Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

L’Italia verso un Presidenzialismo de facto?

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  1. Cos’è il Presidenzialismo?

Il Presidenzialismo è una forma di governo, che appartiene alle forme di democrazia rappresentativa, in cui il potere esecutivo si concentra nella figura del Presidente che è sia il capo dello Stato sia il capo del governo, eletto direttamente dal popolo.

La vera caratteristica dei sistemi presidenziali è che il Governo è nominato dal Presidente della Repubblica, il quale può modificarlo a sua discrezione, lo presiede e lo dirige. Il capo dello Stato è anche capo del Governo, e il Governo dura in carica finché ha la fiducia del Presidente.

Come afferma, infatti, Giovanni Sartori nel testo Ingegneria costituzionale comparata. Strutture, incentivi ed esiti (Il Mulino, 2004, p.98) “un sistema politico è presidenziale se, e soltanto se, il capo dello Stato: a) risulta da una elezione popolare, b) non può essere sfiduciato durante il suo mandato prestabilito da un voto parlamentare, e c) presiede o altrimenti dirige i governi da lui nominati. Quando queste tre condizioni sono soddisfatte congiuntamente, allora abbiamo senza dubbio un sistema presidenziale puro; o così dice la mia definizione”. Secondo la classificazione adottata dal politologo non ci sono paesi europei che presentano tutte queste caratteristiche.

Sono presenti nel mondo diversi modelli presidenziali tra i quali Argentina, Bolivia, Brasile, Colombia, Costa Rica, Cile, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Uruguay, Venezuela. Poi ci sono gli Stati Uniti d’America e — in Asia — le Filippine. La più elevata presenza di Repubbliche presidenziali si spiega in ragione dell’evoluzione storica che questi stati hanno avuto e che li differenzia da quelli europei. In epoca contemporanea, infatti, la maggioranza di questi paesi non ha conosciuto Monarchie e, una volta superato il processo di decolonizzazione, hanno avuto la necessità di eleggersi direttamente un capo di Stato nuovo, che tenesse le redini dell’indirizzo politico.

È lapalissiano, che il modello per eccellenza sono gli USA che hanno delle caratteristiche ben precise:

  1. Il Presidente della Repubblica è eletto quasi direttamente dal popolo. Nelle elezioni “primarie” che si svolgono in ciascuno Stato dell’Unione si designano i delegati alle National Conventions repubblicana e democratica, dove ogni partito elegge il candidato alla Casa Bianca e il vice. Spesso il capo dello Stato uscente e il suo vice vengono ricandidati senza bisogno di “primarie”. Al momento della consultazione popolare per la scelta del Presidente i cittadini si recano alle urne. Ogni Stato ha diritto a un certo numero di elettori presidenziali pari al numero dei seggi di Camera e Senato ad esso spettanti. Il candidato alla presidenza che vince in uno Stato ottiene tutti i posti in palio. I “grandi elettori” di quello Stato, dunque, che gli sono collegati, voteranno per lui al momento dell’elezione vera e propria. I poteri del Presidente sono rilevanti: il Presidente dell’Unione è capo dell’Esecutivo; nomina e revoca i ministri; non è legato al Parlamento dal rapporto di fiducia; concede la grazia; comanda le forze armate; rappresenta la Nazione all’estero; nomina gli ambasciatori; è capo dell’Amministrazione federale; nomina i giudici della Corte suprema (con il placet del Senato); ha diritto di veto nei confronti di una legge: le Camere possono però rimuovere l’ostacolo confermando il testo col voto favorevole dei due terzi.
  2. Il Parlamento è bicamerale. La Camera dei rappresentanti è composta da quattrocentotrentacinque deputati, divisi fra gli Stati in proporzione alla popolazione; i cento senatori, invece, sono eletti in ragione di due per ciascuno Stato.

