> di Bruna, Stefania Massari*
Abstract: Current Theology expresses the need to resume research on Hegelian thought. A central problem of theological thought, especially in the catholic sphere, is, today, being able to overcome the gap between faith and reason, religion and culture, church and world. The last Ecumenical council became a interpreter of this problem, while Hegel has made of it the central theme of his philosophy, in which the religious moment is indispensable, in the triadic process of the dynamism of conscience, noting, at its time, but at the same moment, that is necessary, to incarnate authentically the knowledge, moreover, a critical and free thought. The authors who have ventured on Hegel by preconizing a new Christology, such as Rahner, Küng, Brito, Chapelle, von Balthassar, and Coda have experienced the inexhaustible hermeneutic value and significance of the entire Hegelian system, to increase the understanding of the theological and christological categories, and in order to raise awareness of one’s own profession of faith, or to incarnate an ethics. It becomes central so the discourse on the “heart” of Hegelian philosophy, that is, the Thing (Die Sache), which, beyond any immanentistic reductionism of many hegelian hermeneutics, remains, thanks also to the help of the studies of Gramsci, Gadamer, Adorno and Fink, Key concept to be able to problematize again the most important issues, not only within the life of faith, but also to increase understanding and improve the hermeneutic of the whole history of philosophy, starting from the greatest works of the ancient world and of classicism, or making of it a hermeneutic capable of thinking.
Key-word: Theological studies, Hegelian thought, Hermeneutic capable of thinking, Christology
Sommario: La Teologia contemporanea esprime l’esigenza di riprendere la ricerca sul pensiero hegeliano. Un problema centrale del pensiero teologico, soprattutto in ambito cattolico, è, oggi, riuscire a superare il divario tra fede e ragione, religione e cultura, chiesa e mondo. L’ultimo Concilio ecumenico si è fatto interprete di questo problema (cfr. GS 54) mentre Hegel ne ha fatto tema centrale della sua filosofia, nella quale il momento religioso, nel processo triadico del dinamismo della coscienza, è imprescindibile, e rilevando, al suo tempo, e nel contempo, quanto sia necessario, per incarnare autenticamente il sapere, oltre al momento religioso, un pensiero critico e libero. Gli autori che si sono cimentati su Hegel preconizzando una nuova cristologia, come Rahner, Küng, Brito, Chapelle, von Balthassar e Coda hanno sperimentato l’inesauribile valenza ermeneutica e di significato dell’intero sistema hegeliano, per aumentare la comprensione delle categorie teologiche e cristologiche, e al fine di aumentare la consapevolezza della propria stessa professione di fede, ovvero per incarnarne un’etica. Diventa centrale così il discorso sul “cuore” della filosofia hegeliana, ovvero la Cosa (die Sache), rimane, grazie anche all’ausilio degli studi di Gramsci, Gadamer, Adorno e Fink, concetto-chiave per poter rimettere a problema le questioni più importanti, non solo all’interno della vita di fede, ma in relazione a tutta la storia della filosofia, a partire dalle più grandi opere del mondo antico e della classicità, ovvero di farne una ermeneutica pensante.
Parole chiave: Studi teologici, Pensiero hegeliano, Ermeneutica pensante, Cristologia.
