di Giuseppe Brescia*
“Io dico seguitando”. Dopo “L’arte tanto intuisce quanto prospetta” (Interpretazioni del gioco) cade opportuno il riferimento all’ermeneutica dell’arte nella Origine dell’opera d’arte di Martin Heidegger e nella “universalità” dell’arte nello stesso Benedetto Croce (non nella sua “nominalità” allegorica – si badi –, come abbiamo mostrato sulle tracce di Schopenhauer). Entrambi i versanti ermeneutici, risalenti agli anni Trenta del secolo scorso, furono ripresi da Carlo Antoni e Mauro Boncompagni, all’insegna della critica della “poesia, opera di verità”.
A questo punto il percorso si estende alla “scena prospettica del gioco”, esemplata nel vaso per l’acqua, o hydria, a figure rosse del Museo Archeologico Jatta di Ruvo, risalente al 400-370 a. C. E scelto dal Ministero italiano per rappresentare l’invito al Museo del febbraio 2018. Il vaso ritrae una scena del gioco, a partire da un giovane che gioca con una palla di pezza segnata nei suoi quadranti, per fronteggiare una giovane ragazza che ‘man-tiene’ in equilibrio sul braccio destro un gatto, mentre la seconda giovane a destra fa volteggiare per aria cinque palline. Agevolmente, si nota che l’animale partecipa del gioco della palla, ma risulta come ‘sospeso’ nell’attimo: braccio destro della donna, di fronte a quello dell’uomo. E la donna si ‘man-tiene’, essa pure, col braccio sinistro sul tripode; quand’invece l’uomo regge con il proprio braccio sinistro un bastoncino. A destra, invece, l’altra donna “giocoliera” s’impegna con cinque palle in ‘circolazione’. “Man-tenimento” e “circolazione”, diremmo in sede di ermeneutica filosofica – a memoria della intensa rilettura del celebrato frammento di Anassimandro (ripreso in Holzwege da Heidegger). Così l’animale (gatto) fa parte della scena del gioco. Se, circa duemila e più anni dopo, il cane dei Giocatori di Tailhardat è in posizione passiva, accovacciato per terra, ignaro affatto della scena che lo sovrasta, come una gamba del tavolo, qui, invece, il gatto risulta in posizione prospettica, di fronte alla palla agìta dall’uomo e con cui esso pure è pronto a interagire. Questo momento della scena, già complessa, è sospensivo, come l’“istante” del classico e platonico Sofista, “assiso tra mobilità e quiete”, alle “Origini della dialettica” (Raffaello Franchini, 1976; Livio Sichirollo, 1972): lancio della palla; trattenimento in equilibrio del gatto sul braccio della donna. Per ‘man-tenere’ o reggere l’attimo, i due personaggi ‘si man-tengono’, a loro volta, e nello stesso ‘istante’. Dall’altro lato, sul fianco della scena, la giocoliera muove invece e fa girare le cinque palline, lanciandole e raccogliendole dall’una all’altra mano. Così abbiamo la rappresentazione dell’istante e del divenire, il fluire del Tempo.
L’uomo, anonimo artista delle figure rosse è, per penicilla e non per verba (direbbe Carlo Ludovico Ragghianti), “filosofo del Tempo”: “Man-tenimento” e “circolazione” del tempo. Con raccordo prospettico delle due modalità nella “scena del gioco”. Quattro sono le dramatis personae: uomo – donna – gatto – seconda giovane. Con la spalla curva, protesa in avanti, la prima donna è proiettata verso l’evento del gioco, il ruolo del gatto. Con la schiena diritta, la seconda donna in posizione eretta è segno di ‘gestione’ piena del gioco: ‘protensione’ e ‘intensione’. Gioco che sta per accadere; e gioco in atto. L’archetipo del tempo e della eterna sua vicenda torna in campo. Heidegger vide il tempo nella lettura della scarpa di Van Gogh. Noi lo ri-vediamo nella infinita, antica e sempre nuova ‘Vita delle Forme’.
*Giuseppe Brescia, Presidente della Libera Università “G. B. Vico” di Andria, Preside titolare nei Licei, Medaglia d’oro per i benemeriti della Scuola nel 1990 e Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, dopo la fase filologica (La poetica di Aristotele e Croce inedito del 1984), ha espresso un sistema in quattro parti: Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva in due volumi (Bari 1999); Epistemologia come logica dei modi categoriali (2000); Cosmologia come sistema delle scienze di frontiera (1998) e Teoria della tetrade (2002). Ha lavorato all’innesto tra umanesimo storicistico, epistemologia ed ermeneutica, dando valore attrattivo ai tempi del “tempo” e della “Lebenswelt”; alle Ipotesi e problemi per una filosofia della natura (1987), L’azione a distanza (1990) e Pascal matematico (1991); alle attualizzazioni dei problemi del male e del sofisma (Critica della ragione sofistica, 1997; Ipotesi su Pico, 2000 e 2011; Il sogno di Castorp e il progetto di Pico, 2002; Il vivente originario. Saggio sullo Schelling, Milano 2013).
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