
Per Vico lo studioso da privilegiare per trattare di metafisica è senza dubbio Paolo Mattia Doria[1]. In effetti, nel pensatore genovese la metafisica determina buona parte del suo pensiero. Egli diventa filosofo metafisico in seguito ad alcune vicende della sua vita, che l’hanno reso protagonista.
D’altro canto, in età moderna, a partire da Cartesio, la metafisica rappresenta la tappa principale per ogni pensatore; e la stessa idea di metafisica, in quel periodo, muta. Invece la nel Medioevo la metafisica percorre gli stessi passi della teologia, poiché può essere un supporto rilevante per dare alcune risposte per quanto riguarda l’esistenza di Dio. In età moderna alla tradizionale conoscenza della metafisica fondata esclusivamente su problemi che vanno al di là della realtà stessa, si aggiungono altri due concetti ritenuti fondamentali: l’uomo e la natura.
A partire da Cartesio, lo studio della metafisica non incomincia da Dio, malgrado la religiosità di alcuni pensatori, bensì dall’uomo. I filosofi si rendono conto che le astrattezze di una metafisica alquanto arretrata non giova al pensiero; anzi, rende lo studio filosofico sempre più complicato. In realtà, c’è l’esigenza di comprendere e di esaminare l’uomo nei minimi dettagli; per poi giungere alla verità con decisa consapevolezza. Cartesio è l’iniziatore di una metafisica che parte dall’uomo e giunge a Dio e fino ad arrivare alle verità eterne.
A proposito di quest’ultima si legge nelle Meditazioni metafisiche, pubblicate nel 1641:
[…] Noi non concluderemo male, se diremo che la fisica, l’astronomia, la medicina e tutte le altre scienze, che dipendono dalla considerazione delle cose composte, sono assai dubbie ed incerte; ma che l’aritmetica, la geometria e le altre scienze di questo tipo, le quali non trattano se non di cose semplicissime e generalissime, senza darsi troppo pensiero se esistano o meno in natura, contengono qualche cosa di certo e d’indubitabile. Perché, sia che io vegli o che dorma, due e tre uniti insieme formeranno sempre il numero cinque, ed il quadrato non avrà mai più di quattro lati; e non sembra possibile che delle verità così manifeste possano essere sospettate di falsità e d’incertezza[2].
Dunque, con Cartesio i filosofi metafisici nell’età moderna si impegnano a capire quali siano quelle verità che reggono l’intera struttura del pensiero; per questo motivo la metafisica assume un significato nuovo e differente. L’uomo, essendo dotato di ragione, e percorrendo strade diverse, può dimostrare l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima: problemi su cui si erano occupati anche i filosofi medievali.
Sebbene la nuova metafisica di matrice cartesiana per certi aspetti abbia avuto qualche critica per alcuni problemi che non sono risolti con facilità, la filosofia di Cartesio fa il giro del mondo, sollecitando gli animi di diversi filosofi che sono curiosi di scoprire le novità del pensatore, che tanto fa discutere.
Con Cartesio iniziala filosofia moderna come processo di autonomia della ragione che si staccava dal pregiudizio e dalle inibizioni medievali:
Con Cartesio ha inizio la «rivoluzione copernicana» moderna che ha portato a costruire il mondo a partire «dalla coscienza che noi ne abbiamo» e il cui presupposto va rinvenuto appunto nel noli foras ire con cui Agostino ha legato la verità all’interiorità dell’uomo. Anche con la celebre distinzione tra res cogitans e res extensa, Cartesio ha solo approfondito filosoficamente questo rapporto tra interiorità e mondo esterno proprio del cristianesimo e secondo cui non è più l’uomo ad essere fenomeno del mondo, bensì il mondo una realtà esterna e residuale del nostro io[3].
Cartesio ha modo di fondare una metafisica a partire da problematiche di carattere gnoseologico, giungendo, poi, ad una chiarificazione del mondo, sia interiormente che esteriormente. Il mondo interiore, per il filosofo francese, è il punto nevralgico del suo intero pensiero. Infatti, il filosofo francese intuisce che per determinare correttamente la filosofia bisogna partire da principi solidi, come le verità matematiche e della geometria. Quindi, chiarire i propri dubbi è l’esercizio privilegiato del filosofo, poiché solo con un buon esercizio di meditazione, si può giungere ad una chiarificazione del proprio io a contatto con il mondo fenomenico.
