«Si potrebbe sottolineare con forza e ritenere chiaramente questo: che la verità non è là dove si considerano gli uomini isolatamente: essa comincia con le conversazioni, il riso complice, l’amicizia, l’erotismo e ha luogo solo passando dall’uno all’altro. Odio l’immagine dell’essere legata all’isolamento. Rido del solitario che pretende di riflettere il mondo. Non può rifletterlo, perché, essendo egli stesso il centro della riflessione, cessa di essere a misura di ciò che non ha centro. Immagino che il mondo non assomigli a nessun essere separato, chiuso in se stesso, ma a ciò che passa dall’uno all’altro quando ridiamo, quando ci amiamo: immaginando ciò, l’immensità mi si schiude e io mi perdo in essa. Poco m’importa allora di me stesso e, reciprocamente, poco m’importa d’una presenza estranea a me» [Georges Bataille, Il colpevole, Ed. Dedalo, Bari, 1989, p. 62].
31 agosto 2013 alle 09:15
Il richiamo di Bataille – complimenti a chi lo propone – è, per chi scrive, quanto mai importante ed opportuno: l’uomo si realizza attraverso l’umanità, attraverso cioè il confronto costruttivo con gli altri uomini. Più Umanesimo che umanitarismo, dunque, se si vuole progredire dianoeticamente. E, si sa, le virtù dianoetiche sono la base della personalità umana. Il loro uso richiede un impegno al calor bianco (no alle frasi fatte, no alle parodie, no ai distillati opachi), altrimenti esse vengono tradite e subentra la stagnazione, l’implosione, il compiacimento parolaio.
3 settembre 2013 alle 16:55
Un vano elogio della reciproca consolazione…è qui che risplende a pieno l’amor per i sofisti (che il ciel li danni tutti).
4 settembre 2013 alle 14:39
Non posso concordare con la definizione di “vano elogio della reciproca consolazione” a proposito del passo di Bataille.
Qui si vuole dare conto di un’esperienza vissuta, non di un mero “dover essere”, non di una speranza poco fondata in un vago futuro di fratellanza e amore universale. Esperienza che è contestazione dell’essere chiuso in sé, dell’Io stabile e identitario, che fonda una verità che solo certi momenti (ad esempio, amicizia, amore, erotismo, ecc.) rivelano. Oltre tutto, questa verità ha ben poco di consolante, coincidendo spesso nella filosofia di Bataille con la perdita di sé o con la morte del soggetto.
Daniele
7 settembre 2013 alle 07:44
Bataille era scivolato, anzi precipitato, nell’errore primordiale (potrei definirlo il peccato originale degli errori filosofici), ma questo è un altro discorso.
Restando in e al tema del post, mi lascio dire quanto segue:
1) “La verità comincia…” (dire che comincia è un qualcosa di profondamente adolescenziale) nei rapporti sociali, quindi nei loro scambi e nelle loro manifestazioni.
2) Le manifestazioni del sociale in cui vivrebbe la verità per Betaille sono: la chiacchera, l’ammicco, l’amore fraterno e l’eros!
Non credo che occorra dilungarsi nel commentare questo punto II, qui l’autore traspare totalmente, si rende visibile in toto ai lettori: esso è stracarico di desiderio.
3) Lui ride del solitario: ma il riso (oltre che abbondare sulla bocca degli stolti, quando non è nel comico e quindi nell’assassinio simbolico di qualche concetto o personaggio, è solo rappresentazione d’una oppressione.
Egli invidia, cari lettori! Egli invidia chi ha superato le necessità mondane!
4) La perdita di sé o la morte del soggetto, in Bataille, sono sempre nel negativo consolatorio e mentecatto (sarebbe troppo lungo spiegarne i motivi, quindi mi limito a lapidare l’autore in oggetto con questa frase).
Leporello