4. Il mysterium. Gli interpreti e l’attualizzazione: T.W. Adorno.
Ma l’esigenza prioritaria appare nella speculazione hegeliana, e ciò avviene anche nell’interpretazione platonica di Hegel, quella di una “piena disvelazione” di quel mysterium, che un tempo, secondo Hegel, era confinato e chiuso in una “religione” o in una narrazione “mitica” di cui egli non aveva compreso la valenza in quanto suscitasse invece domande, tranne che nei suoi anni giovanili, a partire dalla struttura simbolica dell’espressione (mythos – muto), e ritenendo che a sua volta fosse chiusa al pensiero e alla sua libertà, e, se chiusa al pensiero e alla sua libera cogitazione, chiusa al suo risolversi in prassi e all’autenticità dell’esperienza. Il bisogno della piena disvelazione infatti non è altro che bisogno che esso (il mistero) potesse essere realizzato come testimonianza, assumendo la configurazione di Concetto, o di Necessità – ideale (cfr. La Vorrede alla prima edizione dell’Enciclopedia filosofica in compendio, trad. di Vincenzo Cicero, Ed. Bompiani. p. 71: Soll Altes erneut werden, d.i. eine alte Gestaltung, denn der Gehalt selbst ist ewig jung, so ist die Gestaltung der Idee etwa, wie sie ihr Plato und viel tiefer Aristoteles gegeben, der Erinnerung unendlich würdiger. [Se qualcosa d’antico dev’essere rinnovato, se cioè bisogna rinnovare una figurazione antica – non il contenuto, in quanto esso è eternamente giovane -, allora l’Idea nella figurazione conferitale da Platone e, più profondamente, da Aristotele, è infinitamente la più degna di essere rammemorata]). Theodor Wisengrund Adorno scrive il suo saggio critico su Hegel nel 1963. Egli cita, nella premessa a tale saggio, il 125° anniversario della morte di questi, ovvero il 1956, come un momento nella storia della sua interpretazione, che avrebbe potuto fornire l’occasione, non tanto di domandare, come aveva fatto già Croce, che cosa si potesse discernere di vivo o di morto in esso, quanto di chiedere che senso potesse avere il presente di fronte a Hegel. Ovvero, egli pensava che fosse arrivato il momento di interrogare intorno a una possibile attualizzazione dei temi hegeliani (cfr. Theodor W. Adorno, Drei Studien zu Hegel, Frankfurt am Mein, Suhrkamp Verlag, 1963. Trad. di Franco Serra, Id., Tre studi su Hegel, Il Mulino, Bologna 2014, p. 33). Ritengo che questa domanda debba essere la guida della presente riflessione: Che senso ha dunque il nostro presente dinanzi a Hegel? Adorno, a partire dalla celebrazione di tale anniversario, individuava la necessità, non tanto di “criticare l’intero in quanto intero” e come categoria hegeliana, ma di cominciare a volgersi a quello stesso intero al quale tale autore un tempo si rivolse. Ovvero, egli riteneva che fosse arrivato il momento di cominciare a pensarlo. Un intero in cui, per Hegel, trova spazio sia l’idealismo sia le contraddizioni della società borghese del suo tempo, e sia, ancora, il soggetto e sia l’oggetto, rendendo impossibili i dogmi e gli estremismi del pensiero (gli apriorismi statici e le ottusa empirie – cfr. Ibidem, p. 35). Un intero, ancora, in cui la Religione si concilia con il pensiero. Adorno, raffrontando l’intero hegeliano con la nozione di esso afferente alla teoria della Gestalt, rispetto alla quale vale il motto che il tutto valga più delle sue parti, presenta il dinamismo dell’intero hegeliano come quel “circuito dell’immanenza” in una cognizione di soggetto assoluto in cui si “estingue ogni forma di opposizione tra una coscienza datrice di senso e la materia grezza verso cui essa si volge”. Personalmente ritengo che quest’ultima asserzione denoti una certa contraddizione con la domanda che Adorno riteneva che fosse la più essenziale. Noi, infatti, partiamo dalla premessa che l’intero di cui si parla non sia inteso in senso astratto, ma che esso sia animato da quello Spirito che ne è dispiegamento universale e concreto. E affermiamo con Hegel che tale Spirito sia quel “Venerdì Santo speculativo” che diventa, come emblema teologico, il cuore del suo sistema, cosicché non possiamo non riferirci a un senso intrinsecamente risolutorio della sua dialettica (come i comandi evangelici che il Cristo desidera che siano messi in pratica) e che tale soluzione, che ciascun momento sintetico delle sue infinite triadi richiama, non può non indicare un’ etica oggettiva, intesa nel senso dei greci della classicità. Naturalmente, non stiamo parlando della bella eticità della filosofia hegeliana della storia, considerata un momento che dovesse risolversi in una coscienza infelice, per la dissoluzione della soggettività, ma la prefigurazione della polis, della città dell’uomo. Come possiamo