Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

La gestione della diversità presso i Cuna di San Blas. Uno studio di antropologia filosofica di Giancarlo Vianello

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> di Giancarlo Vianello*

Nel lontano 1977, frequentavo l’École des Hautes Études en Sciences Sociales a Parigi, interessandomi dei Drusi della Siria, sotto la direzione di Jacques Berque. Carlo Severi all’epoca frequentava la stessa scuola e si interessava dei Cuna, sotto la direzione di Georges Devereux. Stava programmando una ricerca sul campo e mi chiese di accompagnarlo. Sul posto trovammo parecchie difficoltà, perché le istituzioni scientifiche americane facevano pressione sulle autorità panamensi perché impedissero ad altri l’accesso nel territorio dei Cuna. Mi venne allora l’idea di cercare un religioso di origine italiana, che sicuramente aveva canali di accesso. Padre José Rotellini fu di immenso aiuto. Questo testo è un nostalgico omaggio a quei tempi ingenui ed avventurosi.
Giancarlo Vianello e Carlo Severi assieme a Enrique Gomez con i suoi nuchus (Mulatupu, 1977)

Giancarlo Vianello e Carlo Severi assieme a Enrique Gomez con i suoi nuchus (Mulatupu, 1977)

Riprendendo in mano il mio archivio, mi sono imbattuto in materiale inedito risalente ad una ricerca sul campo da me effettuata nel lontano 1977. Poiché mi è sembrato ancora rilevante, ne ho ripreso elementi salienti. Si tratta di osservazioni sulla modalità con cui i Cuna definiscono la loro visione della diversità ed il conseguente livello di emarginazione all’interno del loro sistema culturale. Il dato di fatto della diversità, soprattutto casi di follia e di albinismo, viene visto come un elemento del mondo mitico, che si realizza concretamente e che testimonia la presenza nel quotidiano della narrazione mitica. In tal modo, diviene un elemento di coesione, con un ben preciso ruolo sociale.