Il Congresso ha i seguenti poteri: costituenti, in materia elettorale, perché designa il Presidente degli USA qualora nessun candidato abbia la maggioranza dei “grandi elettori”; sulla conclusione dei trattati internazionali; sulla procedura d’accusa contro il capo dello Stato (impeachment: il Senato può condannare e destituire il Presidente col voto favorevole dei due terzi dei presenti); d’inchiesta (attraverso commissioni appositamente costituite).

Il rigido principio della separazione dei poteri fa sì che il capo dello Stato si trovi talvolta in disaccordo, per esempio in materia di bilancio federale, con il Parlamento. I conflitti sono dovuti al fatto che il Congresso può essere formato prevalentemente da rappresentanti del raggruppamento opposto a quello del Presidente. Tuttavia, la natura delle formazioni politiche statunitensi è tale da non consentire facilmente l’imposizione di una disciplina di partito. Il risultato è una certa flessibilità, che in Italia o, più in generale, in Europa, renderebbe probabilmente complessa la coabitazione fra capo dello Stato e Parlamento, la quale invece, negli Stati Uniti non è agevole, ma neppure impraticabile.

Nelle repubbliche presidenziali si verifica così un dualismo fra i massimi organi politici: da un lato il Parlamento, titolare del potere legislativo, dall’altro il Presidente e il suo Governo titolari del potere esecutivo. I due organi sono autonomi e indipendenti ed entrambi democraticamente legittimati in quanto eletti direttamente dal popolo.

Un sistema presidenziale che si avvicina molto era in Italia quello della Monarchia “costituzionale pura”, di cui era espressione nello Statuto Albertino l’art. 5: “Al Re solo appartiene il potere esecutivo” e l’art. 65:”Il Re nomina e revoca i suoi Ministri”.

Una variante, che si è sviluppata in alcuni paesi, è presente nei sistemi semipresidenziali dove il capo dello Stato (Presidente della Repubblica) è eletto dal popolo e nomina i ministri che dunque devono godere della sua fiducia, ma nomina anche un vero e proprio Primo Ministro con cui condivide il potere esecutivo. Tutto il Governo deve però godere anche della fiducia del Parlamento, che dunque può costringerlo a dimettersi, mentre il Presidente della Repubblica può sciogliere il Parlamento stesso. L’esempio più famoso è quello della Francia, ma anche in Portogallo e Finlandia è possibile riconoscere questo modello istituzionale. Il prototipo storico è, invece, di norma individuato nella Repubblica di Weimar (Germania, 1919).

2. Perché il Presidenzialismo?

Approfondendo il profilo dell’evoluzione dei sistemi presidenziali si può dire che la differenza fra regimi presidenziali e regimi parlamentari affonda le sue origini nella differente evoluzione storica seguita da una parte e dall’altra dell’Atlantico.

La storia è, infatti, il fattore determinante nella definizione dell’assetto geopolitico in base al quale si sono distinti i grandi sistemi del diritto comparato in tema di separazione e coordinamento dei poteri dello Stato. Saranno proprio le circostanze storiche esistenti nella fase di genesi degli Stati costituzionali, fra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, a determinare la propensione dei padri costituenti per la forma della Repubblica presidenziale o per quella della Monarchia costituzionale, che rappresenta la fonte da cui scaturiranno successivamente i sistemi parlamentari.

Con particolare riferimento ai paesi europei Giovanni Sartori spiega che la “ragione per cui in Europa non ci sono sistemi presidenziali puri, che invece troviamo dal Canada in giù attraverso le due Americhe, è storica e non risulta da alcune scelta deliberata. Quando gli Stati europei cominciarono a praticare il governo costituzionale, tutti (eccetto la Francia, che divenne repubblica già nel 1870) erano monarchie; e le monarchie hanno già un capo di Stato (ereditario). Ma mentre in Europa non c’era spazio, almeno fino al 1919, per presidenti eletti, nel Nuovo Mondo quasi tutti i nuovi Stati divennero indipendenti come repubbliche (con le eccezioni temporanee del Brasile e, marginalmente, del Messico) e si trovarono a dover eleggere capi di Stato, e cioè presidenti. La divisione fra sistemi presidenziali e parlamentari non risultò, perciò, da una qualche teoria che dibatteva se una forma fosse superiore all’altra” .