affermare che il cuore del cristianesimo stia nella sua pratica di vita, incarnazione della sua etica, nella quale essenziale è fare esperienza del Cristo e incarnare, eticamente, una sua testimonianza. Hegel riferendosi ai suoi tempi afferma: «In realtà, l’inizio della formazione e dell’emancipazione dall’immediatezza della vita sostanziale non potrà che consistere sempre in ciò; nel conseguire nozioni di principi e punti di vista universali, nel farsi strada con ciò verso il pensiero della Cosa in generale per poterla poi sostenere o confutare con fondatezza, nel coglierne la pienezza ricca e concreta secondo modalità determinate, e, infine, nel saper e trasmettere un resoconto adeguato e un giudizio rigoroso», cfr. G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, op. cit., Vorrede, p.53). Perseguire la Cosa è, per Hegel, perseguire il sapere reale, ovvero prefigurare “il sistema scientifico della verità”, l’unico sistema possibile (sistema perché uno, grecamente omogeneo), relativo all’unica possibile Cosa, perché essa è il cuore del processo del sapere, e dunque senza di essa, se la si aggira, o, invece di occuparsi della Cosa, la si oltrepassa, non ci si sta impegnando realmente in ciò che è vero, e dunque in ciò che va perseguito, come compito essenziale. Tale impegno è analogo al compito di fare la verità evangelica o di esaudire al comando dell’amore, mettendolo in pratica. Se quell’”intero come risultato” non è costituito da quell’etica oggettiva ed essa non è precompresa in ogni sua parte come progetto necessario e imprescindibile, se esso non trasuda assolutezza, ovvero libertà come desiderio da perseguirsi e realizzarsi, precipitiamo nel regno della morte, nella futilità, siamo, in metafora, nella Geenna evangelica dei dintorni di Gerusalemme. A un lettore delle opere hegeliane sembra dunque di avere a che fare con quel Dio onnipresente di memoria cristiana, là dove il tutto a Esso inerente debba considerarsi hegelianamente “dalla parte dell’uomo”, poiché la filosofia hegeliana comincia con la prote philosophia, il cominciamento della filosofia è l’autentica speculazione: la teologia razionale. Hegel è in ciò profondamente aristotelico.
5. Cristologia e staurologia
Ma Hegel è per questo, intrinsecamente, cristologico e “staurologico”, la sua è una teologia razionale della Croce. A partire da un Dio che reca in sé il negativo dell’offrentesi, del rinunciante. Così come il suo Dio evoca il cuore del misticismo ebraico, lo tzim tzum (צמצום), il ritraentesi (cfr. Glenn Alexander Magee, Hegel e la tradizione ermetica. Le radici “occulte” dell’idealismo contemporaneo, Ed. Mediterranee, 2013). Egli dà spazio e lo ottiene autenticamene. È il paradosso dell’amore dantesco, che è paragonato a quel raggio che si rifrange su corpo lucido. Tanto più è rifratto tanto maggiore sarà la luce (cfr. Purgatorio XV: Che là sù è, così corre ad amore/com’ a lucido corpo raggio vene./Tanto si dà quanto trova d’ardore;/sì che, quantunque carità si stende,/cresce sovr’ essa l’etterno valore./E quanta gente più là sù s’intende,/più v’è da bene amare, e più vi s’ama,/e come specchio l’uno a l’altro rende). Così il Dio onnipresente dell’immanenza razionale, tanto più si è offerto attraverso la mediazione del sillogismo razionale, tanto più è presente nei differenti momenti della speculazione. Quel negativo è il trascendente. Ciò che è indicibile, esaurientemente, a livello razionale, è dicibile nello spazio del giudizio e dell’analogia di quel negativo (teologico-negativo) prefigurato idealmente, come misura ideale e che si volge al sovraessenziale, luogo dell’intuizione. Cosa distinta, ma Cosa, anche, assolutamente, essa stessa, è la teologia rivelata, di cui Hegel parla “velatamente”. Di essa trapela qualcosa dalla sua biografia principale e dal suo epistolario. “Esprimere la vita di Dio e la conoscenza divina come un gioco d’amore con se stesso”, come amor dei intellectualis di stampo spinoziano, non significa certamente fare un atto di usurpazione del divino nell’umano, ma voler recuperare il concetto teologico dello Spirito che permea tutto il creato, facendone oggetto di pensiero e di etica oggettiva (cfr.W. F. