Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Occidente senza pensiero. Un’esortazione a ripartire

Nella sua recente opera “Occidente senza pensiero” Aldo Schiavone presenta la possibilità ed ancor più la necessità morale per l’Europa di essere protagonista di una rivoluzione globale. Proprio ora che, in una situazione mondiale incandescente, il Vecchio Continente è messo da parte come qualcosa di insignificante nelle questioni planetarie, l’Europa dovrebbe riflettere e rivitalizzare i valori che ha elaborato nei secoli, per difendere sé stessa e l’umanità tutta dalle attuali minacce.

La crisi dell’Occidente e dell’Europa in particolare è vista perlopiù nella sua componente endogena, probabilmente perché i valori teorizzati non sono stati messi in pratica con la necessaria radicalità. Le dichiarazioni solenni di libertà e di uguaglianza trovarono nella prassi, e talvolta anche nella teoria, innumerevoli eccezioni; ma dal Settecento alla seconda metà del Novecento, sia sul piano dell’elaborazione teorica ma anche nella realizzazione concreta, molti positivi eventi ebbero compimento e il continente ha goduto di un lungo periodo di prosperità e di pace. La libertà di espressione ha permesso nel cosiddetto Mondo libero un continuo confronto di idee, non lasciato alle sole élites.

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Bergson e la funzione sociale del riso

Come nasce la comicità? Ci sono alcuni che hanno la capacità di produrla, altri invece la generano loro malgrado; possiamo dire che i primi sono spiritosi e i secondi sono ridicoli. Un bravo autore di commedie mette a frutto il suo spirito delineando personaggi che con il loro atteggiamento e le loro azioni, senza volerlo, muovono il pubblico al riso. La trattazione che Henri Bergson fa di questo fenomeno, per certi aspetti strano, ci porta a vedere in profondità quanto abbiamo a volte frettolosamente considerato.

L’opera di Bergson che vide la luce nel 1900, edita in italiano nel 1916, mentre già infuriava la guerra e l’Italia era pienamente coinvolta, ebbe in seguito altre traduzioni e altre edizioni. La presente, del 2025, è la terza di sette programmate fino al 2029. Questo ci induce a pensare che la riflessione sul riso, a volte connessa altre volte contrapposta a varie espressioni dell’anima, sia sempre attuale.

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Filosofi inconsapevoli

Nel recente libro di Paolo Del Debbio, noto conduttore televisivo, professore universitario e giornalista, dal titolo Siamo tutti filosofi senza saperlo troviamo sei racconti di altrettanti percorsi di vita. Sono storie che portano i protagonisti a scoprire alcuni aspetti fondamentali delle rispettive esistenze. Arrivano inconsapevolmente ad essere filosofi, come è detto anche nel titolo, che però estende questa condizione a tutti. Deve trattarsi certamente di un’iperbole perché poi nel testo si vede che di fatto alcuni ne restano esclusi. Appare comunque chiaro che arrivarci dipende di più dalla disposizione interiore che dalle condizioni esterne dell’ambiente nel quale ci si trova. Questi filosofi inconsapevoli, hanno una certa analogia con i cristiani anonimi del cristianesimo implicito di cui parla Karl Rahner a cominciare dagli anni Sessanta del secolo scorso.

Sappiamo bene che può anche capitare la situazione inversa: chi studia e magari parla in modo forbito di filosofia senza averla interiorizzata nell’anima, questi possono essere ammirati da chi li ascolta ma non sono filosofi e, quel che è peggio, sono convinti di esserlo. Si tratta di quelli di cui parlava Cartesio nella prima parte del Discorso sul metodo in cui criticava la cultura dell’epoca. Ecco le testuali parole in merito: «la filosofia dà il mezzo di parlare con verosimiglianza di tutte le cose e di farsi ammirare dai meno dotti» (p. 13).

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Ribellarsi con filosofia

È il titolo di un recente libro di Matteo Saudino, insegnante nei licei di storia e filosofia, autore di numerose pubblicazioni e ideatore del canale You Tube BarbaSophia. Tutto ciò accompagnato da tante altre iniziative rivolte ai giovani studenti ed anche ad un pubblico più vasto che si interessa del pensiero filosofico senza essere necessariamente esperto in materia.