Il dubbio è l’atteggiamento giusto per scardinare quei pregiudizi e tutte quelle conoscenze che sono radicate dentro il cuore dell’uomo. Cartesio ha il compito di sradicare quelle conoscenze che impediscono un corretto discernimento tra ciò che è vero e ciò che è falso.
D’altronde, all’inizio della prima meditazione, l’autore afferma che si è accorto di aver accolto una quantità notevole di false opinioni:
Già da qualche tempo mi sono accorto che, fin dai miei primi anni, avevo accolto come vere una quantità di false opinioni onde ciò che in appresso ho fondato sopra principi così mal sicuri, non poteva essere che assai dubbio ed incerto; di guisa che m’era d’uopo prendere seriamente una volta in vita mia a disfarmi di tutte le opinioni ricevute fino ad allora in mia credenza, per cominciare tutto di nuovo dalle fondamenta, se volevo stabilire qualche cosa di fermo e di durevole nelle scienze. Ma poiché quest’impresa mi sembrava grandissima, ho atteso di aver raggiunto un’età così matura, che non potessi sperarne dopo di essa un’altra più adatta; il che mi ha fatto rimandare così a lungo che, ormai, crederei di commettere un errore, se impiegassi ancora a deliberare il tempo che mi resta per agire[4].
Nel passo citato, si capisce come egli vuole scardinare le falsi opinioni del passato per giungere alla costruzione di un sapere certo, solido, che sia la base di tutte le altre scienze.
Però, è pur sempre necessario sciogliere tutti i dubbi che riguardano il proprio io. Per il filosofo francese alla base di ogni sapere deve presupporre l’esistenza dell’io, in quanto esistente nella realtà; poi, si può arrivare ad altre verità che riguardano il mondo.
Dunque, la formazione del metodo cartesiano non può prescindere dal percorso che doveva fare per giungere ai principi solidi e certi. Ed era questo il compito della metafisica, detta anche prima filosofia, provare a definire i principi e i contorni che reggono la conoscenza del mondo e della vita. Ecco perché Orlando Franceschelli, nell’introduzione al libro di Lowith, Dio, uomo e natura, sostiene l’idea che la metafisica classica si differenzi dalla metafisica moderna soprattutto sul modo con cui l’uomo conosceva sé stesso e il mondo circostante:
Nella classicità, invece, l’uomo poteva conoscere rettamente se stesso a partire dal suo rapporto con il cosmo e non con un Dio-persona, di cui sarebbe l’immagine. Come indicavano gli stessi Aristotele e Platone, il quale ricorda non a caso al «meschino omiciattolo» che la vita non si genera in funzione sua, ma lui viene «generato in funzione della vita cosmica»: una «estrema antitesi» – può commentare Lowith – dell’antropocentrismo biblico, da cui poi sarebbe sorta «l’intera meta-fisica della soggettività in tempo post-cristiani[5].
L’antica concezione della metafisica classica viene messa in crisi dopo l’avvento del cristianesimo, elaborando così una visione differente del mondo e di Dio rispetto al passato. Il punto fondamentale che segna fortemente la metafisica dell’età moderna è senza dubbio il nuovo rapporto dell’uomo con Dio e con il mondo. La ricerca dei principi che reggono la metafisica, e l’analisi di un problema complicato come sono le verità eterne, mettono a dura prova l’intellettuale di età moderna.
Tuttavia, è giusto chiarire che la metafisica moderna non ripudia gli antichi problemi che appartengono al campo dell’antichità. Anzi, il filosofo moderno, a partire da Descartes, si rende conto che bisogna iniziare dal basso, cioè dall’uomo, per arrivare, poi, a Dio, con strumenti sempre più efficaci. Ecco perché le diverse teorie della conoscenza favoriscono lo sviluppo della ricerca filosofica, tenendo anche conto dei problemi che derivano dalla metafisica. Perciò Cartesio è spinto dal desiderio di reiterare le questioni del passato, e rielaborarle alla luce del metodo.