I Cuna posseggono uno dei patrimoni di cultura sciamanica più significativi dell’intera area indoamericana. Questo loro complesso mitico ha contribuito a definire e difenderne l’identità fino ai giorni nostri. Il gruppo Cuna cui ci riferiamo vive nella Comarca di San Blas, sulla costa orientale della parte meridionale di Panama. Si tratta di una estensione di circa 3260 chilometri quadrati, compresa tra Cabo Tiburón e Playa Colorada, comprendente numerosissimi gruppi di isole del Mar Dei Caraibi. Vi risiedono circa 25.000 indios cuna, in parte dislocati lungo la costa, in parte nelle isole prospicenti. L’intera Comarca di San Blas, che a seguito della “rivolta di Tule” del 1925 gode di una particolare autonomia, si divide in tre distretti, che sono stati sottoposti in diverso grado ad un processo acculturativo. La zona di Sasardi-Mulatupu, che è stata presa in esame, si trova all’incirca nel mezzo della costa ed è tra le più conservative della Comarca.
La ricchezza del complesso mitico dei Cuna traspare anche nella copiosa letteratura sciamanica, parte della quale è stata tradotta e pubblicata[1]. La pratica dei canti sciamanici ad uso terapeutico o magico è delegata ad una particolare categoria di esperti che, a seconda del tipo di canto in cui sono specializzati, vengono chiamati kabur-tuledi (coloro che recuperano le anime rapite dai demoni), absoguedi (coloro che curano la malattia) e masar-daket (con funzioni di psicopompi). Oltre a costoro esiste una particolare categoria di curanderos chiamati ina-tuledi (ina significa malattia), che non conoscono canti magici, ma operano terapie a base di erbe ed hanno delle conoscenze empiriche di farmacologia decisamente notevoli. Tutti questi tipi di sciamani e curanderos sono arrivati alla loro conoscenza attraverso una iniziazione ed un severo apprendistato. Solitamente si presta servizio gratuitamente presso uno sciamano che sappia dei canti magici e la tecnica connessa e lo si paga. Inoltre è necessario che i giovani iniziati abbiano una struttura psichica particolarmente solida per poter reggere la presenza degli spiriti.
Esiste una categoria di sciamani che sono tali perché predestinati alla nascita. Vengono chiamati nele ed hanno il compito di scoprire la causa della malattia, lasciando ad altri il compito della terapia. Anche le donne possono possedere questi poteri magici ed in questo caso vengono chiamate nelegua. Anche certe pietre hanno il potere magico di essere nele e vengono chiamate akualele. Il nele, nelle sue diagnosi, è aiutato da un absoguedi che intona un canto magico che permette al nele di volare presso gli spiriti in compagnia dei suoi nuchus. Si tratta di figure intagliate in legni particolari, che sono in relazione con certi spiriti ed hanno il compito di aiutare il nele nella sua impresa. Inoltre, il nele ha la capacità di interpretare i sogni, cosa cui i Cuna danno la massima importanza. Per questi suoi poteri il nele è una figura che sta al vertice della gerarchia sciamanica ed ha un grandissimo prestigio anche sul piano sociale.
È all’interno del loro mondo mitico che i Cuna inseriscono l’interpretazione del fenomeno della diversità. Tale dinamica risulta particolarmente evidente nei confronti di coloro che presentano disturbi psichici e degli albini. In entrambi casi la presenza di elementi diversi non è stata rimossa e non si è cercato di porli ai margini della società. Al contrario sono diventati all’interno della comunità categorie particolari con un loro ruolo ed una loro identità.
L’albinismo è un fenomeno genetico che tra i Cuna, a causa probabilmente dell’endogamia prolungata nel tempo, si verifica con una frequenza elevata: con un rapporto cioè di 7/1000, che risulta essere 50 volte maggiore di quello osservato presso altri gruppi (C. Keeler, 1968). Le leggende dei Cuna parlano di divinità bianche chiamate Aoba e di nele bianchi dai quali si sarebbero generati. Secondo le tradizioni, i sipu-tule, come vengono denominati gli albini, sono considerati dai Cuna come nati in relazione ad una specie di innamoramento che la loro madre ha avuto nei confronti della luna durante il periodo di gestazione. Questa credenza è stata raccolta da Lionel Wafer che nel 1681 effettuò un viaggio lungo le coste del Darien (L. Wafer, 1933). Per questo motivo vengono soprannominati “figli della luna” e con la luna continuano ad avere rapporti. Infatti, nei casi di eclissi lunare, quando i Cuna pensano che un mostro stia divorandosi la luna, sono loro –e solo loro- che devono uscire e lanciare frecce contro il mostro per salvare l’astro con cui hanno un articolare legame. D’altro lato, al di là di questa loro funzione rituale, gli albini venivano sottoposti a limitazioni ed a persecuzioni vere e proprie. Ad esempio, fino ad epoca recente l’infanticidio di albini era frequentemente praticato.
