Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Mohammed Arkoun: l’islam come fatto religioso

>Alessia Filippazzo*

 

Mohammed Arkoun è stato un pensatore di origini algerine, ma presente negli ambienti intellettuali parigini fin dagli anni ’50 del ‘900. I suoi numerosi e asistematici scritti possiedono un tema di fondo comune che è possibile sintetizzare nell’espressione – adoperata spesso dall’autore stesso – «ripensare l’islam».
La volontà di Arkoun di ripensare la religione islamica, volontà spesso espressa con estrema urgenza, dipende da necessità che si stagliano su diversi fronti e a diversi livelli:
• innanzitutto, un ripensamento di tale religione è indispensabile nelle società islamiche, nelle quali dilagano condizioni sociali e politiche fortemente ideologizzate che limitano non tanto la libertà di pensiero, quanto piuttosto la possibilità di un’analisi che non accetti di limitarsi alla ripetizione o al commento e pretenda di ottenere una qualche risonanza;
• ritornare a riflettere sulla religione islamica significa anche assolvere a un compito, oggi ineludibile, che chiama donne e uomini – intellettuali e non – a fermare l’avanzata dei radicalismi;
• d’altra parte, però, Arkoun sostiene la necessità di ripensare l’islam anche – e forse primariamente – negli spazi occidentali, nei quali non vengono sfruttate tutte le metodologie critiche che gli stessi pensatori europei hanno arduamente determinato e vagliato. Continua a leggere


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Controcorrente: Houellebecq dalla morte di Dio ad Allah

> di Luca Ormelli

SottomissioneCopertina

«Io non sono per assolutamente niente» 

I media («e l’esistenza di un dibattito politico sia pur posticcio è necessaria al funzionamento armonioso dei media, forse persino all’esistenza in seno alla popolazione di un senso quantomeno formale di democrazia», Sottomissione, pp. 172-173) non hanno perduto l’occasione per dimostrare ancora una volta la loro superficialità. Ma è chi sta dietro ai media, l’intellettuale, che ha dimostrato di essere persino peggio senza attenuanti generiche. Capiamoci: Houellebecq non è “Charlie Hebdo” e Sottomissione non c’entra nulla con il terrorismo. Chi sostiene il contrario è in malafede.

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