Tuttavia, per ciò che riguarda personalmente Cartesio, l’Io che è cosciente di sé, che pensa e dubita, costituisce solamente il punto di partenza metodico muovendo dal quale si può, né più né meno, rendere scientificamente sicura la dimostrazione dell’esistenza di Dio e del mondo. Egli in questo riprende l’agostiniana ri-flessione (Reflexion) dal mondo esterno visibile sull’interiorità del proprio sé e del rapporto di questo con Dio, entrambi inaccessibili all’esperienza sensibile. Su un simile ripiegamento dalle cose del mondo, di cui si può fare esperienza sensibile, sul sé autocosciente poggiano l’intera ontologia dell’essere-cosciente successiva a Cartesio e la filosofia idealistico-trascendentale. […] È stato Cartesio ad escogitare la distinzione fondamentale tra res cogitans e res extensa. […] La dimostrazione dell’esistenza di Dio sorregge la verità e la certezza della conoscenza tanto della res cogitans quanto della res extensa; essa sorregge anche la verità matematica, mediante la quale il mondo fisico diviene costruibile e dominabile[6].
In effetti, Cartesio riprende l’idea dell’uomo rinascimentale, che era stato posto al centro dell’universo, riconosciuto come creato a immagine e somiglianza da Dio. Ecco perché il rovescio della medaglia si verifica con Cartesio, cioè: si passa da una visione medievale che precede Dio per giungere all’uomo, ad una visione contraria a quella del passato. Per giungere a Dio l’uomo moderno deve porre a fondamento della ricerca filosofica sé stesso, in quanto esistente e creato da Dio:
Accanto alla conoscenza di Dio, la giusta comprensione dell’anima rientra tra gli argomenti più importanti poiché, se l’uomo fosse animato solo nello stesso modo in cui lo è un animale, allora anche noi avremmo da sperare e da temere dopo la morte tanto poco quanto sperano e temono le formiche e le mosche[7].
Ma la filosofia di Cartesio non si esaurisce dopo la sua morte, e la sua figura è fondamentale negli anni a seguire. Le sue idee hanno larga diffusione nei salotti culturali e nelle accademie. Anche in Italia si diffondono diverse filosofie che favoriscono lo sviluppo culturale in quei luoghi. E le accademie che sorgono, malgrado le difficoltà politiche, hanno il compito di catalizzare il processo di trasformazione della cultura, che concede la possibilità di sviluppare nuove idee e di portare innovazione. Il cartesianesimo prende il sopravvento nelle accademie italiane: la metafisica, il rapporto anima-corpo, il problema delle sostanze, la gnoseologia cartesiana sono gli argomenti principali degli intellettuali italiani.
Anche in Italia meridionale, la filosofia cartesiana è all’ordine del giorno. La tradizione cartesiana spalanca anche le porte di Napoli; una città che a fine Seicento è ancora nelle mani del governo spagnolo. Pertanto, la tradizione cartesiana s’insinua tra gli ambienti culturali napoletani e di tutto il Regno. Inoltre, ci sono filosofi celebri che sanno testimoniare con entusiasmo il cambiamento culturale che si verifica alla fine del Seicento.
Tommaso Cornelio porta la “rivoluzione scientifica” anche a Napoli, e in collaborazione con Leonardo da Capua, fonda l’Accademia degli Investiganti, una delle accademie più prestigiose del Regno. Gregorio Caloprese e Costantino Grimaldi, altri filosofi meridionali, fondamentali anche per la formazione filosofica di Vico, sono convinti sostenitori della filosofia cartesiana.
Anche Paolo Mattia Doria risente dell’influenza della cultura napoletana di fine Seicento. Egli arriva a Napoli in seguito ad un viaggio fatto con la madre; inoltre, il giovane Doria deve risolvere i suoi problemi economici, poiché la sua famiglia, malgrado il prestigio nobiliare, s’indebita. A Napoli la vita è frenetica; nasconde anche dei lati poco piacevoli e poco adatti per un giovane come Doria, che subito si rende conto che la vita che conduce è superficiale e poco producente per i suoi studi e per la sua formazione. Infatti, successivamente, si trasforma in un filosofo metafisico, dando una svolta decisiva alla sua vita da un punto di vista culturale.
Pertanto, l’ambiente napoletano sollecita il filosofo genovese il quale incomincia a condurre degli studi intorno alle diverse correnti di pensiero filosofico presenti nella Napoli di fine Seicento.