Resta tuttavia indicativo che la diversità degli albini, come viene recepita dal sistema culturale cuna, non è caratterizzata tanto dall’aspetto fisico, ma dal loro esser considerati una categoria di persone con una ben precisa collocazione nella storia mitica. Poiché i Cuna, come del resto tutte le culture primitive, non fanno distinzione tra piano mitico e piano storico, il ritenerli discendenti degli Aoba, figli della luna, o discendenti dei bianchi è alla fine la stessa cosa. Le due prospettive si confondono. Un documento illuminante in materia è l’ “Acta de independencia del Congreso national de Tule”[2] che, riprendendo le tesi di R.O. Marsh, vede nell’albinismo una componente genetica dei bianchi e spiega l’infanticidio perpetrato nei confronti degli albini come una forma di odio contro i dominatori spagnoli. Il mito dei “figli della luna” si mescola con la storia recente e si adatta alle nuove forme. I sipu-tule diventano al contempo discendenti della luna ed effetto dei matrimoni misti. Storia recente e mito si sovrappongono in una visione non univoca, dovuta ad un processo di adattamento culturale.
In ugual modo viene interpretato dai Cuna il fenomeno dell’insorgenza della follia all’interno della loro società. Secondo quanto riferito da Enrique Gomez, un absoguedi psicoterapeuta che conosceva due canti magici connessi con la terapia del disturbo psichico: il Nia-Igala ed il Sia-Igala, il sapere sciamanico cuna divide la malattia mentale in tre grandi categorie. La prima comprende i purma ossia gli epilettici. La seconda comprende grosso modo quella categoria che la medicina occidentale definirebbe come composta da affetti da insufficienza mentale. La terza categoria comprende gli indemoniati, ossia coloro che sono posseduti da demoni (nia). Costoro, secondo la definizione di Enrique Gomez, “si comportano in modo aggressivo, sembrano ubriachi ed offendono e molestano i vicini”. Sahila Paolino aggiunge da parte sua che la presenza dei demoni si manifesta con segni di instabilità mentale e con l’insorgere di fenomeni strani, come ad esempio l’uso di lingue sconosciute.
In ogni caso, mentre è possibile instaurare rapporti normali coni membri delle prime due categorie, gli indemoniati sono considerati pericolosi per la comunità. Così, mentre epilettici e debilitati mentali vivono una vita relativamente integrata, gli indemoniati vengono considerati una categoria di diversi radicali e per loro si elabora una teoria del sintomo psichico ed una terapia sciamanica particolari. Enrique Gomez descrive l’insorgenza del sintomo psichico come l’effetto di uno specifico intervento degli spiriti della follia, cioè di una particolare classe di nia. Questi appaiono in sogno alla loro vittima sotto forma di un partner di sesso opposto fortemente desiderato. Questo innamoramento onirico sarà poi alla base del progressivo indebolimento del suo spirito. Alla fine si completa la conquista dell’anima della vittima da parte del nia di sesso opposto. A questo punto è come se un demone, calato dal mondo mitico, si aggirasse per il villaggio nelle forme della sua vittima, controllandone completamente l’anima e la volontà.
Finora abbiamo parlato di nia. In realtà i Cuna distinguono tra due categorie di demoni: i nia ed i poni. Mentre con il primo termine ci si riferisce a demoni antropomorfi, con il secondo termine ci si riferisce a spiriti maligni non dotati di forma e di individualità, che sono origine della malattia. Holmer, nel suo dizionario, li definisce come malattia o spiriti causanti la malattia (1952, p.126) e Nordenskiöld (1938, p.356) come spiriti maligni che causano malattia e che normalmente hanno una forma fantastica. I nia viceversa sono per Nordenskiold spiriti maligni che hanno forma umana e a volte si palesano con l’aspetto di persona amata. La differenza consiste nel fatto che, mentre nel caso dei poni si tratta di elementi invisibili ed impersonali che provocano la malattia, i nia sono demoni, invisibili, ma dotati di una ben precisa forma e personalità, che si impossessano del corpo del malato di mente. Così, mentre la debilità psichica è causata dai poni-kekegua , (Holmer, 1952, p.83 e Wassen, 1938, p.129) la follia degli indemoniati è dovuta alla presenza di nia nel corpo del paziente.
Tutte queste categorie di spiriti abitano in luoghi ben definiti, disposti nei vari mondi che costituiscono la complessa cosmologia cuna. Enrique Gomez specificava che, delle sette dimensioni che convivono nella sfera terrestre, i nia della follia appartengono alla quarta e quinta dimensione. In questi mondi si trovano i kalu in cui abitano. I kalu possono essere definiti come luoghi mitici, posti in zone selvagge, in fondo al mare o nei mondi sotterranei, invisibili alla gente comune. Hanno la forma di una gran casa fortificata, a vari piani e con struttura molto complessa. Sono abitati da spiriti di vario tipo: benigni, maligni, da esseri umani morti, da animali. Per i Cuna sono necessari alla conservazione del presente ordine cosmico[3]. Molte informazioni sui kalu ci sono state fornite durante il soggiorno a Mulatupu. Soprattutto ci è stato indicato che i kalu possono essere visitati dai nele in trance, che vi si recano per trattare o lottare con gli spiriti, per apprendere tecniche magiche o terapeutiche e per procurarsi il legno su cui intagliare i nuchus. Le informazioni forniteci da Enrique Gomez lasciano pensare al kalu come ad un luogo fisico. Si tratta di un luogo sacro, che nel contempo è luogo mitico e luogo reale, anche se invisibile e molto pericoloso per i profani. In ciò si può intravvedere la tendenza cuna di far coincidere mondo mitico e mondo reale, a far sì che il mito venga concretizzato apparendo all’interno dello spazio proprio del vivere quotidiano. Al proposito, Arnulfo Prestán cita il Kalu Sarsib che si trova su un monte roccioso nelle vicinanze di Ustupu e che è abitato da Olouguiapiler, uno spirito che provoca la follia in coloro che si avvicinano in questa zona (Prestán, 1975, p.100).
