati alla circoscrizione di una sola proprietà per volta (cinematica per la coordinazione spazio-temporale, dinamica per la conservazione dell’energia e quantità di moto) e non di ambedue simultaneamente (come avviene in ambito classico-relativistico con la determinazione spazio-temporale causale) alla luce degli ordini di grandezza dimensionale implicati dalla realtà fisica microscopica considerata (per cui è necessario ricorrere a radiazioni interagenti che distruggono l’informatività di una proprietà a favore di un’altra) e dell’impossibilità di definire in modo assoluto (nelle loro grandezze fisiche) entità troppo piccole per poter essere controllate ed esaminate. Il solo livello di realtà a cui la fisica quantistica permette di accedere è quello proprio della gnoseologia; si possono conoscere gli oggetti e i fenomeni quantistici nei limiti in cui questi interagiscono con la struttura quanto-microscopica dell’apparato di misurazione (senza la cui intermediazione nulla si potrebbe dire su di essi) che registra risultati macroscopici che sono tutto ciò che all’osservatore è dato conoscere in merito alla dimensione quantica. Il livello ontologico delle entità quantistiche (irrelato, indipendente dagli apparati misurativi senza cui l’osservatore non può conoscere nulla dei fenomeni quantistici) costituisce un “noumeno” impenetrabile (una “singolarità”, usando un termine caro alla relatività generale einsteiniana per cui l’interno di un buco nero resta un unicum indefinibile nella nuova cosmologia delineata), l’oggetto quantistico in sé (per come si trova nello spazio atomico) è un oggetto di tipo diverso che resta inconoscibile nella sua reale identità (nonostante le diverse speculazioni sul suo essere una commistione di proprietà ondulatorie e corpuscolari derivanti dalle prime) (Cfr. David Bohm, Quantum theory, Dover Publications Inc., 1989, pp. 99-140).
La meccanica dei quanti pone un fermo al processo di oggettivazione (ossia di concepimento, costituzione e determinazione epistemica dell’oggetto della conoscenza) fondante la dinamica gnoseologica stessa poiché tutto ciò che è possibile apprendere riguarda fenomeni riscontrabili solo macroscopicamente e causati da entità microscopiche che non è possibile conoscere direttamente, di modo che l’obiettivo che si pone la fisica quantistica (la conoscenza e descrizione del mondo microscopico della materia, della radiazione e della loro interazione) è raggiungibile soltanto in modo approssimativo ed indiretto (solo nel mondo macroscopico sulla base dell’interazione microscopica fra oggetto quantistico e parte quantistica dello strumento adottato) e non fornisce informazioni fondamentali inerenti alla reale strutturazione del mondo microscopico e delle entità che lo caratterizzano. In meccanica quantistica, l’ontologia microscopica determina la gnoseologia macroscopica senza che si possa apprendere la gnoseologia microscopica perché l’ontologica microscopica è del tutto inaccessibile. Gnoseologia e ontologia, in fisica dei quanti, sono in un rapporto asimmetrico che non li pone sullo stesso piano di investigazione della realtà considerata (quella microscopica), ma è necessariamente confinato alla sola realtà che all’osservatore (macroscopico) è dato apprendere (ossia quella macroscopica). La funzione oggettivante della conoscenza in questo caso coincide strettamente con la funzione soggettivante (non intersoggettivamente valida) della conoscenza in modo drasticamente diverso dalla fisica relativistica einsteiniana. In quest’ultima l’ideale della completa conoscibilità dell’oggetto (classico-relativistico) è ottenibile tramite le equazioni di trasformazione lorentziane che consentono di transitare da un sistema di riferimento a un altro e di sommare i relativi punti di vista per ottenere la conoscenza quanto più totale possibile dell’oggetto esaminato. In meccanica quantistica, tale covarianza misurativa non può essere conseguita perché non solo si può apprendere solamente una sola proprietà per volta dell’oggetto, ma anche le diverse misurazioni effettuate idealmente su uno stesso oggetto in successione non sono correlabili fra di loro in quanto ogni misurazione (anche all’interno dello stesso ambiente misurativo) è un procedimento a se stante che interferisce in modo diverso con le entità quantistiche per via dell’ignota natura imprevedibile di queste stesse (ogni misurazione, pertanto, è un processo individuale, indivisibile e irripetibile che fornisce il suo valore proprio non comparabile con tutti gli altri). Le uniche correlazioni individuabili in meccanica quantistica sono di carattere esclusivamente statistico e si possono ottenere solo con una gran mole