Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

I quattro sensi delle guise. Per una ‘cultura delle modalità’

Lascia un commento

> di Giuseppe Brescia*

Si procede, in questo saggio, dai “quattro sensi delle scritture” in Dante (letterale, allegorico, morale e anagogico o spirituale), come esposti nel Convivio e nella lettera a Cangrande della Scala, ai “quattro sensi delle guise” in Vico, dalla metodica letteraria delle scritture (‘Mondo 3’ della Cultura) alla metodica moderna delle ‘modalità’. In effetti, il senso del percorso critico si concentra nella prolusione vichiana del 1710, De Antiquissima: «Sapere vuol dire infatti possedere la guisa o la forma in cui una cosa avviene: mentre si ha soltanto coscienza di quelle cose delle quali non possiamo dimostrare la guisa o la forma in cui avvengono».

Allora, le “guise” vanno intese in “quattro modi”.

I) Esse sono anzitutto, vichianamente, le “modalità”, les manières, debitrici verso il noto assioma della Scienza Nuova seconda (Libro I, sez. II, par. 147 ed. Nicolini ), che recita: «Natura di cose altro non è che nascimento di esse in certi tempi e con certe guise, le quali, sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose».

II) Pure, in una seconda accezione, esse guise sono, altresì, le “modificazioni della mente umana” (come lo stesso filosofo definisce in tanti luoghi della propria opera di Altvater, o ‘Patriarca’, – spiegò il Goethe). Il che porse poi il destro a Croce, per trattarle – e partitamente ragionarle – come le “quattro forme dello spirito umano”, nel sistema di “Filosofia dello spirito”, con tutti gli interni svolgimenti e gli approfondimenti necessari. Nella prima accezione, le “guise”, o “modalità”, trattengono un valore “liquido”; mentre, nel secondo caso, finiscono per strutturare un aspetto di “formazioni solide”, peculiarità dello storicismo o della filosofia dei valori del pensiero europeo, a cavaliere fra Otto e Novecento (ove ricorrono gli itinerari di Dilthey e Windelband, Herbart e Antonio Labriola, prima o a fianco dello stesso Croce ).

III) In una terza “interpretazione”, o “fatticità” ermeneutica, le guise sono anche – e di necessità – “modi categoriali”, “forme del passaggio”, “princìpi regolativi” e non solo “costitutivi” della coscienza, dal momento che la filosofia dei valori non può non porsi il problema della relazione, per non addursi a “filosofia delle quattro parole” (giusta la critica gentiliana a Croce) né alla “divisione del mondo in quattro spicchi” (per la Satura filosofico-poetica di Eugenio Montale). Codesta accezione non è la stessa della prima specie, dal momento che impegna il ripensamento del “passaggio”, nelle e tra le forme dello spirito umano, avvalorando la categoria del “tempo”. Ora, tale categoria, sussunta sia alle espressioni del “sentimento” che alle proprietà della “memoria”, è anche detta “colpo d’occhio” e “giudizio percettivo” nella specie della “simultaneità”, oppure si dispiega come ambivalenza di “latenza” e “risveglio”, sotto forma trascendentale di “successione” e di “permanenza”, con recupero di classica tradizione, da Aristotele a Kant. In tale acquisto risiede il mio lavoro ermeneutico, dagli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo in poi. Questa lettura “dinamica” e “qualitativa”, investigata nelle  funzioni specifiche delle attività dello spirito umano, non c’è, né ci sarebbe potuta essere, nella prima formulazione vichiana.

