Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Gli Stupri nei conflitti armati. Guerra, violenza di genere e sessuale in un libro a cura di Simona La Rocca

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di Laura Sugamele
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In questo libro a cura di Simona La Rocca emerge il tema profondo della legittimazione e della quasi normalità che si inserisce nella correlazione guerra-violenza sessuale. Lo stupro di guerra viene scandagliato attraverso una disamina storica che fa comprendere quanto questo problema, abbia coinvolto trasversalmente le varie epoche storiche e tutte le nazioni. Esso emerge come un male latente e una volta emerso diviene inarrestabile.
Il libro è diviso in cinque parti precedute da una prefazione scritta da Annamaria Rivera e da una introduzione di Isabella Peretti, che gettano luce sullo strano connubio tra conflitto armato e strumentalizzazione del corpo femminile. La prima parte del testo si rivolge agli strumenti giuridici e politici di tutela delle donne in caso di conflitto armato e comprende vari contributi da Simona La Rocca a Ilaria Boiano, parte nella quale viene descritta l’evoluzione dei reati sessuali in un’ottica storica e quali sono stati gli strumenti ideati per contrastarli.
Leggendo il testo si può osservare, inoltre, come la reiterazione di tale meccanismo non si rivolga esclusivamente alla storia antica, in cui le donne rappresentavano un bottino di guerra, dopo la conquista di un territorio o di una città, come il ratto delle sabine da parte dei romani; bensì come l’utilizzo della violenza sessuale abbia subito una evoluzione in negativo nella storia contemporanea, tramutandosi in una forma sistematica di attacco e sfinimento dei popoli, con riguardo il conflitto serbo-bosniaco, ruandese, o come le violenze sessuali che hanno dilaniato la Somalia e il Darfur.
In questo libro, l’intento delle autrici è quello di dare voce alle donne, che in guerra non soltanto diventano vittime di uno dei più terribili oltraggi al proprio corpo, ma soprattutto alla loro identità individuale che, in tal modo, viene totalmente annientata. Un confine talmente labile quello del conflitto armato, in cui la donna non è solo disumanizzata; essa diviene oggetto di una strumentalizzazione ragionata che in guerra viene esplicata con ferocia e brutalità; allorché, colpire, disonorare la donna, significa disonorare il paese che si vuole distruggere.
Alla luce di questa considerazione, lo stupro diventa uno strumento atto al raggiungimento di uno specifico scopo: l’epurazione di un popolo. In questo modo, l’utilizzo dello stupro emerge come stupro etnico. Basta ricordare il conflitto nella ex Jugoslavia e quello del Ruanda, nei quali «stupri e violenze sessuali sono impiegate come armi, strategie di guerra tese a distruggere, annientare il presunto nemico; campi di stupro, gravidanze forzate, mutilazioni genitali, stupri di massa e tratta di donne a scopo di sfruttamento sessuale non potevano più essere considerati ‘effetti collaterali’ delle guerre, tantomeno semplice ‘bottino di guerra’; gli orrori non erano casuali ma pianificati dai leader politici» (p. 52).
In particolare, la guerra jugoslava, dove la strumentalizzazione del corpo femminile attraverso stupri sistematici era la regola principale in una strategia di guerra, si presentava come un conflitto oltre che radicato su elementi razziali ed etnici, anche su fattori identitari e sessuali. Tra l’altro, il paradigma dell’etnicità, dell’identità e dell’appartenenza venne adoperato a scopo ideologico e propagandistico, allorché, lo stupro si presentava come ottimo congegno strategico-militare per cancellare qualsiasi traccia dell’etnia da distruggere, e per far emergere in tutta la sua grandezza un orizzonte nazionalistico estremo poggiante sul disegno di potere ed egemonia della ‘grande Serbia’.
Nel libro vengono esaminate le violenze sessuali perpetrate in America Latina, dove patriarcato e militarismo costituirono un connubio nell’azione di repressione sociale e politica, proseguendo con il caso delle donne del Kashmir durante il conflitto scoppiato negli anni Ottanta. Attuare violenza sessuale o la sua minaccia diventa, inoltre, barriera di incomprensione e incomunicabilità nel capitolo dedicato al conflitto tra il popolo ebreo d’Israele e il popolo palestinese.