di esperimenti effettuati nelle stesse identiche condizioni misurative. In fisica dei quanti è preclusa ogni possibilità di visualizzazione degli oggetti e dei fenomeni interessati poiché questa è data dalla necessità di determinare inequivocabilmente fenomeni e oggetti in ogni circostanza sperimentale (come avviene nel reame macroscopico), cosa che nel caso del reame microscopico quantistico è impossibile data la duplicità ontologico-comportamentale intrinseca alle entità microscopiche (che, nella determinazione della quantità di moto, tendono ad aspetti ondulatori, mentre nella determinazione della posizione ad aspetti particellari). Nella fisica classico-relativistica il rapporto fra soggetto ed oggetto avviene nel pieno rispetto della simmetria onto-epistemica (si conosce in modo inequivocabile e intersoggettivamente valido ciò che c’è), nella fisica dei quanti tale simmetria è infranta perché ciò che c’è (il microscopico) non è conosciuto e si conoscono (di ciò che c’è) solo gli effetti nel macroscopico (dati dal microscopico dell’interazione fra l’entità quantistica analizzata e le entità quantistiche dell’apparato misurativo). La simmetria onto-epistemica quantistica (a differenza di quella classico-relativistica) è dominata dal quanto d’azione planckiano che sancisce la discrepanza fra lo schema interpretativo classico della fisica e la costituzione quantistica ultima della natura (Vd. Jagdish Mehra, The quantum principle: its interpretation and epistemology in Dialectica Volume 27 Issue 2, 1973).
Ciò che accade fra l’effettuazione della misurazione (il raggio incidente del microscopio heisenberghiano) e la lettura del valore ottenuto macroscopicamente nell’apparato di misurazione è un interfenomeno noumenico ben distinto dai fenomeni fisici ordinari perché inconoscibile e (come formulato anche da Böhr) inconcepibile (ossia non rappresentabile mentalmente attraverso modelli scientifici, analogie con la fisica classico-relativistica e raffigurazioni di vario genere). Degli interfenomeni (fenomeni quantistici imperscrutabili) si conosce solo la relativa parte fenomenica (visibile e concepibile per l’osservatore) e ciò solo dopo aver effettuato un’opportuna misurazione. La discrasia intercorrente fra la struttura ontologica quantistica e la diretta accessibilità ad essa fa sì che il solo linguaggio ammissibile per la sua (approssimativa) descrizione (in una sua proprietà) sia quello delle probabilità (facente uso di matrici, operatori, spazi vettoriali e funzioni d’onda) per cui il tertium non datur trova infine la sua definitiva refutazione (almeno in ambito quantistico) nell’ammissione di una nuova logica che si adegua a una dinamica di pensiero rivoluzionaria che trascende gli assodati valori di verità e falsità con l’introduzione di un terzo grado valoriale (tertium datur) aperto nel tempo a ogni possibilità: l’indeterminatezza. Nella fisica classico-relativistica “indeterminato” equivale (tralasciando la meccanica statistica) a “privo di significato” (se applicato ad oggetti di cui è possibile delineare in modo chiaro tutte le proprietà); nella fisica quantistica l’indeterminatezza è il tratto essenziale caratteristico sia della sua gnoseologia (probabilità di trovare il valore esatto od approssimativamente esatto di una data proprietà) sia della sua ontologia (non è dato sapere quale sia la reale conformazione dell’oggetto quantistico). La realizzazione di una delle molteplici probabilità è strettamente vincolata alla natura dell’interazione dell’oggetto quantistico con l’apparato di misurazione; non potendo conoscere l’oggetto, non è possibile conoscere il valore delle sue proprietà antecedente all’effettuazione della misurazione (potrebbe essere qualunque valore), tutto ciò che si conosce è offerto dall’interazione fra oggetto ed apparato (senza che si possa poi effettivamente sapere se la misurazione riguarda una proprietà dell’oggetto o se è stata creata unicamente dall’interazione fra oggetto ed apparato senza riguardare necessariamente l’oggetto). Né dell’oggetto quantistico né delle sue proprietà (come siano e quali siano) è possibile sapere qualcosa (Cfr. Hans Reichenbach, Philosophic foundations of quantum mechanics, University of California Press, 1944, pp. 139-177).
