> Laura Sugamele*
Questo libro scritto dallo psicoanalista Luigi Zoja, è incentrato sugli stupri collettivi, problema che ha caratterizzato tutte le epoche storiche e che attraverso un interessante sguardo al maschile, quello dell’autore, emerge un’analisi non limitata al fatto storico, offrendo invece una riflessione psicologica del problema.
Il lato oscuro della violenza sessuale di massa, qualcosa di apparentemente connesso all’istinto e alla bramosia maschile, che a tempo di guerra sembra prevalere, ma che l’autore collega ad una specifica spiegazione di carattere psicologico e militare, che nel gruppo maschile esplica la propria metamorfosi più incandescente, laddove l’appartenenza ad un insieme e le azioni che possono scaturire, anche, le più terribili e nefaste, «rimuove o elimina i sensi di colpa» (p. 19).
La lettura di questo testo risulta interessante, in quanto ci si troverà di fronte a temi come la violenza maschile, la disumanizzazione delle donne e del loro corpo a fini bellici, problematica complessa da trattare, ma che Zoja riesce con una scrittura comprensibile e raffinata a spiegare bene, evidenziando la correlazione che vi è tra guerra, militarismo e oppressione della popolazione nemica, dove l’individualità viene soppressa per lasciare spazio esclusivamente ad una volontà generale, quella del gruppo. La violenza sessuale che sembrerebbe collegata ad una mera istintualità maschile, ma che invece trova in questo meccanismo la sua base fondante. «Chi non partecipa è deriso o guardato con sospetto e può addirittura provare la sensazione di essere anormale» (pp. 19-20).
A questo punto, cosa significa il termine centauri, con il quale inizia il titolo del testo? Cosa l’autore intende evidenziare? Con il termine centauro, l’autore spiega l’ambivalenza maschile attorno alla differenza tra vita sessuale e violenza sessuale, che sullo sfondo della guerra è qualcosa che viene dagli uomini automaticamente confuso, come se fosse quasi una prassi in un conflitto, orizzonte nel quale l’aspetto ancora più nefasto si rivela nel fatto che l’atto cruento commesso in gruppo rende la colpa personale lieve, la giustifica e la deresponsabilizza.
Non è tanto la pulsione allo stupro che emerge nel testo; bensì come tale comportamento in tempo di guerra si propaghi alla stregua di una patologia collettiva, laddove alla base vi è la semplice emulazione delle azioni tra i membri del gruppo, o il fatto che commettere violenza sessuale contro le donne, sia da ritenere un processo obbligatorio per il consolidamento dell’individuo all’interno del gruppo. Lo stupro che assume quindi la fisionomia di un rituale per la concretizzazione simbolica dell’appartenenza al gruppo dei maschi, atteggiamento che ben si allinea ad una simbiotica assimilazione dell’individuo al branco animale. Da ciò si evince la riflessione dell’autore sul centaurismo, come regressione della mascolinità alla violenza e all’uso della forza fisica a fini distruttivi. In questa modalità, la perpetrazione della violenza sessuale diventa una sorta di contagio che si propaga. Dal contagio, il risultato che ne scaturisce non è altro che lo smarrimento dell’identità maschile; un uomo che attraverso l’aver commesso perversioni annienta sé stesso come essere pensante. L’uomo che cancella la sua individualità, in favore di una decisione generale.
«Per l’istinto emulativo […] la condivisione nel gruppo comporta un non sentire più quella azione come vietata: anzi, nei soggetti meno capaci di autonomia la trasforma in una cosa che si deve fare se il contagio si protrae nel tempo, può costituire una epidemia psichica: durante certe fasi sembra una infezione mentale inarrestabile nel tempo. Contemporaneamente, diffondendosi, la sua contagiosità causa una vera e propria patologia collettiva. Non è la semplice somma di perversioni individuali. Compie un salto, che non è solo quantitativo, ma qualitativo» (p. 41).
Da questo punto di vista, la violenza sessuale di massa viene paragonata da Zoja ad un’onda anomala che ha travolto tutte le epoche storiche, le società, le nazioni; un’onda che si è diffusa gradualmente, ma che poi si è ingigantita, finché, non è stato più possibile ridimensionarla. Una furia che, se esaminiamo la storia contemporanea, ha un comune denominatore: razza, etnia, nazionalità nemica, che finisce per trasformarsi in una guerra contro le donne, simbolo della capacità riproduttiva del popolo che si vuole colpire.
