di Giuseppe Brescia*
Momento emblematico della concezione dell’arte come “prospettiva” (squisitamente teoretica e non meramente matematica) è dato nella fortuna delle interpretazioni del gioco, Leit-motiv che introdussi in Teoria della Tetrade (Guglielmi, Andria 2000, pp. 167-189) e ne Il gioco come momento ermeneutico (Laterza, Bari 2003). Classici esponenti ne sono i due dipinti Giocatori di carte di Cezanne (1890-1895, al Musèe d’Orsay di Parigi; e 1890-1892, al Metropolitan Museum of Art di New York), nel secondo dei quali la ‘prospettiva’ è nell’osservatore in piedi di spalle alla parete con le quattro pipe, e di fronte ai due intenti giocatori con un terzo assiso allo stesso tavolo; e i nuovi Giocatori di scacchi del franco-thailandese Vincent Tailhardat (il 1970), il cui tavolo è sghembo su di un piano pericolosamente inclinato, con un cane accovacciato per terra, in primo piano (e corrispondente, forse, alla «greggia mia, beata, che non sai», del Canto notturno leopardiano). Questo quadro si può osservare alla Galleria d’arte di Place Vendome a Parigi, e sviluppa originalmente il tema della ‘relazione’ interpersonale attraverso la ripresa del ‘trascolorare’ delle giacche e delle tinte, già coniato dal Cezanne, oltre che nell’insistente contrappunto di spigoli e gomiti che sapientemente ricollega lati del tavolo, scacchiera e personaggi. La ‘prospettiva’ è nel ‘giudizio percettivo’; l’aspetto teoretico nella forma artistica, il cui carattere di ‘cosmicità’, di universalità intrinseca, trattiene in seno il momento ‘archetipale’, paradigmatico.
Ora, inserisco in rassegna Le Jouers des cartes (1966-1973) di Balthus, olio e tempera su tela, custodito al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Qui ci sono due giocatori-osservatori, oggetto di sguardi incrociati dinanzi a due osservatori idealmente restituiti, fuori dal quadro (come per tanti ritratti della stagione rinascimentale e umanistica). «Guarda, sto per giocare», sembra dire l’uomo a sinistra, in postura dominante con il ginocchio della gamba destra posato addirittura sulla sedia. «Ecco, la carta che io ho già giocato», dichiara invece la donna seduta sulla sedia in ferro dal lato opposto del tavolo. Entrambe le espressività sono serie e attente, ancora una volta dipingendo la “serietà del gioco”. I due ‘osservatori’ sono, e restano, fuori del dipinto, davanti a esso. Ma ne vengono come richiamati all’interno, grazie alla intensità fenomenologica della ‘relazione’, e nella ideale direttrice a mezza altezza, costruita dagli sguardi fissi dei protagonisti. Anzi, la ostensione del braccio destro della donna vuole propriamente dimostrare che assegna maggiore importanza alla reazione dell’osservatore, che non alla operazione di gioco in quello stesso istante effettuata. Si può, così, dire che il ‘Giudizio’ è anche in Balthus: pur se diversamente modulato rispetto alle ‘quattro pipe’ nei Giocatori di Paul Cezanne; o, ancor più, verso la “naturalità” del cane di Thailardat, soppiantato decisamente in Balthus dalla diversa “vitalità” affettiva dell’essere umano.
Sì che, in sintesi, abbiamo, nella moderna ermeneutica del ‘gioco’ artisticamente rappresentato, la incorporazione dei diversi paradigmi: dapprima, l’archetipo della ‘quaternità’, simbolo del Giudizio, in Cezanne (1890-1892); quindi, la ‘natura’, dimensione basilare e inconscia della ‘vitalità’, in Teilhardat (1990); infine, lo ‘Osservatore che influenza la realtà osservata’, trasposizione del principio d’indeterminazione di Heisenberg nella storia dell’arte moderna e contemporanea, per il Balthus (1966-1973). Incremento, per questa parte, il capitolo riassuntivo della “Generazione italiana” del tempo vissuto (Ascoli, Zevi, Ragghianti, Bassani, Assunto, Pareyson e Montale).
«Nessun segno è ‘solo’. Nessuno ‘gioca’ per sé»: su altra linea esegetica, gravitante nei fundamenta inconcussa di Fede e Speranza, attraverso il Ritratto degli Arnolfini, antecedente di cinque secoli ( “Johannes de Eyck fuit hic 1434” ), riposa invece il contributo di Massimo Cacciari, Tre icone (Adelphi, Milano 2007).
[Clicca qui per il formato PDF]
*Giuseppe Brescia, Presidente della Libera Università “G. B. Vico” di Andria, Preside titolare nei Licei, Medaglia d’oro per i benemeriti della Scuola nel 1990 e Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, dopo la fase filologica (La poetica di Aristotele e Croce inedito, del 1984), ha espresso un sistema in quattro parti: Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva in due volumi (Bari 1999); Epistemologia come logica dei modi categoriali (2000); Cosmologia come sistema delle scienze di frontiera (1998) e Teoria della tetrade (2002). Ha lavorato all’innesto tra umanesimo storicistico epistemologia ed ermeneutica, dando valore attrattivo ai tempi del “tempo” e della “Lebenswelt”; alle Ipotesi e problemi per una filosofia della natura (1987), L’azione a distanza (1990) e Pascal matematico (1991); alle attualizzazioni dei problemi del male e del sofisma (Critica della ragione sofistica, 1997; Ipotesi su Pico, 2000 e 2011; Il sogno di Castorp e il progetto di Pico, 2002; Il vivente originario. Saggio sullo Schelling, Milano 2013).