Molte anomalie causali (come notato da Einstein in merito all’impressione puntiformica lasciata dal fascio di elettroni nell’esperimento della doppia fenditura, per la qual cosa verrebbe teoricamente violata la velocità della luce a fondamento della relatività ristretta) avvolgono i fenomeni quantistici. Basti pensare all’ineguaglianza fra il numero di elettroni che passano in due singoli stati separatamente e il numero di elettroni che passano in ambedue gli stati nello stesso arco di tempo oppure all’ineguaglianza fra i pattern d’interferenza ottenuti dalle singole fenditure e il pattern ottenuto da entrambe le fenditure. Tentare di spiegare tali anomalie su basi classiche deterministico-causali comporterebbe una radicale revisione della meccanica classica a vantaggio di una visione prediligente un’azione per contatto (piuttosto che l’azione a distanza) e un’ipotetica equivalenza fra onda e particella (piuttosto che il loro dualismo) che però snaturerebbe enormemente tanto la fisica classica (si ammetterebbero in teoria anche velocità superiori a quella luminale, onda e particella sono due rappresentazioni ontologiche differenti) quanto la fisica quantistica (in cui il dualismo onto-fisico e il carattere di apparente non-località sono sperimentalmente comprovati e non possono essere ricondotti a quanto si analizza e conosce nella disamina della realtà fisica macroscopica). Come queste anomalie (e molte altre) siano possibili (ai confini della realtà conosciuta e vissuta), è una questione destinata a rimanere ancora per lungo tempo aperta ed è denotativa del fatto che l’oggetto quantistico (e i fenomeni da esso derivanti) è davvero un oggetto di tipo diverso retto da meccaniche sconosciute e non direttamente visualizzabile per via della sua natura sfuggente che mostra solo aspetti complementari di sé (in base allo strumento misurativo adoperato) e nulla di sé nella sua reale natura impenetrabile nello spazio atomico-quantistico e influenzata (nelle sue eventuali proprietà) dall’interazione con gli apparati di misurazione. L’unica causalità concessa in ambito quantistico è rappresentata dai trend statistici delle misurazioni effettuate (gli expectation catalogues di impronta frequentista stratificati), è quindi una causalità fondata sostanzialmente sulla probabilità e circoscritta al solo ambito gnoseologico-macroscopico (causato dall’ambito ontologico-microscopico inaccessibile). L’incertezza domina la micromeccanica (Cfr. David Lindley, Uncertainty: Einstein, Heisenberg, Böhr, and the struggle for the soul of science, Anchor Books, edizione Kindle, 2008, pp. 253-274).
L’illustre esperimento mentale EPR (Einstein-Podolsky-Rosen) ha provato a mettere in evidenza come la meccanica quantistica possa non essere la disciplina più adatta a trattare gli interfenomeni di cui l’osservatore può scrutare unicamente la controparte fenomenica macroscopica (il fenomeno, osservabile dall’interfenomeno, è l’insieme dell’oggetto quantistico e dell’apparato misurativo, che rientra necessariamente di diritto nella costituzione del fenomeno osservabile in riferimento all’oggetto quantistico producente gli interfenomeni in virtù della sua interazione con l’apparato misurativo). Questo perché, date due particelle che hanno interagito per un lasso di tempo sufficiente e che sono state distanziate, misurando una proprietà su una particella sarebbe possibile misurare la stessa proprietà anche sulla seconda particella ottenendo informazioni anche sulla proprietà complementare attraverso la correlazione fra le due particelle (quindi, effettuando la misurazione su una particella, si effettua la misurazione anche sulla seconda particella giacché si troverebbero in stato di entanglement quantistico con trasmissione di azione (ossia misurazione) a distanza), perciò la meccanica dei quanti sarebbe completa, ma allo stesso tempo non-locale (cosa non prevista dalla fisica tradizionale). Invece, qualora ciò non avvenisse, la meccanica quantistica sarebbe locale (come la fisica classico-relativistica), ma incompleta (dato che resisterebbe pur sempre il principio di indeterminazione per proprietà coniugate). Ma, come dimostrato ampiamente da Böhr, la completezza della fisica dei quanti risiede proprio nel suo essere fondata sul quanto d’azione di Planck (da cui discende il principio d’incertezza) senza cui non si potrebbe dare una spiegazione esaustiva (nel dominio macroscopico da cui non si può prescindere per natura) degli interfenomeni e oggetti quantistici (compresi nella loro peculiare natura proprio grazie alla costante planckiana). Essendo possibile interagire (attraverso l’apparato misurativo) con una sola particella della coppia, la conoscenza che si ottiene riguarda quella sola particella (tutta la conoscenza quantistica è data esclusivamente dall’interazione) e riguardo alla trasmissione di un’ipotetica azione a distanza è più corretto riferirsi ad essa in termini di “predizione a distanza” (l’ontologicità fisica dello stato di entanglement quantistico è ancora materia di forte disputa e necessita di essere opportunamente sondata ed approfondita). A