Doria entra a far parte di quei circoli culturali per arricchire di nuove idee la sua filosofia. Tuttavia, il punto da cui iniziare a fare filosofia è senza dubbio la metafisica, una parte importante del suo pensiero. Inoltre, la metafisica funge da contraltare per stabilire i principi fondamentali della conoscenza:
Per questo tutti i suoi libri erano stati «di teorica e prattica», e su questo punto aveva sempre battuto, tenacemente convinto della necessità di un’ontologia di valori su cui fondare e da cui dedurre con ordine logico-geometrico le «massime» e le conseguenti «virtù» umane. Gli epicurei, i sensisti erano invece meri «prattici» che non intendevano le stesse cose che praticavano e, privi di conoscenze vere e universali, si dibattevano nella confusione, negli errori e nei vizi.
Questa forte istanza ideale, questa perentoria rivendicazione «metafisica», rifiutava le «tenebre dell’ignoranza», proprie dell’esperienza dei sensi che ci seppellisce nella materia, ed era la risposta che l’aristocratico platonismo tardo seicentesco di Doria dava, lungo una linea malebrancheana, al problema del rapporto teoria-pratica, conoscere-fare, idea-fatto, ripresentantosi a lui e alla generazione del suo tempo in termini decisivi sul terreno morale[8].
Egli fissa l’obiettivo di riesaminare la metafisica alla luce delle filosofie che si diffondono in Italia. Per fare filosofia bisogna partire dalla metafisica, considerata la struttura primaria del pensiero, da cui derivanotutte le altre questioni filosofiche. Perciò, comincia a confrontarsi con Cartesio; con il filosofo che è in voga in quel periodo nelle varie accademie. Doria analizza le Meditazioni cartesiane e comprende che la sua metafisica ha sì portato delle novità, però non andava oltre la mera teoria. Diversamente dagli altri suoi contemporanei, forti sostenitori delle idee cartesiane, afferma con fermezza che la metafisica deve essere sia teorica, indicando le questioni da analizzare, che pratica, cioè deve guidare l’uomo anche nelle questioni della vita ordinaria, come la politica. Ecco perché si accorge di qualche complicanza nella filosofia cartesiana.
Non è da trascurare la figura di Platone, indispensabile a quella di Doria. Ciò significa che ne conosce molto bene i suoi scritti. La metafisica del Doria si contrappone alle tesi di un altro pensatore altrettanto importante, Locke. La sua teoria della conoscenza non convince il filosofo genovese, poiché egli afferma che la conoscenza ha bisogno del sostegno di principi che la guidassero in un corretto percorso. E molte sono le critiche rivolte alla filosofia empirista. Le loro teorie, per la maggior parte dei filosofi, sono contrarie non soltanto sotto il profilo gnoseologico, ma anche sotto il profilo della religione cristiana.
Dunque, la filosofia del Locke è quasi bandita dagli studi filosofici italiani, salvo qualche considerazione sulla politica, soprattutto sul concetto di libertà. Ecco perché i filosofi italiani arrivano alla conclusione che la filosofia deve avere una funzione all’interno della società, anche perché la stessa società, a partire dalla fine del Seicento, sta subendo un processo di trasformazione, soprattutto a Napoli.
Da buon pensatore platonico Doria, quindi, vede nella metafisica la chiave per la soluzione di alcune problematiche inerenti alla conoscenza del mondo, sia in senso teorico che pratico. Uno studio approfondito della metafisica determina la conoscenza dei principi fondamentali sui quali si regge la realtà esistente. Senza la metafisica non vi è modo di conoscere. Ecco perché Doria parte da Cartesio, ritenuto un pensatore che ha condotto la filosofia ad una vera e propria rivoluzione del pensiero. Però, Doria è anche un buon conoscitore della filosofia degli Antichi. E, non a caso, come filosofo di riferimento, tra gli antichi, che viene preso in considerazione, è Platone.
A proposito di Platone e della sua filosofia e del loro modo di ragionare, Doria asserì:
Egli non è mio intendimento di dare in quello luogo un’intera notizia della Filosofia degli Antichi; questo credo di averlo fatto abbastanza nella mia Metafisica, e nei commenti da me accennati. Narrerò adunque in generale, ed in ristretto i fini, che Platone, Aristotele ed Epicuro (…), ed loro metodo di ragionare, che han seguito; e (però con ciò far vedere ancora in parte i pregi della loro Metafisica, e di tutta la loro filosofia; ed in vero non posso celar quello, che mi avvenne, quando, dopo aver studiato i moderni, lessi la filosofia di Platone[9] .
