Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Dal controllo del corpo al controllo della mente. L’avvento della psicopolitica

5 commenti

>di Francesca Quaratino*

ABSTRACT

La psicopolitica (Han, 2016), forma di potere contemporanea, non è comparsa ex abrupto nel XXI secolo, bensì si potrebbe definire come il risultato della trasformazione del precedente sistema biopolitico (R. Esposito, 2004). Affinché risultino chiari gli strumenti di controllo scelti dalla psicopolitica occorre compiere un salto indietro e avvalersi di alcune categorie della biopolitica, interpretate ed elaborate per la prima volta in modo genealogico e sistematico dal filosofo Michel Foucault.

Michel Foucault è interessato alla ricostruzione delle strutture utilizzate dallo Stato moderno e della loro capacità di disciplinare i corpi.
La biopolitica è una risposta a un mutamento sociale ed economico: da una dimensione di sovranità «verticale» (Pellegrino, 2013), rappresentata da un potere distruttivo (punizioni pubbliche, pena di morte), si arriva ad una dimensione di sovranità «orizzontale» (Ivi) che si esercita attraverso l’uso di istituzioni (scuola, ospedali, carceri). Per mettere in atto il nuovo potere è necessario che il potere subisca una netta trasformazione, bisogna ricostruire e reimpostare l’intero sistema di controllo; per addomesticare il corpo si ricorre ad un mezzo più efficace: eliminare il «grande spettacolo della punizione fisica» (Foucault, 2014) e introdurre il dispositivo Panottico (vedere senza essere visti):

Senza dubbio la pena non è più incentrata sul supplizio (…) ma un castigo come lavori forzati o perfino come la prigione – pura privazione della libertà – non ha mai funzionato senza un certo supplemento di punizione che concerne proprio il corpo stesso: razionamento alimentare, privazione sessuale, percosse, celle di isolamento. (Ivi, p.18)

Foucault prende in prestito da Jeremy Bentham (Bentham, 1997) il modello del penitenziario, che si ispira proprio all’idea di un posto che lascia vedere tutto e in cui il corpo può essere facilmente addomesticato e controllato, per meglio dire assoggettato:

Coercizione ininterrotta, costante, che veglia sui processi dell’attività piuttosto che sul suo risultato e si esercita secondo una codificazione che suddivide in rigidi settori il tempo, lo spazio i movimenti. Metodi che permettono il controllo minuzioso delle operazioni del corpo, che assicurano l’assoggettamento costante delle sue forze ed impongono loro un rapporto di docilità-utilità: è questo ciò che possiamo chiamare «le discipline». (Foucault, 2014, p. 149)

La pena inflitta è l’organizzazione corporea, un’opera persuasiva e non più una sofferente tribolazione; è l’uomo stesso a ponderare le sue azioni e seguire le regole, lo fa spontaneamente per timore di essere punito. Organizzare lo spazio e il tempo di un corpo è lo strumento elettivo per il potere coercitivo-disciplinare:

Prende forma allora una politica di coercizione che sono un lavoro sul corpo, una manipolazione calcolata dei suoi elementi, dei suoi gesti, dei suoi comportamenti. Il corpo umano entra in un ingranaggio di potere che lo fruga, lo disarticola e lo ricompone. (Ivi p.150) […] Lo spazio disciplinare tende a dividersi in altrettante particelle quanti sono i corpi o gli elementi da ripartire. Bisogna annullare gli effetti delle ripartizioni indecise, la scomparsa incontrollata degli individui, la loro diffusa circolazione, la loro coagulazione inutilizzabile e pericolosa; tattica antidiserzione, antivagabondaggio, antiagglomerazione. Si tratta di stabilire le presenze e le assenze, di sapere dove e come ritrovare gli individui, di instaurare le comunicazioni utili, d’interrompere le altre, di potere in ogni istante sorvegliare la condotta di ciascuno, apprezzarla, sanzionarla, misurare le qualità o i meriti. Procedura dunque, dunque, per conoscere, padroneggiare, utilizzare. La disciplina organizza uno spazio analitico. (Ivi, pp. 155-156)

Tutto deve essere sottoposto ad un rigido controllo, bisogna stabilire ogni minuziosa relazione uomo-spazio, nulla può essere lasciato al caso e nulla può essere arbitrario. Secondo questa teoria della “disposizione” è di vitale importanza tentare di sciogliere ogni tipo di unione pericolosa, conoscere la condotta degli individui è una condizione imprescindibile per attuare eventuali premi o punizioni, così facendo il soggetto saprà regolare il proprio comportamento, consapevole delle conseguenze cui andrà incontro.
All’elemento della disciplina, intesa come mezzo scelto dal potere per poter rendere l’individuo docile e gestibile, è correlato un secondo elemento, che rinforza il potere coercitivo-disciplinare e lo qualifica come un sistema funzionale, la norma. Per poter rendere al meglio la funzione dalla norma, ci affidiamo alla descrizione foucaultiana:

Appare attraverso le discipline, il potere della Norma. […] il Normale, si instaura come principio di coercizione nell’insegnamento con l’introduzione di un ’educazione standardizzata e con l’organizzazione di scuole normali […] Da una parte il potere di normalizzazione costringe all’omogeneità, ma dall’altra individualizza permettendo di misurare gli scarti, di determinare i livelli, di fissare le specialità e di rendere le differenze utili, adattando le une alle altre. Si comprende come il potere della norma funzioni facilmente all’interno di un sistema di uguaglianza formale, poiché all’interno di una omogeneità che è regola, esso introduce, come imperativo utile e risultato di una misurazione, tutto lo spettro delle differenze individuali. (Ivi, pp. 201-202)

Norma come vademecum di un buon comportamento e modello da dover seguire per essere premiati, essa è il “manuale” del buon soggetto: spiegate le regole, la vita diventa un gioco di regole formali e di spazi delimitati, spetta solo all’uomo decidere se incorrere in sanzioni od ottenere trofei. Si sviluppa così il processo di “normalizzazione” che si instaura nella società con l’obiettivo di assoggettare il corpo e far agire l’individuo seguendo quelli che sono definiti i “giusti comportamenti”, ognuno deve perseguire un modello di normalità, colui il quale dovesse scegliere, volontariamente o involontariamente, di non seguire tali principi, dovrà essere estromesso dalla società. Il potere moderno non consente la libera espressione corporea, ma propone una categorica schematizzazione dello spazio corporeo, privato di ogni istinto spontaneo e creativo. Il biopotere è potere sulla vita, è una presenza negativa (poiché riduce e limita la libertà) ed è visibile. Questo breve excursus consente di cogliere le differenze con un’altra forma di esercizio del potere: la psicopolitica, che contraddistingue e soggioga il nostro tempo. Essa si presenta come un potere idiosincratico alla negatività. Han nel saggio Psicopolitica (2016) analizza come le istituzioni del potere disciplinare siano state sostituite dalla rete e dalla società post-mediale- risultato del regime neoliberale. Fonda il suo edificio sulla psiche umana, considerando quest’ultima come una vera e propria forza produttiva. Dal corpo alla mente:

la tecnica disciplinare passa dalla sfera corporea a quella mentale […] La biopolitica è la tecnica di governo della società disciplinare. Essa, però, non è affatto adeguata al regime neoliberale, che sfrutta soprattutto la psiche. (Han, 2016, pp. 30-31)

La psiche è il nuovo soggetto da controllare e da plasmare attraverso una politica congeniale alla nuova società, dove obbligo e costrizioni esplicite perdono validità e il potere diventa “positivo” e indulgente:

Proprio là dove non viene tematizzato il potere è indiscusso; più silenziosamente agisce. Esso accade, senza bisogno di segnalarsi in modo clamoroso. […] Il potere non necessariamente esclude, proibisce o censura. E non si contrappone alla libertà: può persino usarla. […] Oggi il potere assume sempre più una forma permissiva. Nella sua permissività, anzi nella sua benevolenza, depone la negatività e si offre come libertà. […] Il potere intelligente, benevolo non opera frontalmente contro la volontà dei soggetti sottomessi, ma la guida secondo il proprio profitto. Esso è più affermativo che negativo, più seduttivo che repressivo. (Ivi, pp. 23-24)

Questa forma persuasiva di potere ha un’efficienza maggiore sull’individuo, il quale non trovandosi dinanzi obblighi da rispettare e regole da seguire, crede di poter agire in piena libertà e, volontariamente, si espone e si sottomette al «rapporto di dominio» (Ivi, p. 25). La forza del potere intelligente consiste nella capacità di far assoggettare l’uomo senza alcun tipo di costrizione: egli anzi collabora all’esercizio del potere e lo fortifica; i soggetti, sottomessi alla credenza di essere liberi si trasformano in una macchina produttiva che si alimenta attraverso l’auto-sfruttamento. Essere invisibile e dare un’immagine magnanima e permissiva è la strategia vincente della psicopolitica che costruisce un panottico digitale gestito dall’uomo stesso, in ciò consiste l’autosfruttamento. Inseriamo e pubblichiamo dati, condividiamo pensieri, desideri e paure che diventano elementi produttivi; il corpo non deve essere sorvegliato e gestito da un potere che impone la propria presenza: lo farà la psiche modellata dal potere positivo. Questo clima di illusoria anomia è ciò che rende possibile lo sviluppo di una società tecnologica, incurante e inconsapevole di essere sfruttata e monitorata. Così la tecnologia si trasforma in un’arma a doppio taglio: se da un lato si presenta come uno spazio di libertà assoluta, dall’altro, di fatto, realizza un sistema di “ipersorveglianza” e “iperassoggettamento”.