Come abbiamo visto, la follia tipica degli indemoniati colpisce durante il sonno, con l’apparizione di nia di sesso opposto che invitano la loro futura vittima a succulenti festini. In seguito tutto il rapporto tra lo spirito e l’indemoniato avverrà in una dimensione onirica. Secondo i Cuna, quando la follia e la possessione toccheranno il loro apice, l’infermo manovrato dal nia sarà in grado, attraverso il sogno, di strangolare magicamente altri membri della comunità, soprattutto malati e bambini. Allora la comunità provvederà d’ufficio ad incaricare degli ina-tuledi a preparare delle pozioni perché il malato si curi. Nello stesso giorno, mentre l’intera comunità beve delle dosi minori del preparato per prevenire l’estendersi della possessione demoniaca, il malato di mente sarà costretto ad ingurgitare una grande quantità della bevanda. Molto spesso accade che a seguito di questa terapia il paziente muoia. Tale informazione mi è stata data da Enrique Gomez ed è confermata da quanto scrive Arnulfo Prestán: “In un’occasione un sahila mi ha detto: “gli wagas (cioè i bianchi) ci attribuiscono l’assassinio dei malati di mente, perché crediamo che possano strangolare nel sonno: non capiscono la nostra medicina; come i medici occidentali sbagliano le loro operazioni chirurgiche, anche noi a volte sbagliamo nella preparazione delle pozioni” (Prestán, 1975, p.98).
Parallelamente a questa terapia a base di erbe, ne viene eseguita un’altra basata sull’esecuzione del canto magico del Nia-igala. Innanzitutto è necessario l’intervento di un nele che, lasciando cadere alcuni grani di cacao su del fuoco, provoca del fumo in grado di inebriarlo e di fargli vedere quale nia sia la causa della possessione. Per queste operazioni il nele si aiuta con i propri nuchus, che lo assistono nel suo viaggio alla ricerca del nia colpevole. Quando, grazie alle proprie visioni, riesce a definire la natura del demone della possessione, il nele incarica un absoguedi di recarsi presso il malato e di cantare il Nia-igala. La cerimonia, che avviene con suffumigi e con la presenza di altri nuchus che aiutano l’absoguedi nella lotta contro lo spirito, dura tre giorni. Stando a quanto affermano i Cuna, l’effetto terapeutico, quando si riesce a superare la prova della cura a base di erbe, è quasi sempre positivo. D’altro canto la terapia nella sua prima parte sembra avere un significato punitivo nei confronti del malato di mente e solo superando tale prova questi può sperare di essere riammesso nella comunità con uno stato diverso da quello di indemoniato. L’intera comunità da parte sua teme moltissimo la possibilità da parte di questi di uccidere magicamente durante l’attività onirica. Per questo motivo i curanderos raccomandano di non tenere segreti i sogni, ma di raccontarli continuamente per permettere un controllo da parte della comunità sulla attività dello spirito che li potrebbe possedere (Prestán, 1975, p.99).
Purtuttavia il dato che, ai fini della nostra definizione dello stato sociale dell’indemoniato all’interno della società cuna, mi sembra più interessante è costituito da ciò che i Cuna definiscono come “follia predestinata”. Infatti ritengono di poter accertare alla nascita quali sarà il destino del futuro indemoniato. Come ha raccontato Enrique Gomez, alla nascita la levatrice, personaggio chiave della comunità, riconosce e distingue due classi di soggetti: i nele e gli indemoniati. Da questo momento il loro destino è segnato: i nele, attraverso una lunga iniziazione, diventeranno i mediatori tra la comunità ed il mondo magico, mentre gli “indemoniati predestinati” saranno indotti dalla comunità ad assumere quello stato di instabilità psichica che precede l’ingresso del nia. Come specifica Arnulfo Prestán, al momento del parto sono presenti solo alcune levatrici, di cui due molto anziane ed esperte che dirigono l’operazione, che fanno rispettare i tabù e che alla fine pronosticano, se il caso, il futuro del bambino. Anche la madre non deve osservar il momento della nascita, sotto pena di trovarsi il volto sfigurato come quello di una vecchia. Ad esempio, all’ospedale di Mulatupu, i medici si lagnavano perché le partorienti, che accettavano le loro cure, si rifiutavano di partorire alla presenza di estranei. Del resto la terapia cuna per i parti difficili, il Mu-igala, prevede la presenza di un absoguedi posto in modo da non vedere il momento della nascita. Le due levatrici anziane sono alla fine le due uniche persone che decidono sul futuro del bambino. In relazione alla posizione del cordone ombelicale e del sacco amniotico pronosticano che il neonato sarà vittima di questo o quello animale feroce, che sarà dotato di molta intelligenza oppure, cosa che riveste tutt’altro peso sul piano sociale, che sarà nele o indemoniato. In questo caso procedono come segue: “se il bambino nasce con una placenta che somiglia ad un cappuccio grande, la madrina annuncia che sarà un nele. Se ha come due cappucci sulla testa, di cui uno nero o macchiato, si dice “nia sikidi”, che sarà catturato dal un demone (Prestán, 1975, pp. 80-81).