Il resoconto storico esamina anche il contesto italiano che nel secondo conflitto mondiale, si vide travolto da quegli eventi drammatici conosciuti col termine di marocchinate e di mongolate, violenze e sevizie commesse su donne e ragazze di ogni età; le prime compiute nel cassinate e nel basso Lazio; le seconde nella regione dell’Oltrepò Pavese e nelle Valli Liguri. Questa fase caratterizzata dal silenzio istituzionale, rese quel momento storico ancora più terribile, elemento che evidenzia come le donne furono vittime due volte: violentate nel corpo e dilaniate nell’anima; dimenticate per vergogna e stigmatizzazione sociale.
Ciò rese la brutalizzazione della guerra maggiore, allorché, fu la coltre di silenzio che acuì il dolore delle donne in forma ancora più grave.
Il nodo focale di questo testo sugli stupri di guerra è, allora, restituire dignità alle donne che da sempre sono state vittime di guerra; un dare voce contro l’ostracismo e la vergogna sociale che le invase come prima fece l’oltraggiatore. «Connivenza delle autorità militari, negazionismo dei governi, trauma dei vinti, vergogna delle famiglie e delle comunità, umiliazione delle donne hanno a lungo gettato su questa odiosa forma di violenza una coltre di silenzio, un silenzio che rispecchia la subordinazione antica delle donne. […] Un’interpretazione diffusa e banalizzante degli stupri è quella che ne enfatizza la motivazione sessuale (soldati costretti all’astinenza, in condizione di continua ansia e pericolo) e quella che li interpreta come un aspetto inevitabile della brutalizzazione della guerra. […] Sfruttati dalla propaganda di guerra, gli stupri sono stati ben presto cancellati dal dibattito politico alla conclusione dei conflitti nel timore di dare eccessiva importanza ad una sofferenza ‘minore’ rispetto a quelle che tutte le guerre portano con sé». (p. 324).
L’impostazione che viene data al volume è quella di un’analisi ben documentata degli eventi storici, ma in più con dei rimandi alla situazione attuale che vede le donne vittime della violenza di Boko Haram, piuttosto che della brutalità dell’ISIS, quest’ultimo caso posto in contrapposizione al movimento delle donne curde come possibilità di rinascita e reazione alla violenza di genere in Medio Oriente e, in particolare, all’ideologia dello stupro.
Il libro esamina anche i cosiddetti ‘stupri di pace’, di cui si macchiarono le forze peacekeeping, i caschi blu che commisero crimini terribili; forze armate il cui intervento doveva essere rivolto alla pace e all’assistenza ai civili, ma che invece si tramutò in distruzione e prevaricazione su donne e bambine, nel caso della Bosnia, Somalia, Congo e Sierra Leone.
Questo è allora un libro che tenta di non dimenticare; di rendere visibile il ricordo, l’esperienza delle donne, senza cadere nel banale, affrontando l’argomento in tutta la sua problematicità con dovizia di cura. Un libro, dove è forte la contrapposizione tra il danno inferto alle donne e l’onore sociale quasi deturpato dall’atto; un onore che però non si rispecchia nel dolore personale delle vittime e che si presenta come un termine più che altro retorico, che lascia le donne da sole, le ostracizza e fa persistere la violenza come un cerchio che non ha fine.
Pertanto, la lettura dei vari contributi, rende possibile riflettere sulle caratteristiche della violenza sessuale in tempo di guerra, ma anche sulla possibilità che tale atto venga esplicato semplicemente per il fatto di considerare la donna come un bottino di guerra. Un libro che, dunque, offre una disamina trasversale e punti di vista differenti attorno al problema della violenza sessuale; un libro nel quale comunque il fenomeno non è ricondotto unicamente ad un concetto di aggressività maschile o di virilità, ma che sembra strettamente connesso ad un sistema di relazioni altamente coercitivo.


Stupri di guerra e violenze di genere, Simona La Rocca (a cura di), EDIESSE, Roma 2015, pp. 492.

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