IV) Tutto ciò ancora non basta, dal momento che, all’altezza dell’aggravamento delle crisi etico-politiche, occorre ripensare un’altra forma che direi “la guisa delle guise”, vero “soprasenso”, che è poi il “buon senso”, ovvero il “giudizio”, lo jus dicere (ricorrente in Kant e Luigi Scaravelli, Carlo Antoni o Raffaello Franchini, per tacer d’altri). Tale ulteriore accezione è postulata, alla luce del carattere di “ideale contemporaneità della storia”, dalla necessità di “fermare il declino delle nazioni” e “riavviare il ricorso”. Dove ritorna l’apporto filosofico di James Joyce, a ottant’anni dalla prima edizione del suo capolavoro ermeneutico universale, che è Finnegans Wake (4 maggio 1939), in quanto speciale interprete e prosecutore del Vico. Joyce vede molto in profondità nelle possibilità del “Ricorso” (come è detto il Libro IV della “Veglia”), anche se certo non possiede ancora la maestria ermeneutica di Alain Pons, a proposito della Pratica di questa Nuova Scienza. «Déja, en 1725, Vico avait assigné à sa Science une valeur ‘diagnostique’, dans la mesure où elle permettrait, selon lui, de reconnaitre à quel stade de son cours se trouve une nation par rapport à son ‘acmé’, et d’agir en connaissance de cause. Là il insiste sur le stade final de la dissolution des nations. Il ne reconnait les causes dans l’oubli de tous le ‘principes’ sur les quels les nations se sont fondées et se sont conservées, la religion, la famille, la morale. Il faut donc lutter pour restaurer le sens commun perdu» (Cfr. la Présentation du traducteur a La Science Nounelle, “L’Esprit de la Cité”, Fayard, Paris 2001, p. XXIII). Connettiamo, per ciò, l’ermeneutica filosofica con l’apporto pluriprospettico di Joyce nella indagine sulle “guise della prudenza”, con speciale riguardo ai casi di “lesa modalità”, che non sono poi altro che gli errori commessi entro la “religione della Libertà”.

Otteniamo, allora, osando saggiare la “filosofia della storia”, come dei nuovi assiomi.

I) È quando si sommano due o più opposti errori, che si forma e sviluppa il “declino delle nazioni”.

II) Ogni Weltanschauung, o sistema economico-sociale, sembra aver ragione, nel rilevare e poi contestare i limiti ed errori dell’opposto ed alternativo (es.: ‘liberismo’ ‘Statalismo’, e viceversa).

III) Più si estende il diritto ‘civile’, più si limita il diritto ‘penale’, e viceversa (es.: la lezione di Giovanni Bovio, il  filosofo del diritto repubblicano del XIX sec.)

IV) Occorre, dunque, recuperare la “insistenza del giurista”, non la mera “costanza” né i “doveri del giurista” (con attualizzazione del vichiano Diritto Universale, la cui più importante Sezione è il De Constantia jurisprudentis ). Ancora più precisamente, per fermare il declino e restaurare il senso comune perduto, si recuperi: la “Insistenza del giuridico”, o se si vuole: il “Diritto al Diritto”; non già la mera “resistenza”, dall’etimo latino *red-existere, ossia la contrapposizione – altrettanto unilaterale – di una “forma” o di un “ordinamento”, contro ‘altro, con violazione conseguente degli assiomi I) e II)