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, op. cit., p. 68: Das Leben Gottes und das göttliche Erkennen mag also wohl als ein Spielen der Liebe mit sich selbst ausgesprochen werden […]). Nel libro della Genesi, nel primo racconto della creazione, vi è uno Spirito di Dio che aleggia sulle acque, covandole come fa una colomba con i suoi piccoli (cfr. Bibbia Ebraica, a c. di Rav Dario Disegni, Pentateuco e Haftaroth, Giuntina, Firenze 1998, p. 6, Bereshit: la traduzione del versetto 3 [Lo spirito di Dio si librava sulle acque] viene assimilata nella radice ebraica a un volo leggerissimo di una madre che sfiora appena i suoi piccoli nel nido). La parola e lo Spirito sono le due mani di Dio nell’atto del creare, cosicché lo Spirito (l’ebraico ruach e il greco pneûma), come soffio permea tutta la creazione (cfr. Piero Coda, Dio che dice amore. Lezioni di Teologia, Città Nuova Editrice, Roma 2007, pp. 106-107 e Ireneo di Lione, Adversus hereses, Libri IV e V). Ma l’espressione del divino in Hegel, attraverso la “metafisica” staurologica, ha una valenza ulteriore. Hegel si muove tra la metafisica del suo tempo (intesa in senso totalizzante) e il senso secolaristico della modernità. Questo lo mostra già negli scritti giovanili. La crocifissione e morte del divino va reinterpretata teologicamente e filosoficamente. Esso è concetto cristologico ben noto alla speculazione teologica cristiana. Ma dal punto di vista filosofico, rappresenta l’opposizione nei canoni dell’immediatezza, della cristologia, dissimulando un suo presunto connubio con la metafisica (totalizzante e dualistico – cfr. Emil Brito, La mort de Dieu selon Hegel. L’interprétation d’Eberhard Jųngel, Revue Théologique de Louvain, Année 1986, pp. 293-308). Ma è plausibile interpretare Hegel in via anche storico-genetica? Ritengo, con Eugen Fink che non costituisca forzatura ermeneutica utilizzare determinati filosofemi per interpretarne altri (anche finendo con l’interpretare Hegel con Hegel, (il primo Hegel con il secondo, con un terzo, etc. ) altrimenti ci rapporteremmo alla storia della filosofia in modo niccianamente antiquario. È forse passato definitivamente il pensiero antico? Se così fosse dovremmo con necessaria cautela preoccuparci di dissezionare fino all’inverosimile una specie di corpo morto. O invece è, finkianamente, tanto poco passato quanto presente è il nostro vivo filosofare? Fink continua esprimendo la sua diffidenza verso quel “contegno dossografico” che mette “tra parentesi” le prese di posizione personali, prediligendo un caos di molte opinioni discordanti (Eugen Fink cita il Goethe de Il divano occidentale-orientale, a proposito delle domande che l’interprete storico-filosofico deve porsi prima di avvicinarsi al testo. Cfr. Id., Le domande fondamentali della filosofia antica, a c. di Adriano Ardovino, trad. di Simona Bertolini, Donzelli Editore, Roma 2013, p.13: Quale motivo ci spinge ora a rivolgere indietro lo sguardo? È un interesse culturale, un pellegrinaggio riverente verso le tombe dei nostri antenati spirituali? Vogliamo farci una ragione di «tremila anni», per non vivere «ignoranti, al buio,/ di giorno in giorno»? E ibidem, p. 14: La dossografia è la presunzione dell’intelletto comune di voler dire nel suo linguaggio ciò che intende la filosofia, dunque di poter portare a espressione quel pensiero in cui proprio l’intelletto umano comune va a fondo. Il contegno esistenziale che vi si trova a fondamento e stato da noi caratterizzato – prendendo spunto da Nietzsche – come «istoria antiquaria»). Se ci riferiamo allo Hegel del Leben Jesu, possiamo decifrare forse con maggior precisione quel lessico filosofico e religioso che ha caratterizzare lo stuttgartense considerandolo, dal punto di vista del suo pensiero, nella sua globalità. Il Cristo hegeliano è considerato scandagliando in profondità la pienezza della sua Umanità. Cristo non è meno Uomo di quanto non sia Dio. Egli è integralmente uomo nella misura in cui indica quale debba essere il pleroma del pensiero sul divino e sulla morale. Kant era credente, ma riguardo al pensiero sul divino si ferma alle antinomie della Ragion pura. La morale kantiana, sebbene riconosciuta come fatto incontestabile della Ragione, rimane ancora allo stadio immediato della mera teoresi. Egli non indica quell’integrazione del sentimento tale da garantire un’autentica metanoia cristiana. Non fornisce il lessico adeguato a prefigurare una Sinnersänderung, ovvero un’educazione sentimentale dell’uomo, senza la quale utilizzando il lessico paolino, saremmo ancora sotto l’imperio di una legge esteriore, moralistica (cfr. Rm 13,10: […] Pieno compimento della legge è l’amore). E l’uomo risulterebbe diviso tra morale e sentimento. Metanoia è dunque platonicamente “integrazione” dell’intelligenza, attraverso un cambiamento a livello noetico, che riguardi la meta e l’archè, come accade nel Mito della caverna. Essa deve attuarsi come una schilleriana educazione estetica e sentimentale. Ed essere in grado di suscitare e persuadere a tale estetica e a tale sentimento (cfr. Hegel, Vita di Gesù, a c. di Antimo Negri, Editori Laterza, Bari 2014, p. XIV).