differenza della tradizionale fisica classico-relativistica, la fisica quantistica prevede l’impiego di una sfumatura diversa del concetto di “realtà” in quanto lo stato dei sistemi fisici è studiabile solo se è possibile interagire con essi (non è possibile analizzarli lasciandoli indisturbati, come avviene nella fisica macroscopica). Lo spazio-tempo, nella meccanica quantistica, non è più (solo) lo sfondo matriciale dei fenomeni fisici, ma (dato che non è concesso conoscerlo nel suo essere discontinuo e discreto nel livello del microscopico) viene parametrizzato (questa è la sua sola funzione nell’analisi ineludibilmente macroscopica dei fenomeni e oggetti quantistici) per la coordinazione spazio-temporale (misurazione della posizione) e lo studio della dinamica (misurazione di energia e momentum) di sistemi quantistici debitamente interagenti con gli apparati di misurazione (Cfr. Arthur Fine, The shaky game: Einstein, realism and the quantum theory, The University of Chicago Press, 1986, pp. 26-39).
Il panorama che si dispiega nella fisica quantistica presenta uno scenario totalmente nuovo che dà una prospettiva sulla materialità (ossia sulla materia nei suoi costituenti ultimi e sulla realtà fisica generale in cui la materia è correlata all’energia) che non offre punti di riferimento da cui poter sviluppare una visione d’insieme onnicomprensiva che dia un senso a tutte le anomalie riscontrate e sappia spiegare in che modo la visualizzazione corpuscolare sia legata a quella ondulatoria, quale sia la linea di confine che separa la meccanica quanto-relativistica (cui diede avvio l’equazione relativistica dell’elettrone di Dirac da cui sorsero le odierne teoria quantistica dei campi, elettrodinamica quantistica e cromodinamica quantistica) da formulazioni quanto-meccaniche (che si addentrano anche nei meandri della gravità cosmica) in cui si trascende il limite relativistico e come sarebbe possibile appurare realmente la realtà interfenomenica e noumenica degli oggetti quantistici (se ciò potrà mai essere effettivamente realizzato). La meccanica quantistica delinea un quadro generale della realtà fisica che rivoluziona drasticamente i normali concetti canonici di “spazio”, “tempo”, “sostanza”, “causalità”, rendendo necessario il ricorso a modelli geometrico-matematici astratti in base ai quali dare un’opportuna rappresentazione dello stato dei sistemi fisici quantistici dopo che questi sono stati appositamente allestiti in assetto di misurazione (tramite i vari apparati scelti in base alla proprietà che si desidera osservare) così da poter poi procedere con l’effettuazione della misurazione e, sulla base dei valori ottenuti, poter darne rappresentazione grafica ed effettuare gli inevitabili calcoli probabilistici. La sostanza (insegna la fisica quantistica) non equivale più al monismo oggettuale deterministico (una sola natura dell’oggetto considerato) a cui il pensiero filosofico-scientifico classico è sempre stato abituato, ma è piuttosto un dualismo oggettuale probabilistico (scoperto nel dominio microscopico) su cui si fonda il monismo oggettuale deterministico macroscopico (il fondarsi gnoseo-ontologico della causalità sulla probabilità, dal tertium datur microscopico al tertium non datur macroscopico) (Cfr. Werner Heisenberg, Physics and philosophy: the revolution in the modern science, George Allen & Unwin Ltd., 1971, pp. 161-176).
Nell’interpretazione everettiana della meccanica quantistica, il tertium non datur assume un suo statuto ontologico indipendente giacché la misurazione e la lettura (quindi consapevolezza e memorizzazione) della misurazione (per cui la funzione d’onda complessiva terrebbe conto tanto dell’oggetto quantistico (e della sua interazione con l’apparato misurativo) quanto dell’osservatore) determina la formazione di un unico punto di vista (quindi di un’unica percezione) della e sulla realtà fisica data dal fatto che l’osservatore si accorge di quanto registrato sulla parte macroscopica dell’apparato misurativo (che ha interagito micro-quantisticamente con l’oggetto) e la sua mente (che si applica alla lettura del valore ottenuto) diventa a tutti gli effetti parte integrante dello spaccato di realtà macroscopica creata dalla fondamentale interazione quantistica fra apparato e oggetto (dal microscopico sorge il macroscopico) registrata sullo stesso apparato (potendo ottenere, dal microscopico, valori macroscopici diversi si ottengono potenzialmente spaccati di realtà ordinaria diversi, così che, paradossalmente, osservando il mondo si crea il mondo (tesi fortemente rigettata da Einstein)). Gli alternativi spaccati di realtà non realizzatisi al termine della misurazione non