Doria legge Platone con grande entusiasmo intellettuale, ritenendolo fondamentale per la sua rielaborazione della metafisica. Il filosofo genovese assorbe tutto il suo pensiero, analizzando nel dettaglio tutti i suoi dialoghi, come il Parmenide, sul problema delle idee, il Timeo, e sul Fedone, in particolare sul problema dell’anima in rapporto al corpo. Prima di esaminare la “parte civile” del suo pensiero, c’è anche da dire che Doria deve fare i conti anche sul rapporto tra anima e corpo, un problema che è affrontato dagli antichi, ma in particolare da Cartesio e dai cartesiani. In effetti, alla luce del pensiero di Platone, Doria tenta di dare una spiegazione al problema. Il punto da cui partire per giungere al cuore della questione è senza dubbio il rapporto delle sostanze, lasciato in sospeso da Cartesio:
Renato nella seconda sua meditazione ha dimostrato, che esiste la mente, come una cosa pensante, ma non ha dimostrato, quale sia l’essenza della mente, cioè se sia forma spirituale realmente esistente nell’essere di forma; non ha dimostrato se sia modo del corpo; ed alla persona; non ha dimostrato quale sia l’essenza particolare dell’anima.
Renato nella terza meditazione ha dimostrato, che esiste una sostanza infinita, la quale è il soggetto primo di tutte le cose, che sono, ma non ha dimostrato, che Iddio sia intelligente, provido, né creatore; dunque può essere che Iddio sia in qualche modo l’autore del nostro pensiero, e che perciò il pensiero sia modo di Dio, o sia della sostanza infinita: Ma può essere altresì, che Iddio non abbia l’attributo di creare forme realmente esistenti, cioè dei corpi.
Ma se fosse così, le forme corporee sarebbero idee formalmente esistenti in nostra mente, e non avrebbero alcuna reale esistenza fuori della nostra mente, e con ciò sarebbero modi di Dio, senza reale esistenza di corpo in Dio, né fuor di noi. Ma se è così per il nostro assioma cioè, che noi non possiamo avere idea chiara e distinta di quelle cose, che possono essere di diversi modi cioè, che possono avere diverse essenza e diverse nature, o che possono non esistere, Renato non può dire di avere idea chiara e distinta del corpo, se prima non dimostra, che Iddio ha l’attributo di creare forme, che sono realmente esistenti fuori della nostra mente (…)[10].
Doria, per comprendere con attenzione i problemi che possono emergere dalla filosofia cartesiana, analizza nel dettaglio le Meditazioni. Infatti, il filosofo genovese sostiene l’idea secondo la quale, prima di dare una spiegazione al problema, bisognava esaminare i concetti di anima e di corpo presenti nella filosofia cartesiana.
Per un platonico come Doria l’anima è un problema non semplice da risolvere, ma èimportante ai fini della questione principale, cioè per quanto riguarda il rapporto tra anima e corpo:
I corollari son quelli che fan conoscere il valore delle proposizioni, dalle quali deducono. Ora la sentenza di Renato intorno all’anima dei bruti prova ancora la malizia, che si contiene nella sua proposizione attenente alla reale distinzione dello spirito dalla materia; che sia così. Egli non dà per esistente altro che due sostanze, cioè la materiale e la spirituale; e perché egli è alla sola sostanza, che attribuisce la facoltà di sentire, e quella d’intendere; da ciò ne deduce il seguente corollario cioè: che i bruti non hanno senso; e ciò fa perché se egli concedese senso ai bruti, sarebbe costretto ancora ad attribuirgli un’anima non solo sensiente, ma intelligente, come la nostra; e perciò s’appiglia allo stravagante partito di privarli di senso, e di nomarli macchine automate, e di senso prive. Ma chi non vede la stravaganza di quella siffatta sentenza certamente essa è tale, che costringe ogni uomo, che cerchi la ragione nelle cose, a ricorrere ad ogni altro principio, fuori che a quello, che conduce a credere, che i bruti non sentano dolore, quando avviene che siano da altri percossi; a cagion d’esempio. Se uno di quelli tali uomini, i quali non sanno conoscere gli errori, che li contengono in una falsa dimostrazione, e con ciò non sanno conoscere gli errori da noi accennati nella Metafisica di Renato, crederà certamente che i bruti siano vere macchine automate; ma se all’incontro la sua mente non potrà accotumarsi a ricever per vera una così stravagante opinione, com’è questa, s’appiglierà al partito di credere che gl’uomini siano, come i bruti, semplici macchine, e che perciò il sentire sia prodotto dalla macchina stessa. Se uno poscia è meccanico per modo che intende gl’errori, che si contengono nelle meditazioni di Renato, facilmente si farà credere che non vi sia altro, che una sostanza infinita, e che tutte le forme siano modi di quella; e con ciò non porrà alcuna differenza fra gli uomini, e i bruti animali[11].