Conclusioni

Difficile riconoscere il condizionamento che il cyberspazio esercita sulle nostre scelte fino a condurci all’autosfruttamento; in ciò consiste la rivoluzione della politica neoliberale: collocare un computer al centro di una stanza priva di telecamere e dare, a colui che lo utilizza, il merito di installarle senza alcun condizionamento esterno. Il potere positivo è rappresentato iconicamente da Han dalla figura del serpente, il potere negativo è invece dipinto come una talpa: il primo simbolo di apertura e astuzia che compiace il soggetto, non ha bisogno di mostrarsi, sfrutta l’idea di libertà e la rende un’apparenza, invita allo scambio di dati per potersene appropriare, utilizza la volontà quale risorsa da guidare e non da sopprimere; il secondo è simbolo di percorsi stabiliti, utilizza la forza, mette in atto un regime repressivo, si mostra, fa della libertà un ostacolo e censura la comunicazione tra le parti. Il passaggio potere negativo – potere positivo è riconducibile alla trasformazione socio-politica del XXI secolo, il capitalismo, la presenza del web e dell’ibridazione hanno contributo al progressivo annientamento della volontà umana e all’irradiazione del potere-mediale che diversamente dal panottico foucaultiano, c’è ma non si vede. La differenza sostanziale si riscontra nel mezzo di controllo: abbandonato lo sfruttamento del corpo, si passa allo sfruttamento della mente. Prende il sopravvento l’era dell’inganno e della forma, il potere governa da ogni parte, senza necessità di intervenire “materialmente”.

È tutto apparentemente nelle mani di ciascuno.

Bibliografia

J. Bentham, Panopticon ovvero la casa d’ispezione, Marsilio, Padova, 1997

R. Esposito, Bios, Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino, 2004

M. Foucault, Sorvegliare e Punire, Einaudi, Torino, 2014

B. C. Han, Psicopolitica, Nottetempo, Roma, 2016

G. Pellegrino, Il potere di Foucault in Bentham. Frammenti di un confronto, in “Lo Sguardo” Rivista filosofica. n. 13, 2013 (III)

*Francesca Quaratino, nasce a Potenza in Basilicata il 3/01/1994. Conseguita Laurea Magistrale in Scienze filosofiche e della Comunicazione, col massimo dei voti, presso l’Università degli Studi della Basilicata con una tesi in Antropologia Filosofica dal titolo La Dissoluzione dell’Io nella Società Digitale, attualmente si occupa di Filosofia dell’Intelligenza Artificiale e Filosofia dell’Informazione.

5 thoughts on “Dal controllo del corpo al controllo della mente. L’avvento della psicopolitica

  1. Il testo è di interesse anche ( non solo, ma anche) sociologico. C’è da chiedersi però se sia corretto parlare di AVVENTO della psicopolitica ( di ritorno, si insinua memori storicamente) o non piuttosto di ritorno della coscienza che esista come strumento di ottenimento dati, digitali e non. Il centro ermenuetico più recente sembra essere Han, mentre Bentham offre radici storiche più lunghe, ma fa regredire il dibattito in senso più oggettivista, meno formale.

    Silvia Goi

    • Avvento inteso come come “comparsa”. La psicopolitica giunge attraverso i social, il web, i big data e, per tale motivo, seguendo l’interpretazione elaborata dal filosofo coreano, possiamo parlare di un “nuovo fenomeno”. Tuttavia il tema del controllo non è neofita, ma è l’accezione data che lo rende interessante.

      • Qualsiasi studio della contemporaneità in senso fenomenologico difficilmente può prescindere dalla valutazione della nostra immersione nativa nella realtà virtuale o della presenza del paleo-cyberspazio. E’ ovvio che l’impatto non produce lo stesso effetto psicosociale su di un nativo digitale, immerso pienamente – e chi ha riempito schermate di numeri verdi, insensati, da Matrix, per pre-avviare un programma che sembrava lo schermo sul mondo. Questo secondo penserà in modo paleo, reimmettendo però il suo filo esistenziale nello schermo collettivo. Almeno così mi pare di riscontrare sulla lunga distanza, avendo contatto interno e scolastico con la virtualità, con tutti i limiti e le espansioni di questa dimensione, mediata per definizione.

        Silvia Goi

  2. “Difficile riconoscere il condizionamento che il cyberspazio esercita sulle nostre scelte fino a condurci all’autosfruttamento”.
    Molto difficile, in effetti. Come fa la redattrice dell’articolo a riconoscerlo? Come possiamo essere certi che non si tratta di un caso di paranoia, individuale o collettiva?

    • La lettura offerta è molto interessante. I limiti e gli ambiti del cyberspazio sono ancora da definire, tuttavia, la sfera digitale è in grado, molto spesso, di influenzare le nostre azioni e i nostri pensieri. Potrebbe essere definita una “paranoia“, certamente.
      La nuova dimensione ontologica è fortemente digitalizzata: così come l’ambiente esterno condiziona i nostri comportamenti, anche l’ambiente digitale (nuovo spazio in cui esistiamo) potrebbe farlo.

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