esistono in attualità (esistono solo logico-potenzialmente, quindi sono inesistenti nell’unica realtà fisica attuale) e configurano, in tale concezione della fisica quantistica, un potenziale multiverso (almeno sul piano gnoseologico, dato che nella realtà si realizza un solo universo) costituito da infiniti universi paralleli all’interno dello stesso universo di fondo (ossia dalla ramificazione di diversi punti di vista all’interno dello stesso universo in cui si effettua la misurazione) che suggerisce una potente intuizione in relazione al legame esistente fra l’essere e il conoscere (imprescindibilmente legata al reame quantistico da cui tutto ha origine). Nell’interpretazione di DeWitt, l’ontologizzazione del tertium non datur di ogni possibile eventualità fisico-universale (che in Everett si arrestava al solo livello logico-potenziale e gnoseologico) diventa completa e comporta non il mero determinarsi della realtà fisica esistente come esito infine realizzatosi fra altre infinite alternative destinate a rimanere potenziali e non attualmente esistenti, bensì il continuo ed infinito crearsi di universi paralleli (il multiverso gnoseologico everettiano diventa ontologico ed attualmente esistente in DeWitt) così che nessuna possibilità rimane allo stato potenziale e tutte si realizzano indistintamente (l’indeterminatezza potenziale si attualizza all’infinito nello spazio-tempo di fondo) (Cfr. David Bohm & Basil J. Hiley, The undivided universe: an ontological interpretation of quantum theory, Routledge, London and New York, 1993, pp. 296-319).
Sulla base delle teorie di un probabile multiverso quantistico sarebbe possibile in teoria concepire anche la tesi dei viaggi nel tempo (con le relative macchine del tempo) per cui si potrebbe viaggiare nel passato, modificarlo e non avere alcuna conseguenza nel tempo presente (che è stato lasciato per viaggiare nel passato) in quanto il viaggio nel tempo passato avverrebbe all’interno di un universo parallelo che, dopo l’eventuale modificazione arrecata, proseguirebbe col suo corso spazio-temporale parallelo a quello della linea spazio-temporale che è stata lasciata e che non viene minimamente influenzata dall’universo parallelo in cui è avvenuta la modificazione del passato. Pertanto, ogni singolo istante infinitesimale della realtà spazio-temporale vissuta si rivelerebbe suddivisibile in infiniti universi paralleli alternativi in cui sarebbe possibile viaggiare ed apportare modifiche in modo pienamente consistente, dato che sono universi paralleli distinti da quello di propria appartenenza da cui si è partiti. L’autoconsistenza del time travel sarebbe dunque garantita dalla tesi del multiverso quantistico che consentirebbe il ritorno ad un attimo preciso del passato biforcatosi (anche per cambiamenti fisici così insignificanti da deviare solo di un infinitesimo del tutto trascurabile dalla realtà passata già esperita) da quello già vissuto. Il mondo quantistico darebbe quindi letteralmente vita al regno delle infinite possibilità che concederebbe non solo di viaggiare indifferentemente nel passato (collocandosi in tal modo nella linea spazio-temporale di un universo parallelo alternativo), ma anche (teoricamente) di poter viaggiare anche nel futuro: se il futuro (nel dominio classico-relativistico) è dato dal presentificarsi di una probabilità futura che (in virtù di fattori di probabilità sempre più stringenti) assume col tempo valori di potenzialità di realizzazione gradualmente sempre più alti fino a divenire certezza (non appena diventa presente, non appena pertanto il tempo futuro diventa tempo presente e si realizza una delle infinite probabilità micro-quantistiche da cui discende la realtà macroscopica), allora è possibile ipotizzare che si possa viaggiare in una delle infinite eventualità future che potrebbe venire ad essere (ossia diventare tempo presente) e che, una volta non realizzatasi, diventa un universo parallelo alternativo nel passato (che, dunque, scaturirebbe dal suo essere stato universo parallelo alternativo nel futuro in cui era possibile viaggiare prima che non si realizzasse nel presente divenendo, quindi, universo parallelo alternativo nel passato) (Vd. David Deutsch & Michael Lockwood, The quantum physics of time travel in Scientific American Volume 270 No. 3, 1994).
Naturalmente sono solo supposizioni che hanno carattere più “fanta” che ”scientifico” (si posseggono solo modelli matematici astratti non comprovabili della reale struttura quantistica dello spazio-tempo). Ciononostante, è ben chiaro che la fisica quantistica rappresenta il portale trascendentale che può davvero condurre la conoscenza umana ai confini della realtà (e oltre).