Alla luce di questa considerazione, la connessione che Luigi Zoja riconduce tra centaurismo e violenza sessuale, si allinea con un atteggiamento che certamente prevale in ogni conflitto armato: l’ostilità e l’odio nei confronti del nemico e della donna del nemico e che, inevitabilmente, si traduce per il tramite dell’atto, in una forza simbolica che cancella l’identità della donna che è vittima.
La donna che non è solamente strumentalizzata come oggetto sessuato, ma che viene nella maniera più cruenta, reificata, annientata, soppressa nella sua identità, essendo trasformata dal gruppo dei maschi in una sorta di confine del simbolico, dove il suo corpo non è altro che un terreno sul quale si concretizza l’affiliazione maschile che nello stupro ha il suo apice.
«Nel branco si afferma un conformismo, una subcultura di gruppo, che rende ansioso e fa sentire fuori posto il singolo meno violento, portandolo a mimare gli altri o a fingere di farlo […] Negli stati di possessione l’identità individuale è quasi interamente rimpiazzata da quella collettiva: è questo che cancella il senso di responsabilità. Dal punto di vista psicopatologico si entra in uno stato di onnipotenza (identificandosi col gruppo, essendo non se stesso ma il gruppo, l’individuo si sente, con ragione, molto più forte)» (pp. 62-63).
L’aspetto che dunque emerge è quello di una psicopatologia di gruppo, allorché, la deriva più inquietante si rivolge ad un sentimento di forza, valore e territorialità di un gruppo che si ritiene superiore su un altro, elemento di rilievo, che potrebbe condurre ad una errata visione della superiorità di questo gruppo, conducendolo per una prevaricazione e all’invasione del territorio avversario per il tramite del corpo femminile reificato. Questa idea sedimenta la possibilità di distruggere i membri della comunità ritenuta inferiore e delle loro donne. In quest’ottica, il mito del centauro si esplica come compresenza di due elementi: superiorità fisica e odio per la parte avversaria, sfociando nella strumentalizzazione della violenza sessuale a fini denigratori, iniziando dalla donna, e quindi con una meccanica non prettamente sessuale.
La donna, che in una guerra rappresenta solo un trofeo di conquista e che mediante il possesso sessuale, si tramuta in simbolo del disonore che si è voluto infliggere all’avversario, elemento che si è potuto riscontrare effettivamente nella nostra storia contemporanea.
A tal proposito, nel testo si evidenziano alcuni episodi storici, dove fu visibile questo stato di cose, come le violenze perpetrate dall’Armata Rossa alle donne tedesche, o gli stupri etnici che sconvolsero il cuore della ex Jugoslavia negli anni Novanta, fattore che fa supporre una chiara connessione nella dinamica centaurismo e militarismo, giacché la violenza sessuale può essere «giustificata ideologicamente, come ausilio di imprese politiche e militari» (p. 81). Da notare anche, osserva Zoja, come la donna del nemico, nei conflitti che hanno attraversato la nostra storia, sia stata oggetto di una propaganda comunicativa; per esempio il termine Frau, Komm che significava ‘vieni, donna’, oggettualizzava linguisticamente la donna che diveniva preda sessuale e territoriale, simbolo materiale dell’invasione russa in Germania.
Dunque, cosa è il centaurismo? Certamente, esso sovviene come uno stadio quasi primordiale nell’uomo, in quanto la persistenza di questo archetipo cammina in parallelo alla psiche individuale, fattore indicativo della presenza nel maschio dell’utilizzo della violenza fisica come distruzione di qualcosa che è altro da me, e messo in connessione ad una volontà di gruppo, diventa offensiva ad un altro territorio, ad un altro orizzonte sociale, e che fa emergere l’elemento dell’etnicità, di cui la violenza sul corpo delle donne simboleggia una violenza al territorio dell’altro.
Luigi Zoja, Centauri. Alle radici della violenza maschile, nuova edizione, Bollati Boringhieri, Torino 2016, pp. 141.