Eccone alcuni esempi significativi nella fenomenologia attuale sociale e civile, dando voce alla “ideale contemporaneità della storia”. Se il Welfare State è inteso e utilizzato come il sistema di “Papà Pantalone”, dello Stato che paga, comunque e sempre, per tutte le insolvenze economiche, industriali, bancarie e amministrative, si avvia e consolida il “declino della nazione”. Ma se, d’altra parte, il sistema di libero mercato è visto e vissuto in totale “deregulation”, o assenza di limiti e norme, come è avvenuto per la recente crisi economico-finanziaria a partire dal 2008, ebbene prende forma e sviluppa il “declino delle nazioni”, su piano planetario. Se si sommano due o più opposti errori, attinti a entrambi i versanti della crisi, il declino non solo non si arresta, ma si complica sino a sfiorare la inarrestabilità, ai limiti della junghiana ‘lotta dei contrari a precipizio’ (la cosiddetta  ‘enantiodromìa‘).Lo stesso dicasi per le perduranti crisi della “Brexit”, delle “modalità” di uscita della Gran Bretagna dalla Comunità Europea; o per la complessità dei disastri ambientali e ferroviari sempre più frequenti in Italia ed Europa; per le tante malversazioni bancarie e l’aumento del deficit del prodotto interno lordo; per l’intrecciarsi di appalti in regime di monopolio, o sistema di fornitura centralizzata di beni e servizi nella pubblica amministrazione; per i metodi di corruzione e gli sprechi nella gestione dei servizi essenziali, in regime di “autonomie regionali”; per l’uso smodato del sistema delle prestazioni occasionali, e conseguente loro dismissione, senza averne preventivamente studiato le “modalità alternative”; per il programma di “Europa a due velocità”, senza fissarne i “modi”, le regole e i limiti monetari, economici, transnazionali; per la esigenza di riforme parlamentari o istituzionali, con precaria e difettiva determinazione delle modalità attuative; per l’esperimento cruciale del “diritto di proprietà”, tra l’opposizione di Jesse James nel film di Henry King, “per non ridursi alla fame” e l’espianto degli ulivi in Salento o la smodata ideologia della “decrescita felice”. In tutti questi casi (ma la casistica si potrebbe agevolmente estendere), per evitare o fermare il “declino delle nazioni” e “restaurare il senso comune”, riavviando il “Ricorso” (dopo le fasi di nascita, crescita e decadenza), bisogna evitare il sommarsi di due o più opposti errori; rispettare le guise della prudenza; coltivare le regole, e la “insistenza del giuridico”, onorando la “saggezza del giudizio”, o la “guisa delle guise”. In una parola, con il Vico di James Joyce, Alain Pons e Donald Phillip Verene, “bisogna lottare per restaurare il senso comune perduto”, e “avviare il Ricorso”, ripristinando la teoria aristotelica del giusto mezzo e la “ratio studiorum” dei tempi moderni.

BIBLIOGRAFIA

Olivier Rey, La dismisura, Controcorrente 2016.

Alain Pons, Vico: De la prudence à la providence, in De la prudence des anciens comparée à celle des modernes Sémantique d’un concept, déplacement des problematiques, publié sous la direction de André Tosel, Annles Littéraires de l’Université de Besançon, Paris, Les Belles Lettres, 1995, pp. 149-167.

Donald Phillip Verene, Knowledge of Things Human and Divine. Vico’s New Science and ‘Finnegans Wake’, Yale University Press, 2003 e James Joyce and the Philosophers at ‘Finnegans Wake’, Emory University, May 2016, pp. 152 e Vico and Joyce, ed. State University of New York Press, 1987.

Giuseppe Brescia, Tra Vico e Joyce. Quaternità e fiume del Tempo, Giuseppe Laterza, Bari 2006; Il senso del celeste e i princìpi vichiani in James Joyce, “Filosofia e nuovi sentieri”, 2 novembre 2014; fino a Le “guise della prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi, “Filosofia e nuovi sentieri”, ottobre-novembre 2016; Joyce dopo Joyce, Arte Tipografica, Napoli 2004.

Ricorrendo gli ottant’anni dal 4 Maggio 1939, data della prima edizione, sofferta e ambìta dall’Autore, di Finnegans Wake.

* Giuseppe Brescia, Presidente della Libera Università “G. B. Vico” di Andria, Preside titolare nei Licei, Medaglia d’oro per i benemeriti della Scuola nel 1990 e Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, dopo la fase filologica (La poetica di Aristotele e Croce inedito del 1984), ha espresso un sistema in quattro parti: Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva in due volumi (Bari 1999); Epistemologia come logica dei modi categoriali (2000); Cosmologia come sistema delle scienze di frontiera (1998) e Teoria della tetrade (2002). Ha lavorato all’innesto tra umanesimo storicistico, epistemologia ed ermeneutica, dando valore attrattivo ai tempi del “tempo” e della “Lebenswelt”; alle Ipotesi e problemi per una filosofia della natura (1987), L’azione a distanza (1990) e Pascal matematico (1991); alle attualizzazioni dei problemi del male e del sofisma (Critica della ragione sofistica, 1997; Ipotesi su Pico, 2000 e 2011; Il sogno di Castorp e il progetto diPico, 2002; Il vivente originario. Saggio sullo Schelling, Milano 2013).

[Clicca qui per il PDF]

Lascia un commento