Bibliografia

  • Hans Reichenbach, Philosophic foundations of quantum mechanics, University of California Press, 1944

  • Werner Heisenberg, The physical principles of the quantum theory, Dover Publications Inc., 1949

  • Werner Heisenberg, Physics and philosophy: the revolution in the modern science, George Allen & Unwin Ltd., 1971

  • Jagdish Mehra, “The quantum principle: its interpretation and epistemology” in «Dialectica», Volume 27 Issue 2, 1973

  • Arthur Fine, The shaky game: Einstein, realism and the quantum theory, The University of Chicago Press, 1986

  • David Bohm, Quantum theory, Dover Publications Inc., 1989

  • David Bohm, Basil J. Hiley, The undivided universe: an ontological interpretation of quantum theory, Routledge, London and New York, 1993

  • David Deutsch, Michael Lockwood, “The quantum physics of time travel” in «Scientific American», Volume 270 No. 3, 1994

  • David Lindley, Uncertainty: Einstein, Heisenberg, Böhr, and the struggle for the soul of science, Anchor Books, edizione Kindle, 2008

  • Arkady Plotnitsky, The principles of quantum theory, from Planck’s quanta to the Higgs boson: the nature of quantum reality and the spirit of Copenhagen, Springer, 2016

 

*Giovanni Mazzallo, laureato magistrale all’Università di Catania in Filosofia della scienza e laureato magistrale alla Scuola Superiore di Catania in Filosofia della fisica. Si occupa di filosofia della scienza, logica, filosofia della fisica e storia-critica-filosofia del cinema.

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