Già in precedenza questa connessione tra la storia dei paesi e lo sviluppo del presidenzialismo era emersa ne La democrazia in America (1835) di Alexis de Tocqueville, dove l’autore sottolineava che l’America era l’unico paese in cui si aveva la possibilità di considerare lo sviluppo naturale della società e di valutare come le condizioni di partenza influenzavano il futuro dei paesi. Da questo aspetto evidenziato da Tocqueville – secondo quanto affermato da Roberto L. Blanco Valdés nel contributo Il parlamentarismo presidenzialista spagnolo (in Alfonso Di Giovine, Anna Mastromarino, a cura di, La presidenzializzazione degli esecutivi nelle democrazie contemporanee, Giappichelli, 2007) – deriverebbe una certa omogeneità sociale di tutto il territorio americano che avrà particolari effetti rispetto alla costruzione dei regimi politici instaurati nel Nuovo Mondo una volta ottenuta l’indipendenza nazionale, tra i quali proprio lo sviluppo del sistema di governo presidenziale. Infatti, nel testo, l’autore scrive: “sarà proprio questa omogeneità sociale e la sua traduzione in termini istituzionali, in altre parole l’assenza sul territorio americano di monarchie assolute, ciò che, in America, condurrà – ed in un certo senso si potrebbe persino dire ciò che costringerà – a porre la questione relativa alla separazione dei poteri in termini diversi da quelli propri dell’esperienza inglese e successivamente dell’Europa continentale. Così, nel vecchio continente l’obiettivo perseguito dall’affermarsi del principio della separazione dei poteri sarà quello di garantire una ripartizione delle diverse attività costitutive dello Stato fra vecchi e nuovi soggetti politici (eredi dell’ancienne regime, da un lato, e figli della rivoluzione liberale e del conseguente costituzionalismo, dall’altra), conducendo alla costituzionalizzazione degli esecutivi dualisti, nei quali è presente un organo, il Capo dello Stato, destinato, nei fatti, a dare continuità, pur trasformandola, alla figura dei vecchi sovrani assoluti”. Per contro “nel territorio americano – nordamericano prima e più generalmente americano dopo – l’assenza storica di un monarca assoluto da inquadrare, politicamente e giuridicamente, nel nuovo schema istituzionale di divisione dei poteri dello Stato, permetterà di configurare un esecutivo di tipo monista, che non consente di concretare alcuna differenziazione politica e funzionale fra Capo dello Stato e Presidente del Governo, permettendo oltretutto di far derivare la legittimazione del potere esecutivo direttamente dalla stessa fonte di legittimità del potere legislativo: ovverosia dalla sovranità popolare”.

Blanco Valdés, inoltre, mette in luce come la struttura stessa dei sistemi presidenziali determini il margine di manovra politico e costituzionale di cui godono concretamente gli attori e le istituzioni dello Stato nella quotidiana soluzione dei problemi relativi al funzionamento della democrazia.

Nel dibattito politico  italiano che riguarda una possibile evoluzione in senso presidenzialista della forma di governo italiana si è registrato, sostanzialmente, una divisione omogenea sul punto tra chi è favorevole e chi , invece, non ritiene favorevole un cambiamento del sistema istituzionale del Paese.