Presentando la vita ed il pensiero di dieci sapienti, due sono di genere femminile: Ipazia e Olympe de Gouges, pensa che si possa far vedere come questa forma di sapere, inutile a prima vista per risolvere i problemi della vita nella concretezza immediata, possa invece diventare strumento per agire nel mondo al fine di renderlo un luogo più bello e giusto, come si trova scritto nella quarta di copertina. Aristotele afferma che la filosofia non serve a nulla perché è il sapere più nobile; potremmo dire che le spetta di essere servita. Leggiamo nel testo di Saudino: « … la ricerca filosofica è dunque tanto inutile quanto indispensabile, proprio perché è una vitale e gratuita attività del pensiero che fa crescere e trasforma in profondità l’essere umano, rendendolo libero dalle catene dell’ignoranza e, dunque, consapevole di se stesso» (p. 10).

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Semina autunnale

Leggendo i pensieri di Edgar Morin denominati “Graines de sagacité”, Semi di sagacia, ci sembra opportuno partire da questa affermazione che troviamo a p. 30. Il est trompeur de sortir un mot ou une phrase de son contexte; è facile infatti essere fuorviati da una parola o da una frase avulsa dal contesto. Questa segnalazione di pericolo è particolarmente pertinente nel presente testo, composto di brevi espressioni che l’autore definisce dei quasi-aforismi. Il libro deriva da una selezione di messaggi che pubblicava, penso che l’attività continui, su twitter; interventi che hanno suscitato interesse e prodotto risposte amichevoli ma anche atteggiamenti ostili. Delle prime come dei secondi Morin ha fatto tesoro e proprio nella sua prefazione afferma che le banalità che normalmente noi diciamo sulla vita sono le cose più profonde che si possano dire.

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Leggere le filosofe

Quattordici filosofe che hanno inciso sulla storia del pensiero trattando temi classici con una diversa sensibilità, descritte da altrettante docenti e ricercatrici attuali che ne continuano il cammino.

Una panoramica volutamente limitata: dal Settecento ad oggi. Le filosofe italiane contemporanee non sono nella lista, anche se, come è scritto nella prefazione «sono state preziose ispiratrici di questo volume», (p. 13). Ciò sembra preludere ad altre iniziative del Gruppo di ricerca filosofica Chora, per arrivare forse ad una storia della filosofia declinata al femminile, capace di arricchire quel cammino del pensiero per troppo tempo esclusivamente maschile.

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La modernità è finita. È tempo di atterrare

Di moderno, non inteso semplicemente come odierno, attuale, ma come un’epoca avente determinate caratteristiche che ad un certo punto hanno cominciato a venir meno, hanno scritto vari pensatori. Possiamo ricordare Jacques Maritain, che nel 1922 scriveva l’Antimoderno, per prendere le distanze da quelle filosofie che definiva: ideosofie, incapaci di rapportarsi al reale ontologico; Romano Guardini che nel 1950 scriveva La fine dell’epoca moderna, in cui dalla Germania con le ferite della guerra ancora aperte, auspicava un ritorno ai valori spirituali, che il nazismo aveva violentemente soffocato. Jean François Lyotard nel 1979 pubblicava La condizione post-moderna, nella quale annunciava la fine delle grandi narrazioni, méta-récits, e l’avanzare delle tecnoscienze.

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Ciò che vede il cuore

PREMESSA

Riprendendo il discorso su Pascal nel quarto centenario della nascita, mi pare significativo questo breve scritto di Jean-Luc Marion, frutto di una lectio magistralis tenuta qualche mese fa nella Scuola della Cattedrale del Duomo di Milano. La lettura del libro di Lev Šestov, La notte di Getsemani,mi aveva portato a vedere l’interpretazione che l’autore fa di Pascal come un ripudio della ragione, il presente scritto di Marion, intitolato Ciò che vede il cuore, si presenta a mio modesto avviso, piuttosto come un ridimensionamento che ne chiarisce il campo d’azione e i limiti. Se per Cartesio tutto è riferibile alla ragione calcolante, Pascal vuol indagare su quelle ragioni del cuore che la ragione non comprende. D’altra parte il cuore, che è posto nell’ordine superiore, vede la ragione, senza peraltro che questa se ne avveda.

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Pascal, Šestov e il ripudio della ragione

Šestov, con una sorta di distillazione frazionata, pone la sua attenzione su quell’aspetto di Pascal che più lo coinvolge e nel quale pare talvolta identificarsi. In entrambi possiamo cogliere il sacrificio della ragione per una fede che non sente ragione, la rinuncia alla stabilità terrestre per affrontare il pauroso abisso e condividere da svegli quell’angoscia che Cristo ha vissuto da solo, mentre i suoi discepoli dormivano.