In realtà, dalla lunga citazione riportata sopra, Doria tenta di esaminare il rapporto anima-corpo a partire dalla lettura della VI meditazione di Cartesio. Infatti, in essa, Cartesio vuole dimostrare, dopo un accurato esame dell’Io e di Dio, l’esistenza delle cose materiali nella realtà:
Non mi resta più ormai che esaminare se vi siano delle cose materiali; e, certo, almeno so già che ve ne possono essere, in quanto le consideriamo come l’oggetto delle dimostrazioni geometriche, visto che in questa maniera le concepisco molto chiaramente e distintamente. Poiché non vi è dubbio che Dio abbia la potenza di produrre tutte le cose che io sono capace di concepire con distinzione; ed io non ho mai giudicato che gli fosse impossibile di fare qualche cosa, se non allorquando trovavo contraddizione a poterla ben concepire. Di più, la facoltà d’immaginare che è in me, e della quale vedo per esperienza che mi servo, quando m’applico alla considerazione delle cose materiali, è capace di convincermi della loro esistenza: perché, quando considero attentamente che sia l’immaginazione, io trovo che non è altro, se non una certa applicazione della facoltà conoscente al corpo che le è intimamente presente, e che quindi esiste[12].
Tuttavia, in un altro punto importante, Cartesio giunge alla distinzione tra anima, in un altro passo la chiama spirito, e il corpo:
Per cominciare, dunque, questo esame, osservo qui, in primo luogo, che vi è una grande differenza fra lo spirito e il corpo, perché il corpo, di sua natura, è sempre divisibile, e lo spirito è interamente indivisibile. Quando, infatti, considero il mio spirito, cioè me stesso in quanto sono solamente una cosa che pensa, io non posso distinguere parti, mami concepisco come una cosa sola ed intera. E sebbene tutto lo spirito sembri essere unito a tutto il corpo, tuttavia se un piede o un braccio o qualche altra parte è separata dal mio corpo, è certo che nulla perciò sarà distaccato dal mio spirito. E le facoltà di volere, di sentire, di concepire, ecc. non possono propriamente esser dette sue parti: perché lo stesso spirito s’impiega tutto intero a volere, ed egualmente tutto intero a sentire, a concepire ecc. Ma è tutto il contrario nelle cose corporee o estese; perché non ve n’è nessuna, che io non rompa facilmente in pezzi col mio pensiero, che il mio spirito non divida con ogni facilità e, per conseguenza, che io non conosca essere divisibile. Il che basterebbe ad insegnarmi che lo spirito o l’anima dell’uomo è interamente differente dal corpo, se già non l’avessi appreso per altra via[13].
Tuttavia, Doria considera non esaustivo, non sufficiente, la distinzione analizzata. Il filosofo genovese afferma che bisognava dimostrare con attenzione l’esistenza dell’anima e del corpo, prendendo in considerazione la filosofia di Platone. L’obbiezione mossa da Doria si fonda sull’idea che Cartesio non ha fatto altro che dimostrare l’esistenza dell’anima e del corpo, senza darne una spiegazione esauriente. Invece, la distinzione tra anima e corpo, secondo Doria, è a posteriori, cioè Cartesio deve dimostrare il loro rapporto senza lasciare in sospeso alcun elemento.
Perciò il filosofo genovese trova insufficiente la distinzione tra anima e corpo, che ha compromesso, così, anche il loro rapporto. Anche il metodo che giova da un lato il pensiero critico, per le novità che sono introdotte nella filosofia non convincono il filosofo italiano. E non solo questo.
Doria critica, in parte, la metafisica di Cartesio anche per ciò riguarda Dio, ridotto ad un Ente che spinge l’uomo in una sorta di meccanismo naturale. In realtà nemmeno la teoria meccanicistica del Mondo, anche in senso fisico, non soddisfa. E la chiusura scaturita dalla fisica e dalla metafisica di Cartesio, per il filosofo italiano, fa perdere la venerazione nei riguardi della Filosofia degli antichi.