6. Interporeti e l’attualizzazione. Rahner, Kung, Brito, Bruaire, Coda.
Rahner e Küng si confrontano con il pensiero hegeliano, attraverso i canoni della teologia dell’Incarnazione e della storicità di Dio, Emil Brito, nei canoni della teologia della croce e Claude Bruaire, nell’Assoluto aperto alla positività delle determinazioni, come il “Vivente” (cfr. Xavier Tilliette, La Théologie philosophique de Claude Bruaire, in Gregorianum, Vol. 74, No. 4 (1993), pp. 689: “Il s’agit d’affirmer l’Absolu, or l’Absolu affirmé doir être affirmatif; c’est ruiner ou reprendre l’affirmation que d’éloigner l’Absolu, de le rendre inaccessible, ce qui est una manier de le nier”). Per Küng il dogma dell’Incarnazione non è solo una questione ecclesiologica o inerente a una specifica Chiesa, ma è problema della filosofia in toto, essa è stata oggetto di meditazione da parte di atei e religiosi perché il farsi uomo di Dio disvela il divenire uomo dell’uomo. Küng interpreta Hegel alla luce della cristologia della sua epoca in relazione alla storia stessa del pensiero cristologico. Sin dal Concilio calcedonese, la meditazione inerente alla questione del rapporto fra le due nature di Cristo (difisismo) permea il mondo del pensiero talvolta con la maggiore considerazione dell’una rispetto all’altra. L’illuminismo consegue all’esaltazione cristologica dell’aspetto divino rispetto all’umano dell’epoca barocca, giungendo a una eccessiva razionalizzazione. Riforma e Rinascimento si erano volti contro la sintesi di epoca medievale tra natura e grazia (e tra religione cristiana e filosofia greca) di ordine meramente teologico, dopo che tale epoca stessa le aveva eccessivamente distinte, ma senza che essi riuscissero a elaborare una sufficiente cristologia (o dunque facendo trionfare il puro elemento cristiano o la pura filosofia). Ma l’illuminismo non era stato integralmente ateo. Lo sguardo di Küng sull’ illuminismo è capace di riconoscere lo xynon, il “comune” di quest’epoca con il cristianesimo al di là della strumentalizzazione di esso, in voga anche fra i moderni, in chiave totalmente anti-cristiana. Hegel fiorisce a partire dalla sillogizzazione romantica dell’epoca dei lumi. Egli, educato in ambito cristiano, da liceale è illuminista, là dove era possibile che vi fossero luterani credenti che aderissero in toto all’illuminismo. Da studente di teologia sperimenta la scissione tra uomo e Dio, sia nell’ortodossia del Seminario che nella filosofia kantiana. Küng vede una critica hegeliana al cristianesimo storico, oltre il quale emerge a mano a mano una sempre maggiore considerazione ed esigenza di una cristologia, maturata proprio a partire dall’amore per la grecità. Se la fede in Cristo non conduce all’uomo e all’etica, al vivere umano della città dell’uomo, rispecchia la morte del divino oltre che dell’umano, a partire dalla meditazione sulla crocifissione stessa del Cristo. Küng rimane nella perplessità circa la mancanza di chiarezza, a suo parere, sull’idea di religione che avrebbe originato le differenti interpretazioni della sinistra e della destra hegeliana, ma occorrerebbe andare oltre la “chiusura sistematica”, mantenendo le sue posizioni fondamentali, e la sua cristologia va a suo parere ripresa, non sentendosi ostacolati dalle radici greche della cristologia tradizionale, che a mio parere, inoltre, vanno assolutamente valorizzate (cfr. Sofia Vanni Rovighi, Hegel e il cristianesimo in un libro recente di H. Küng, in Rivista di Filosofia Neo-scolastica, Vol. 64, No. 1 – Gennaio-Marzo 1972, pp. 76-84. La Rovighi si riferisce al testo di Hans Küng: Ìd, Einführung in Hegels theologisches Denken ale Prolegomena su einer künftigen Christologie, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1970). Piero