Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Libertà condizionata

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Ritornare a Sartre mantenendo costante il riferimento a Freud e a Lacan, mettere in luce l’importanza dell’infanzia nel rapporto tra libertà e necessità nella formazione personale e liberare il desiderio dal “miraggio di essere Dio”, questo ci pare di cogliere nel presente saggio, piuttosto lungo e complesso, di Massimo Recalcati.

Il ritorno a Sartre, lungi dall’essere un’operazione storico-archeologica, si propone di rendere ragione di quanto abbia contribuito al pensiero psicoanalitico e di quanto abbia ancora molto da dire a chi sa leggere tra le pieghe della sua vasta produzione. Ad una psicoanalisi terapeutica se ne accompagna una esistenziale, messa in atto da filosofi e letterati, due forme analoghe ma distinte, che possono dare buoni frutti se sanno collaborare fra di loro.

L’approccio recalcatiano a Sartre avviene attraverso opere che l’interpretazione classica lascia un po’ in disparte, qui il filosofo della libertà è richiamato solo per contrapporlo ad un altro che chiarisce come la condizione umana abbia delle costrizioni che non la lasciano mai. La Nausea è una sorta di preludio nel cammino filosofico sartriano mentre L’idiota della famiglia, Questioni di metodo, Buadelaire, Santo Genet, sono una risposta diversa alla condizione umana dell’esistere rispetto quella più classica de L’essere e il nulla o de L’esistenzialismo è un umanismo.

L’infanzia, anche quella accompagnata dalle cure più assidue dei genitori, viene qui descritta come un periodo di passività, di assoluta dipendenza nella quale si è perlopiù oggetto del desiderio, senza comunque possibilità di agire. «Si tratta di un tempo di costrizione e di Buio» (p. 5).

Ne La nausea, tiene a precisare Recalcati, il tema dell’infanzia non è affrontato direttamente ma si può cogliere «sotto traccia nelle forme oblique di una primaria immersione della vita nella contingenza informe dell’esistenza dove il linguaggio mostra tutti i suoi limiti nell’integrarla simbolicamente nel suo Codice»     (p. 5).

Nella cittadina immaginaria di Bouville, dove il romanzo filosofico trova il suo svolgimento, ogni giorno si ripete con la medesima cadenza, gli abitanti non se ne rendono conto, credono di vivere e di agire non accorgendosi della sostanza vischiosa nella quale si agitano. Una situazione forse paragonabile al “métro, boulot, dodo” che caratterizza l’aspetto ripetitivo e macchinale dell’esistenza descritto ne Il mito di Sisifo di Albert Camus.

Nell’uno come nell’altro caso ad un certo punto scatta qualcosa e si rivela la realtà nauseante e assurda. Antoine Roquentin, la scopre mentre si trova in un giardino pubblico e osserva una radice di castagno che si incunea nel terreno proprio sotto la panchina sulla quale è seduto. Così viene descritta: «Questo momento è stato straordinario. Ero lì immobile e gelato, immerso in un’estesi orribile. Ma nella profondità stessa di quell’estasi era nato qualcosa di nuovo e comprendevo la Nausea, ora, la possedevo» (Sartre, La nausée, p. 186). Riflettendo in seguito su questa esperienza, il protagonista narratore sente il bisogno di darne una formulazione: «L’essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l’esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente; gli esseri appaiono, si lasciano incontrare, ma non li si può mai dedurre» (Ivi p. 187).

Se ne La nausea uomini, viventi in generale ed anche le cose materiali sono tutti assimilati nella contingenza dell’esistenza, il pensiero successivo considera quest’ultima riferibile solo alla realtà umana. Oltre a ciò l’esistenza assume nuovi connotati: prima l’uomo giaceva nell’immanenza al pari della realtà extra-umana, ora lo si concepisce aperto alla trascendenza. Sartre non si riferisce a quella di carattere religioso ma al fatto che l’uomo è apertura è progetto di sé stesso, il suo essere coincide con le sue azioni libere e liberanti.

Recalcati in questo suo saggio insiste su quel versante del pensiero sartriano che parla di una libertà per così dire condizionata, un condizionamento che avviene nell’infanzia, si protrae per tutta la vita ma non impedisce quello spiraglio che permette, senza dover rinnegare la propria condizione iniziale, di raggiungere dei traguardi impensabili. L’assunto “L’esistenza precede l’essenza” viene qui capovolto, non certo con il ripristino di un discorso ontologico ma riferendosi invece a quell’essenza storica che si è cristallizzata nell’infanzia, qualcosa che altri hanno scelto e dalla quale non si può prescindere.