Pertanto, la metafisica, secondo Doria, ha un ruolo bene preciso: comprendere sì i punti fondamentali della realtà, ma è anche giusto raggiungere quella sapienza che permetta all’uomo di vivere una vita moralmente corretta, prendendo atto di tutto ciò che ha studiato.
D’altronde, Doria giunge alla conclusione che gli Antichi sono degli ottimi maestri per i moderni; infatti, secondo il filosofo italiano, per fare filosofia non basta soltanto la mera teoria. Anzi, la teoria e la prassi dovevano, in seguito alla distinzione tra anima e corpo, camminare di pari passo: devono essere, necessariamente, l’uno il sostegno dell’altro:
[…] Renato ha rovinato la Morale, e la Politica; imperciocchè non avendoci egli dato, siccome abbiamo dimostrato, non vero sistema di Metafisica, e ne meno regole ordinate in Politica, e di Morale; ognuno s’appiglia a quella massima di Morale, e di Politica, che in conseguenza della sua passione, li sembra di vedere più chiaramente e distintamente: e quindi, n’è avvenuto, che prendendosi da noi le virtù false, come vere, attribuiamo il glorioso titolo di Eroe ad uomini, i quali in tempo, che regnava la verace sapienza, e la verace virtù, sarebbero stati disprezzati come ignoranti, condannati come uomini viziosi[14].
Dunque, Doria arriva alla conclusione che la metafisica deve staccarsi dalle astrattezze che la rendono soltanto mera teoria, ma è opportuno che la metafisica abbia il compito di venire in aiuto anche alle questioni che riguardano la morale e la politica.
Bibliografia
- M. Agrimi, Le polemiche antigesuitiche di P.M, Doria, in Paolo Mattia Doria, fra rinnovamento e tradizione, a cura di AA.VV, Galatina Congedo editore, Lecce, 1985.
- Cartesio, Meditazioni metafisiche, in Opere filosofiche, traduzione di Adriano Tilgher, Laterza, Bari, 1996.
- M. Doria, Discorsi critici filosofici intorno alla filosofia degl’antichi, e de i moderni; ed in particolare intorno alla filosofia di Renato des-Cartes, Venezia, 1724
- Lowith, Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, Donzelli Editore, Roma, 2000
- Giambattista Vico, Vita scritta da se medesimo, a cura e con introduzione di F. Lomonaco, postfazione di Rosario Diana, contributo bibliografico S. Principe, Diogene Edizioni Napoli, 2012.
Biografia
Domenico Andreozzi, laurea magistrale in filosofia presso l’Università di Napoli Federico II. è dottorando presso la Pontificia Università Antonianum di Roma.
[1] Cfr. Giambattista Vico, Vita scritta da se medesimo, a cura e con introduzione di F. Lomonaco, postfazione di Rosario Diana, contributo bibliografico S. Principe, Napoli, Dioegene Edizioni, 2012.
[2] Cartesio, Meditazioni metafisiche, in Opere filosofiche, traduzione di Adriano Tilgher, Bari, Laterza, 1996, pp.19-20.
[3] K. Lowith, Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, Roma, Donzelli Editore, 2000, pp. 12-13.
[4] Cartesio, Meditazioni metafisiche, in Opere filosofiche, trad. Adriano Tilgher, Bari, Laterza, 1996, p. 17.
[5] K. Lowith, Dio, uomo e mondo nella metafisica da Cartesio a Nietzsche, Roma, Donzelli Editore, 2000, p. 10.
[6] Ivi, pp. 19; 25.
[7] Ivi, p. 27.
[8] M. Agrimi, Le polemiche antigesuitiche di P.M, Doria, in PAOLO MATTIA DORIA fra rinnovamento e tradizione, a cura di AA.VV, Lecce, Galatina Congedo editore, 1985, ivi p. 38.
[9] P. M. Doria, Discorsi critici filosofici intorno alla filosofia degl’antichi, e de i moderni; ed in particolare intorno alla filosofia di Renato des-Cartes, Venezia, 1724, p. 100.
[10] Ivi, p. 41.
[11] Ivi, pp. 58-59.
[12] Cartesio, Meditazioni metafisiche, in Opere filosofiche, trad. Adriano Tilgher, Bari, Laterza, 1996, p. 67.
[13] Ivi, pp. 79-80.
[14] P. M. Doria, Discorsi critici filosofici intorno alla filosofia degl’antichi, e de i moderni; ed in particolare intorno alla filosofia di Renato des-Cartes, Venezia, 1724, p. 64.