Coda, descrivendo l’uso delle categorie hegeliane dal punto di vista del pensiero della teologia della rivelazione e della teologia razionale, parla dell’evidenziarsi di una lotta corpo a corpo tra la rivelazione e il mondo speculativo, là dove, la rivelazione, anche hegelianamente, nello spazio del negativo della dialettica, esprimerebbe invece, proprio in quanto Dio (come Alterità) che rivela, in quanto Assoluto trinitario, quella donatività fontale e quella libertà sorgiva che non possono non rappresentare (in via di necessità ideale) il fondamento del conoscere e del filosofare stesso (analogamente all’incondizionato kantiano e all’ab-solutus hegeliano) ed evidenziare ovvero che quella rivelazione abbia a che fare con l’archè e il telos del mondo speculativo e dunque che fede e ragione possano dirsi senza dubbio l’una complemento dell’altra (cfr. FeR 93: “Lo scopo fondamentale a cui mira la teologia consiste nel presentare l’intelligenza della Rivelazione ed il contenuto della fede. Il vero centro della sua riflessione sarà, pertanto, la contemplazione del mistero stesso del Dio Uno e Trino. A questi si accede riflettendo sul mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio: sul suo farsi uomo e sul conseguente suo andare incontro alla passione e alla morte, mistero che sfocerà nella sua gloriosa risurrezione e ascensione alla destra del Padre, da dove invierà lo Spirito di verità a costituire e ad animare la sua Chiesa. Impegno primario della teologia, in questo orizzonte, diventa l’intelligenza della kenosi di Dio, vero grande mistero per la mente umana, alla quale appare insostenibile che la sofferenza e la morte possano esprimere l’amore che si dona senza nulla chiedere in cambio. In questa prospettiva si impone come esigenza di fondo ed urgente una attenta analisi dei testi: in primo luogo, dei testi scritturistici, poi di quelli in cui si esprime la viva Tradizione della Chiesa. A questo riguardo si propongono oggi alcuni problemi, solo parzialmente nuovi, la cui coerente soluzione non potrà essere trovata prescindendo dall’apporto della filosofia”. Cfr. Piero Coda, Il negativo e la Trinità. Ipotesi su Hegel, op. cit. p. 25). Il Dio hegeliano si dà formaliter, sulla stregua del Dio fichtiano, nella coscienza, come metron ideale, nella kenosi. «Lo Spirito assoluto è l’idea che si autoconosce in modo assoluto». Se intrapresa, quell’ idea conduce alla conoscenza dell’essenziale di ciò che l’umano può discettare sul divino, ovvero a quegli attributi che riguardano anche l’uomo. Una misura spirituale, concettuale. Autocoscienza dell’essenzialità di ciò che è spirituale, della primarietà dello Spirito, come “misura nostra” in senso paolino come descritto nella lettera ai tessalonicesi («Dio è Dio, solo in quanto sa se stesso; il suo sapere se è la sua autocoscienza nell’uomo e il sapere che l’uomo ha di Dio. Esso progredisce con il sapersi dell’uomo in Dio». Cfr. G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle Scienze filosofiche in compendio – 1830, cura, introduzione, traduzione e apparati di Vincenzo Cicero, Bompiani, Milano 2017, p. 911). Fine assoluto della ragione è che la libertà sia più reale possibile, che quel Dio, donatosi come misura divina sia inverato il più possibile. Dimodoché la comunità e l’eticità che per Hegel rappresentano l’inveramento ideale della misura divina (l’idea per sé, come Dio reale), sia proprio quel processo di autocoscienza all’interno dello Spirito assoluto (analogamente alla consapevolezza del Dio in San Paolo quando cita il poeta Arato in Atti 17,28 – poiché in Lui siamo, viviamo ed esistiamo), una idea interiorizzata a livello di autocoscienza e