La riflessione psicoanalitica su alcune biografie sartriane rivela i dinamismi di come possa evolvere una situazione iniziale che parrebbe già tutta determinata. Jean Genet e Flaubert, pur nella diversità delle situazioni, sembrano avere una prospettiva di vita ben delineata fin dall’infanzia. Il primo, abbandonato dai genitori e affidato alla pubblica assistenza poi ad una famiglia che se ne prese cura, a dieci anni compì il primo furto. La conseguente punizione lo trasformò in un individuo asociale; altri furti, vagabondaggio e prostituzione omossessuale gli procurarono vari periodi di carcerazione. Difficile ipotizzare in questo giovane ribelle un avvenire di poeta e di romanziere, tanto apprezzato da Sartre che scriverà la prefazione delle sue opere, eppure tutto ciò è avvenuto.

Più articolato è il discorso su Flaubert, che Recalcati trae da L’idiota della famiglia, tenendo presenti le Questioni di metodo. Il piccolo Gustave non è accettato né dal padre né dalla madre. La famiglia borghese benestante certo non gli faceva mancare le cure materiali e una buona istruzione, ma sia per il padre, Achille, tutto proteso verso il primogenito chiamato con lo stesso nome, che per la madre Caroline, dedita solo alla figlia anch’ella di nome Caroline, Gustave era un intruso, insignificante rispetto le loro aspettative.

Leggiamo in Recalcati: «Siamo al cuore della domanda che orienta l’intero impianto de L’idiota della famiglia: come un soggetto può, riprendendo le condizioni che lo hanno determinato, costruire la propria opera? Come può realizzare il proprio avvenire avendo avuto nella sua infanzia l’avvenire degli Altri? Come può inventare sullo sfondo del carattere inesorabile della ripetizione?» (p. 153).

Se durante l’infanzia il piccolo Gustave aveva reagito immergendosi in un mondo parallelo immaginario in una contemplazione silente della natura, ad un certo punto si trasforma in genio della scrittura, l’opera letteraria nella forma perfetta che sa conferirle è una ripresa del mondo fantastico che si era creato da bambino. Al rifiuto dei genitori aveva risposto mettendosi fuori campo, da adulto si mette fuori dall’umanità, compensando la sua insufficienza con la sublime parola scritta; «Per questo Sartre può scrivere che l’opera d’arte per Flaubert appare come “la forma più elevata di suicidio”» (pp. 159-60).

Una visione semplificata che coincide con il senso comune e con il linguaggio ordinario ci porta a pensare Genet e Flaubert come dei soggetti coscienti che ad un certo punto della loro vita hanno deciso di porre in atto i loro rispettivi progetti. C’è invece alla base quello che da Altri hanno ricevuto nell’infanzia e li ha per così dire conformati. Riferendosi a Sartre, Recalcati dice: «Ne L’idiota della famiglia egli mostra come il vissuto (veçu) del soggetto si costituisca come una sorta di innervazione delle tracce dell’Altro e, nello stesso tempo, sia la riscrittura singolare di queste tracce, coincida col processo di interiorizzazione dell’assoggettamento dell’Altro» (p. 97). Da Altro deriva la formazione del soggetto e da quest’ultimo parte l’assoggettamento dell’Altro, in un dinamismo continuo.

Ritornando ancora sulla passività infantile del soggetto da cui non si può prescindere scrive: «È questo l’inconscio come esteriorità sul quale insiste Lacan. Non si tratta di una passività ontologica ma di una passività di fatto. Essa non indica l’essenza del soggetto ma che qualcosa necessariamente le accade provenendo da altrove, dal luogo dell’Altro» (p. 97).

Questo non significa che l’Altro agisca deterministicamente non lasciando alcuno spazio alla libertà, una deviazione, un piccolo scarto è pur sempre possibile. Lacan chiama in causa il concetto cristiano agostiniano di grazia come qualcosa che viene da Altro come dono e segna il soggetto. Sartre parla invece di caso, che si inserisce nella costruzione dell’opera, «La libertà del soggetto-Flaubert non può determinare il suo destino di scrittore, ma accoglierlo rileggendo retroattivamente i segni del caso nella loro configurazione “profetica”. L’opera quindi non scaturisce intenzionalmente dall’atto – come si potrebbe a prima vista pensare – ma si genera solo dalla ripresa singolare della rivelazione che si compie nell’atto stesso. Ecco perché Sartre insiste nel presentare il processo di soggettivazione come un movimento spiraliforme che ripassa costantemente dagli stessi punti» (pp. 100-101).