La levatrice, ruolo esclusivamente femminile, è quindi colei che determina i soggetti, in negativo o positivo, del rapporto con il mondo mitico. Entrambi vengono determinati socialmente alla nascita ed assumono un ruolo centrale all’interno della comunità. Ciò che li differenzia è che, mentre lo stato di nele è irreversibile, è possibile la reversibilità dello stato negativo di indemoniato, mediante la terapia rituale. Evidentemente, mentre una presenza limitata, e programmata, di nia all’interno del villaggio è utile alla conservazione della credenza nel patrimonio mitico della comunità, l’irrompere di demoni ed il loro moltiplicarsi attraverso i sogni nel gruppo è senz’altro un fenomeno da esorcizzare. Credo anzi che sia lecito asserire che la reale funzione degli indemoniati all’interno della comunità sia quella di permettere un tale esorcismo.
L’aspetto più evidente nella condizione del diverso presso i Cuna, quale emerge dalla trattazione precedente, credo sia rappresentato dal ruolo centrale e ben determinato nei rapporti sociali che riveste all’interno del gruppo. Infatti, a differenza di quanto solitamente accade in altre culture, gli individui ritenuti diversi non vengono emarginati e dimenticati, ma posti in una condizione particolare che risente di limitazioni e di vessazioni ma nel contempo è al centro dell’attenzione della comunità. Questo stato di diverso è poi più o meno caratterizzato. Alcune categorie, come psicolabili ed epilettici, abbiamo visto che non vengono del tutto considerate come diverse e che vivono relativamente integrate e senza giocare un particolare ruolo. Probabilmente cli elementi che, secondo il sapere sciamanico cuna, determinano la loro condizione non sono sufficientemente caratterizzati. Poiché la loro condizione patologica è determinata da poni e non da nia, non risentono di un passaggio di stato significativo. Molto più definiti di loro in questa gerarchia della diversità sono gli albini, anche per la loro evidente caratterizzazione fisica. La loro esistenza non coinvolge la vita comunitaria, ma rappresenta pur sempre un richiamo ed una testimonianza vivente della storia mitica della comunità. Ciò è sufficiente per determinare il loro stato di diversità e per conferire loro un qualche ruolo rituale. Infine gli indemoniati raggiungono il massimo livello in questo processo della definizione sociale della diversità. Il loro presentarsi come polo negativo nel gioco dialettico della rappresentazione del sacro all’interno del villaggio ed il loro coinvolgere l’intera comunità in un possibile estendersi della possessione demoniaca attraverso il sogno danno loro una identità di diversi con un ruolo assolutamente centrale sia sul piano del rito, sia sul piano sociale. A costruire questa loro identità contribuiscono molteplici fattori e soggetti sociali diversi. L’itinerario che compiono nella loro esistenza di diversi inizia alla nascita, quando la levatrice, in relazione ad una emblematica del corpo, ne presagisce/definisce lo stato in contrapposizione a quello di nele. Con questo atto si realizza anche il privilegio femminile di determinare dei ruoli che saranno fondamentali nella futura dinamica sociale. In seguito sarà l’intera comunità a compiere il processo ed a portare l’indemoniato nella completa accettazione del suo ruolo. Risultato per il cui raggiungimento saranno necessari alti livelli di credenza nel mondo mitico da parte di tutti. In questo processo realizzato comunitariamente si palesa un altro aspetto del modo che i Cuna hanno di sentire la diversità. Questa non viene assimilata alla categoria di estraneità, ma vista come un elemento partorito e cresciuto in seno al gruppo. Così, mentre il mondo esterno vien rifiutato in maniera paranoica, il diverso è accettato e sentito come elemento vivacizzante della dialettica sociale e culturale. La condizione di diversi trova infine compimento nella terapia rituale, che vede protagonisti i soggetti magici positivi, nele, absoguedi e curanderos, e come compartecipe l’intera comunità. Con questo atto, che spesso si conclude con la morte dell’indemoniato, ha termine il loro particolare stato ed essi vengono reintegrati nella comunità, dopo una esistenza particolare, vissuta con un intreccio di relazioni con vari elementi della cultura della comunità.

