LO SCHIZOIDEO IMPERANTE
Nei toni di un invito a Nietzsche
> di Leonardo Arena*
…allo schizo, pertanto, appartiene di fatto il mondo del pensiero, checché ne dicano Deleuze e Guattari, il cui Antiedipo segnerà una svolta, rispetto ai convulsi rapporti padre/madre, per tutti noi, i figli occidentali di un platonismo mal digerito o soltanto espunto, si spera, dai meandri della Storia. Nietzsche vi pertiene, pertiene alla sfera schizoidea, ma ciò non suoni come un rimpianto, o un’accusa di reato, no, non incriminazione, qualora lo schizo fosse, come è, il substrato di ogni nostro pensiero o azione, od omissione, come un tempo asseriva in una dottrina pretesa cattolica e quindi universale. Lo schizo che noi siamo osa assumere i toni del paranoideo, anche parmenideo, che s’impunta sulle distinzioni, normale/anomalo, complotto/innocenza, e non ne viene a capo; no, se non vietandosi di aderire all’esorcismo del nudo, grande piaga dell’epoca, che vorrebbe trovare, e non lo attinge, il senso, fosse pure uno solo, il significato, e poi arretra di fronte allo stesso Moloch che ha creato.
Il passaggio non potrebbe essere, d’acchito, che dall’idealismo al nudo, da ogni dottrina che attribuisca al mentale il suo privilegio, la prerogativa di rappresentare l’unica filosofia degna di nome, il materiale solo un epifenomeno, e che già in suolo indiano determinò la polemica tra lo Yogacara e il Madhyamika, laddove trionfò il primo, storicamente, ci sarà da stupirsene?, ma ora la bilancia del tempo si è spostata, capovolta, e l’orizzonte nudo del sinnlos ci si spalanca davanti, è già qui, eyes wide shut, come annunciò Stanley Kubrick, impotente di fronte al capolavoro di Schnitzler, lui, l’anglofono, sordo ai richiami di una metafisica tedesca che già vedeva in Freud, negli anni 20, secolo scorso, i vagiti di qualcosa che non poteva essere solo una scuola del sospetto, oh no, con quel che segue, con ciò che ne è venuto, e seguirà…Lo schizo che si contraddice, il quale urla “ai quattro venti”, da prendere alla lettera, che il principio di non contraddizione, cappa sonante del dogmatismo universale, va respinto, sottaciuto, preso per buono soltanto in quel contesto che si vorrebbe convenzionale, relativo, e che il termine sanscrito samvritisatya sancì, sempre attraverso la scuola del mezzo, Nagarjuna antesignano di un Wittgenstein da venire; ogni lettura di Nietzsche, politica o epistemica, filosofica, psicologica, anticristica, come il titolo dell’opera di Kaufmann suggerisce, sarà viziata dal bisogno del vero, della coerenza, stigmatizzante, circoscritta, pertanto invalidante…che cosa? l’ermeneutica stessa, Ricoeur, e quegli epigoni che, abbeverandosi al politico, vedrebbero in Nietzsche soltanto un ribelle, che non fu, e soltanto un aristocratico, che mai fu; solo perché poté questi dire…tutto e il contrario di tutto – com’è possibile, si riprende Colli, si riprende Colli senza capirlo, senza la profondità metafisica, questa fu, di un Colli…La logica fa a pugni con se stessa, il tutto qualora includesse, e lo fa, anche il suo contrario…Imputazioni a Nietzsche di illogicità? Si può pretendere che un sacerdote affermi la bestemmia, questa bestemmia che con Novalis ed Eckhart, non in quest’ordine, era garanzia della fede…? Insomma, Nietzsche, lo schizoideo, il paranoide, irride ancora oggi i suoi esegeti, i quali vorrebbero incasellarlo, vituperarlo, trascurarlo, ché di questo si tratta; ne prendiamo le parti, noi, per Nietzsche, nel nome di una filosofia del nonsense, sempre più sentita, sempre più vissuta, potremmo viverla se solo lo volessimo, ma l’Accademia spesso lo impedisce e nega, lei persegue il burocratico, le norme di sicurezza, samvritisatya, ancora, e contro il paramartha: accogliamo lo schizoideo che siamo, nei sogni, nella paura che ci fa voltare indietro sulla strada di casa, al primo accenno del buio, e forse saremo pronti ad accogliere Nietzsche, il baluardo, ci si dice apologeti…, di un mondo che ancora, dopo secoli, attende il transito dal vero al significato, lo elogia, esalta, e poi se ne discosta, timoroso—
*Leonardo Arena insegna “Storia della filosofia moderna e contemporanea” e “Filosofie orientali” presso l’Università di Urbino. La sua ricerca verte sul significato/senso della vita, nel ponte tra Oriente e Occidente. Tra i volumi pubblicati: Nonsense o il senso della vita; Note ai margini del nulla (entrambi in ebook); L’innocenza del tao; Il pensiero indiano (entrambi in Mondadori); Lo spirito del Giappone (Rizzoli).
9 aprile 2014 alle 19:10
… non lo attende però forse proprio perché di fatto è sin dall’origine già qui? Non è forse messaggio (im)plicito di Nietzsche la necessità di accettare il dato come già sensato, di contro alla fuga in avanti dell’astratto, che, come giustamente dici, “arretra di fronte al moloch” subito dopo averlo proferito? Non è in fondo forse il Moloch un topolino di fronte all’elefante?
Interessante, comunque. Ho specialmente apprezzato il collegamento Nagarjuna-Wittgenstein, sebbene riandando a occhio e croce ai miei passati e in qualche modo acerbi studi in merito direi che ciò riguarda soprattutto il primo Wittgenstein, e che il cosiddetto secondo Wittgenstein, superando di un balzo il “tradizionale” (di cui Nagarjuna rappresenta pur sempre il meglio), di fatto chiuda l’intera problematica. Il che appunto ci ricondurrebbe ad un’improbabile linea Hegel-Nietzsche-Wittgenstein, come quelli che, (a mio parere) essendo i più grandi filosofi della storia di noialtri, avrebbero sostanzialmente sconfitto il problema schizoide del pensiero nel lasciare che sia il pensiero stesso, nei fatti, a parlare. Certo più interessante ancora potrebbe essere la riflessione sul come e perché la storia occidentale di fatto non li (com)prenda – rendendo, per chiudere a circolo, questo tuo scritto senz’altro attuale.