L’aggettivazione profetica virgolettata dall’autore, si può pensare abbia qualche analogia con il racconto biblico; in tante situazioni si legge di eventi che illuminano precedenti annunci profetici. Questi sono paragonabili alle “tracce dell’Altro” di cui abbiamo detto poco prima.

È già stato accennato come l’esito letterario di Flaubert si accompagni ad un desiderio di morte, ma tale desiderio che questa situazione particolare ha evidenziato viene ad assumere un carattere generale per come il desiderio di morte «per certi versi accompagni il desiderio d’essere come tale» (p. 168). Il desiderio d’essere è altro da un qualsiasi oggetto di desiderio, che in tanti casi può trovare soddisfazione; si accompagna necessariamente ad una mancanza: manque d’être (Sartre), manque à l’être (Lacan). Recalcati, citando in parte Sartre dice a proposito del desiderio d’essere: «Esso non è mai, a rigore, desiderio di qualcosa, ma desiderio di essere un essere senza mancanza di essere, desiderio impossibile d’essere, “desiderio di essere Dio”» (p. 173).

Sul versante lacaniano il desiderio che sorge da questa mancanza è innanzitutto «Desiderio di essere desiderato dal desiderio dell’Altro, desiderio del desiderio dell’Altro» (p.174). Tale posizione muta nel corso dei Seminari dal VII al X dove il desiderio dell’Altro non è più «la mediazione hegeliana del riconoscimento, ma quella famelica della divorazione incarnata dalla mantide religiosa» (p. 176). Con questa svolta Lacan si trova in sintonia con Sartre che tratta la questione chiamando in causa Sade.

Il desiderio di essere come pulsione di perdita è certo un punto cruciale nel presente saggio di Recalcati, che afferma: «È questo, se si vuole, il vero e più originale contributo di Sartre alla teoria del desiderio. Quello che la figura del “desiderio d’essere” mette in rilievo – accentuando decisamente la distanza di Sartre da Hegel e da Kojève – è che il desiderio non è solo ciò che umanizzala vita, ma anche ciò che la consuma» (p. 184). Questo desiderio di essere fondamento a sé stesso, questo voler essere Dio è destinato allo scacco, perché dunque questa “passione inutile” nell’uomo? Egli non compie l’azione di desiderare ciò che gli manca, ma «è l’essere dell’uomo che appare aspirato dal desiderio, portato dal desiderio a perdersi come uomo» (p. 183).

Convertire il desiderio inappagabile in qualcosa d’altro è possibile, il contrario peraltro vanificherebbe l’intero pensiero sartriano, la scelta originale, che traccia le linee del destino di una persona è possibile, come lo è stato per Genet e per Flaubert. Originale perché non è determinata da una causa antecedente; né si può dire derivi dal discernimento razionale di un io pensante, è piuttosto un realizzare sé stesso attraverso una scelta. «Sartre affida alla sua psicoanalisi esistenziale il compito di ricercare il modo d’essere irriducibile della soggettività umana che trova il suo perno nella scelta originale attraverso la quale un’esistenza concreta declina soggettivamente la dimensione ontologica del desiderio d’essere» (p.190).

Né i due personaggi sopraccitati né Baudelaire e neanche lo stesso Sartre hanno potuto prescindere dalla propria infanzia, per tutti i condizionamenti sociali, in particolare quelli familiari, che hanno agito spesso in modo traumatico, ma la scelta non si pone in un rapporto di causalità.

Quel piccolo scarto (petit décalage) di, cui già abbiamo accennato, salva dal determinismo e consente una forma modesta di libertà, è quella propria dell’esistenza umana.

BIBLIOGRAFIA

Jean-Paul Sartre, La nausée, Gallimard, Paris 1996
Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 2002
Jean-Paul Sartre, L’idiota della famiglia, a cura di Massimo Recalcati, Il Saggiatore, Milano 2019
Jean-Paul Sartre, Santo Genet. Commediante e martire, Il Saggiatore, Milano 2017
Jean-Paul Sartre, Questioni di metodo, a cura di Franco Fergnani, Il Saggiatore, Milano 1976.

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