Nel quarto centenario della nascita di Pascal, a cent’anni dalla prima edizione de La notte di Getsemani di Lev Šestov, ci viene proposta una rilettura di questo genio tormentato, di colui che si impone di cercare gemendo, accomunato in ciò a Cristo che continua la sua passione fino alla fine del mondo. Si può dire che Blaise Pascal abbia trascorso la sua esistenza terrena incarnando il paradosso. Visse il suo tempo, il periodo del nascente razionalismo, standosene al di fuori; perfino nei manuali di storia della filosofia la sua posizione non è ben determinata. Pur rimanendo nel cattolicesimo in comunione con Roma, il suo pensiero venne a trovarsi in posizione bordeline.

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Microfisica e coscienza

Irriducibile – La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura.

Leggere quest’opera di Federico Faggin è una sfida che, almeno personalmente, mi trova disarmato e impacciato.

Cercare di interloquire con un pensatore scientifico che si avventura nel campo della filosofia e della religione risulta quasi sempre molto difficile, d’altra parte quando non si avverte tale difficoltà è spesso perché siamo caduti in un malinteso. Forse per questo l’autore si premura di chiarire il significato specifico che intende dare a certi termini con il glossario che ha posto in fondo al testo. Nelle numerose conferenze che ha tenuto per illustrare la sua teoria, ha cercato di adeguare il registro linguistico ai vari tipi di uditorio. Saldo sul fondamento, che egli racconta come una esperienza straordinaria, si dimostra aperto e possibilista fino alla visionarietà su varie questioni particolari, con l’atteggiamento di chi ha ancora tanta voglia di conoscere.

Irriducibile è la coscienza, quella umana che più ci interessa ma anche la coscienza in generale di ogni vivente. La materia, anche quella cerebrale, non produce coscienza ma è da questa prodotta. I computer, sempre più efficienti, sempre più versatili rimarranno sempre altro da ciò che è la coscienza. Dei robot che ricalcassero le caratteristiche umane nei tessuti e negli apparati, che fossero capaci non solo di risolvere problemi ma pure di manifestare gioia, benevolenza, impazienza o rabbia, resterebbero sempre altro rispetto all’uomo. I primi agiscono in base ad un programma che li determina, nell’uomo invece i condizionamenti per quanto siano forti non annullano la libera coscienza.

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Ultima chiamata

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Svegliamoci! È l’appassionata sollecitazione che Edgar Morin rivolge all’umanità intera affinché prenda coscienza della situazione critica nella quale si trova e si adoperi per realizzare una società in pace con sé stessa e con la Terra che la sostiene.

Il soggetto di questa grandiosa azione deve essere un noi così generale da non lasciar fuori nessuno, la condizione culturale e sociale ed anche l’età non devono costituire elementi di preclusione. Come per la felicità epicurea non si è mai troppo giovani o troppo vecchi per poterla conseguire, così anche per quest’impresa non ci sono limiti d’età. Con i suoi 101 anni Morin si sente ancora chiamato in causa in prima persona, al plurale naturalmente.

La citazione iniziale di José Ortega y Gasset: “Non sappiamo cosa ci sta accadendo ed è precisamente quello che ci sta accadendo” porta Morin ad interrogarsi se questa ignoranza non sia una miopia verso tutto ciò che va oltre l’immediato. Il sociologo e filosofo del pensiero complesso è portato a ritenere che nella società attuale la settorialità del sapere, che pure ha contribuito a far avanzare l’umanità nei rispettivi campi, renda comunque assai difficile una visione globale.

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Questa non è una cosa

 Nell’opera di Byung-Chul Han, filosofo tedesco di origine coreana, le cose, proprio quelle modeste che accompagnano la nostra quotidianità, vengono rivalutate nella loro funzione di stabilizzazione della vita terrena, in quest’epoca caratterizzata dal fenomeno globale che egli definisce: infomania. Le cose uniscono le persone, al contrario le non-cose, nella parvenza di una comunicazione globale, generano individui isolati.

Nel suo argomentare chiama in causa un gran numero di pensatori, perlopiù filosofi ma non solo, dà delle rapide pennellate come a supporre che il tema sia ben noto al lettore, solo su qualcuno ritorna più volte. Descrive la situazione personale nella quale si trova, assieme a gran parte dell’umanità, dalla quale vorrebbe emanciparsi, senza peraltro dilungarsi nello spiegarne la via. Accenna al pensiero della filosofa americana Jane Bennett sul pericolo per l’umanità di considerare la materia come qualcosa di inerte, semplicemente da utilizzare, e spende due parole per dire che «prima dell’ecologia deve emergere una nuova ontologia della materia che la esperisca come viva» (p. 119).

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