Note
[1] Mac Chapin, Pab-Igala: historias de la tradicion Kuna. Quito, ediciones Abya-Yala, 1989; Holmer, Wassen, Mu-Igala or the way of Muu, Goteberg, 1947; Holmer, Wassen, Nia-Igala, canto magico para curar la locura, Goteborg, 1958.
[2] Nel 1925 vi fu una ribellione dei Cuna contro il governo panamense. L’atto di indipendenza fu firmato da diciassette capi locali e influenzato da R.O. Marsh, una strana figura di antropologo statunitense che era alla ricerca della presenza di “indios bianchi”.
[3] Leonor Herrera e Marianne Cardale de Schrimpff nel loro “Mitilogia Cuna: los Kalu”, in Revista clombiana de antropologia, Bogotà, 17, 1974, citano in proposito una dichiarazione di un loro informatore del gruppo cuna di Arquia di nome don Alfonso che dice: “Per questo ci devono essere kalu, sono tutti guardiani dell’ordine di Dio. Ogni kalu ha capi per inviare notizie nelle altre parti. Sono molto necessari. Dio mise kalu ovunque. Se non vi fossero kalu noi non saremmo qui, tutti morirebbero, gli uomini scomparirebbero”.

Bibliografia

  • Leonor Herrera e Marianne Cardale de Schrimpff, “Mitologia Cuna: los Kalu”, in Revista colombiana de antropologia, Bogotà, 17, 1974.
  • Niels Holmer, Cuna Crestomathy. Goteborg, Etnologiska Studier, 18, 1951.
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  • Niels Holmer, Henry Wassen, Dos cantos shamanisticos de los indios Cuna. Goteborg, Etnografiska Museet, 1963.
  • Charles Keeler, “The incidence of Cuna moo-child albinos”, in Behavior Synthesis, Milledgeville (Georgia), 1968.
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  • Lionel Wafer, A new voyage and description of the isthmus of America. London, Haikluyt Society, 73, 1933.
  • Henry Wassen, Original documents from the Cuna Indians of San Blas, Panama, as recorded by the indian Guillermo Hayans and Ruben Perez Kantule. Goteborg, Etnologiska Sudier, 6, 1938.
  • Henry Wassen, “New Cuna Myths according to Guillermo Hayans”, in Etnoligiska Studier, Goteborg, 20, pp. 85-106, 1952.

*Giancarlo Vianello è uno studioso della Scuola di Kyōto. Sul tema ha pubblicato: ˝Mystique du néant e Śūnyatā selon la perspective de l’École de Kyōto, Théologiques, Montréal, 2012; ˝Nihilism and Emptiness˝, in Confluences and Cross-Currents, R. Bouso, J. Heisig eds., Nanzan Institute for Religion and Culture, Nanzan, 2009; Messaggeri del nulla, Rubbettino, Catanzaro, 2006; La scuola di Kyōto, Rubbettino, Catanzaro, 1996.

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