autoconoscenza, come meta ideale, idea pensabile e realizzabile come bene comune possibile in cui la libertà nella comunità, come concetto (ovvero come istituzione possibile e reale) sia libertà dall’individualismo del perseguire solo il proprio e se stessi. In ciò consterebbe tutta l’attualità del pensiero hegeliano. In conclusione, la religione, hegelianamente, non prelude all’interno della speculazione a una sua scomparsa, come momento del sillogismo, proprio in quanto essa è apertura rappresentativa, devozionale e meditativa alla risolutività del libero pensiero. Essa non è neanche gramscianamente, storicismo immanentistico assoluto, altrimenti non potrebbe porre una progettualità ideale, che la scrivente ha definito “teologia razionale catafatica”, e che pur esige imprescindibilmente la rivelazione di un Dio a modo di “dono”, ma esige anche idealmente di risolversi in progetto etico. La Cosa (die Sache) è l’indice infatti della funzione prassistica della filosofia hegeliana. Ma tale funzione non significa esaurire il momento del sillogismo nella mera determinazione (omnis determinatio est negatio), come la storia della filosofia non è una mera attestazione dei pensieri dei filosofi, in una successione di confutazioni progressive. Essa è il luogo della vita e del “Vivente”. È il luogo della Filosofia della storia, in una “ermeneutica dell’integrazione”, nel suo senso gadameriano, ponendosi i filosofi come termini viventi della trasmissione del pensiero, nella storia stessa, attraverso il susseguirsi delle generazioni. Essa è dunque attualizzazione e dialogo continuo con i filosofi e i temi del filosofare. Dunque la teologia ha bisogno di recuperare questa sua implicita funzione di consentire una umanizzazione. I teologi dell’attualizzazione della tradizione teologica e filosofica guardano infatti a Hegel proprio perché viva espressione del recupero di quella cristologia che possa consentire di riavvicinare finalmente il linguaggio religioso alla vita concreta.
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- Bibbia Ebraica, a c. di Rav Dario Disegni, Pentateuco e Haftaroth, Giuntina, Firenze 1998.
- Ireneo di Lione, Adversus hereses, Libri IV e V.
*Bruna, Stefania Massari è nata a Bari, il 20 novembre, 1968. Si è laureata in Scienze Politiche, nel 1998, presso l’Università degli studi “Aldo Moro” di Bari. Ha conseguito il Perfezionamento in Criminologia generale e penitenziaria, nell’anno accademico 1998-1999, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’ Università degli studi “Aldo Moro” di Bari. Si è abilitata all’insegnamento delle materie giuridico-economiche nel 2002. Ha conseguito una Laurea in Scienze Religiose, nel 2003, presso l’ ISSR – Facoltà Teologica Pugliese. Dal 2007 insegna Religione Cattolica, nelle scuole secondarie di primo grado. Nel 2011 si è consacrata in forma privata, nelle mani di un frate francescano, per vivere laicamente l’essenza dei consigli evangelici. È cultrice delle discipline storico-filosofiche e filosofico-storiche. Pubblicazioni: Stefania Massari, La 75a primavera di un fiore, Incontro con il meridionalista Vittore Fiore, Pensiero e Arte, Anno XLIX – N. 1/4-1995. Stefania Massari, Mauro Picinni Leopardi alla “Quadreria Den Hertog” e Antoni Clavé a “La Panchetta”, Pensiero e Arte, Anno XLIX – N. 1/4-1995, Bruna, Stefania Massari, “Il tempo in Kant. Il rifiorire del pensiero. L’idealismo e la filosofia kantiana”, in Filosofia e nuovi sentieri/ISSN 2282-5711, 6 ottobre 2019. Bruna, Stefania Massari, “Abraham Joshua Heschel, Passione di verità. Un libro Iduna a cura di Luca Siniscalco”, in Filosofia e nuovi sentieri/ISSN 2282-5711, 9 ottobre 2019.
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