Coloro che sostengono un mutamento istituzionale, ritengono che l’evoluzione in senso presidenzialista dello Stato consente di dare risposta adeguata al tema della governabilità. Le caratteristiche politiche ed economico-sociali della nostra epoca impongono di garantire decisioni tempestive, la possibilità di adeguare ogni giorno l’indirizzo politico. Questa prospettiva è incompatibile con la debolezza del sistema di governo italiano, così come definito dalle norme costituzionali, che si mostra incapace di raccogliere le sfide contingenti. Il presidenzialismo consente di garantire la governabilità, in primo luogo, attraverso un rafforzamento delle competenze e dei poteri di chi governa. Questo elemento è peraltro ravvisabile anche in altre forme di governo come ad esempio il cancellierato tedesco: la cancelliera tedesca Angela Merkel agisce come un Presidente americano grazie alla sua personalità e abilità. Ciò che contraddistingue tuttavia il sistema presidenziale dagli altri è invece l’impatto sulla governabilità del rapporto diretto tra persona e istituzione, mai tanto stretto come nel presidenzialismo. In Italia un modello di questo tipo è quello del Sindaco: soggetto vicino al popolo e direttamente controllabile nelle sue iniziative.

Mentre, chi critica fortemente tale possibilità, sostiene che in realtà alcune caratteristiche tipiche delle forme di governo dei sistemi presidenziali invalidano la loro efficacia sul piano della governabilità. In particolare, la capacità governativa è inficiata dalla rigidità della durata del mandato presidenziale, prestabilita e pressoché inalterabile. In questo tempo prestabilito è dimostrato che i presidenti hanno difficoltà a realizzare i loro programmi. Inoltre il sistema presidenziale, affidando il potere decisionale a un uomo solo, non risolve il principale problema del paese che non è quello dell’incapacità di accordo tra i partiti (e quindi di adottare in coerenza una decisione), ma piuttosto quello di rappresentare le istanze del popolo. La governabilità deve consentire di guidare una nazione, e non può dipendere esclusivamente dal consenso elettorale acquisito. Vi è, infine, da evidenziare che esportare il modello presidenziale in Italia non garantisce la soluzione al problema della capacità di governo in quanto il nostro paese ha delle caratteristiche eterogenee dal punto di vista culturale rispetto a Francia, USA ecc., che potrebbero estremizzare il sistema travisando la governabilità in forme unilaterali di decisionismo.

Oggi, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica riapre la discussione sulla possibile riforma in senso presidenziale del nostro sistema istituzionale, una riforma più volte proposta e sostenuta da diversi leaders politici, ma sempre bocciata dal dibattito politico. Difatti, non si è mai avuto il coraggio e la legittimazione politica che ha permesso tale passo politico.

Perché oggi si riapre la discussione? È evidente che la debolezza dei partiti politici e la mancanza di figure politiche che uniscono i vari campi politici, determina de facto come exit strategy dei partiti l’elezione di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio e , di conseguenza, un possibile Presidente del Consiglio dei Ministri di sua fiducia, per realizzare il Piano Strategico del PNRR, qualora non si andasse al voto anticipato.

In partiti politici, di fatto, sono quasi costretti al momento se non cambia lo scenario politico a sostenere la candidatura di Draghi, in quanto il centrodestra ha la candidatura di Silvio Berlusconi che non è condivisa da tutti i partiti e il centrosinistra ha una difficoltà nei numeri che per non perdere questa partita politica, ha due possibilità che sono due distorsioni del sistema costituzionale, ossia Mattarella Bis e Mario Draghi con un Presidente del Consiglio “ tecnico” per il PNRR. Insomma, sarebbe l’ora che si apra, finalmente, il dibattito sulle riforme costituzionali sia sulla forma di governo che sull’intero assetto istituzionale, ormai logorato dalla debolezza dei partiti politici che non riescono ad avere quella legittimazione politica, che hanno avuto dal dopoguerra al 1992.

Autore: Carlo Conte

Nato ad Eboli (Sa) nella città in cui si fermò Cristo. Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Salerno con tesi in Filosofia del Diritto; praticante avvocato. Da sempre, mi chiedo il perchè delle cose e provo a dare una spiegazione.

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