Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Storia del concetto di disabilità: come un’epoca buia dia luce al buio dei giorni nostri

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Abstract

Dallo studio della storia della disabilità e dalla lettura delle  fonti che trattano il medesimo tema seppur con un lessico differente, emergono con chiarezza alcune considerazioni.
Se con il passare del tempo rimane inalterato il nucleo della questione che riguarda un elemento oggettivo ovvero la pluralità di condizioni fisiche o mentali di coloro che vivono in una medesima situazione o contesto sociale, siano esse malate, menomate o con problemi psichici; dall’altro risulta chiaro come proprio a seconda delle circostanze vengano applicate a codeste persone etichette che concernono il tema della disabilità a seconda del periodo storico.
L’invito che sorge spontaneo a partire da questa analisi è quello di ribaltare il punto di vista rispetto al problema: perché guardare alle singole persone cercando per loro soluzioni attraverso cui potersi sentire parte di un sistema quando si può operare sul sistema rendendolo accessibile ad ogni persona? La storia infatti ci mostra come sia impossibile dare la giusta attenzione ad ognuno, rischiando seppur partendo da buoni presupposti, di emarginare ora un ‘gruppo’ ora un altro. Rovesciando la questione, le etichette verrebbero cancellate ed assieme ad esse anche i pregiudizi che in parte nascono e muoiono con le epoche, in parte vengono ereditati da quelle precedenti.
La storia della disabilità mostra esattamente questo: a volte è necessario cambiare punto di vista per scoprire che in realtà un nuovo paradigma è possibile.

Parole chiave:

Disabilità, normalità, pregiudizio, medioevo, storia. 

Sommario:

Un contenitore di luoghi comuni che può aiutare a sconfiggerne altri.

Imago Christi e tradizione popolare: relazioni e contraddizioni.

La disabilità nella novellistica: il Decameron.

«La disabilità è un fenomeno differenziato e complesso, la cui individuazione e definizione non dipendono solo dalle menomazioni fisiche, mentali o sensoriali, ma anche da condizioni sociali e culturali nelle quali esse si collocano». (S. Carraro, Non ha utilità adguna. Essere disabile nel medioevo, p. 9).
Ciò significa che la categoria della disabilità non concerne unicamente un piano metastorico, bensì si articola anche su un piano mutevole che porta a ridefinire il concetto in ordine ad un determinato periodo storico e ad una determinata società. «L’idea della disabilità è legata indissolubilmente al modo in cui la collettività rappresenta e descrive se stessa e a ciò che reputa normale e/o anormale» (R. Medeghini, E. Valtellina, Quale disabilità? Culture, modelli e processi di inclusione, p.11).
È la società che decide se una persona è disabile o meno, aldilà degli oggettivi problemi che tale persona può avere e che senza dubbio non vanno ignorati.
Dimostrare come la disabilità sia qualcosa di estremamente variabile può aiutare a combattere la macchia del pregiudizio che al contrario si radica in maniera profonda.
Sebbene il concetto di disabilità abbia un’origine molto recente, è utile indagare il tema da un punto di vista storico. Una domanda sorge spontanea: le persone hanno sempre avuto nella storia dei secoli problematiche fisiche, psicologiche o di salute; come mai allora il concetto di disabilità nasce solo a partire dagli anni ’70? Conferma, questa, del fatto che la disabilità non appartiene intrinsecamente alla persona ritenuta disabile, si tratta piuttosto di un termine che viene attribuito dalla società che ne determina i criteri. Allo stesso tempo, proprio perché la storia ha raccontato di persone emarginate per le loro deformazioni fisiche, per malattie mentali e via dicendo, è utile indagare il tema sotto un profilo che tenga conto del processo storico attraverso cui si è venuto a creare il concetto di disabilità.
In questo elaborato dunque, Il termine “disabilità” e le sue declinazioni verranno utilizzate in modo anacronistico, tenendo presente però che tutto ciò che questo tema implica, come si noterà, non lo è affatto.
In passato infatti sono state utilizzate categorie differenti che contenevano a loro volta un lessico diverso dal nostro, decisamente offensivo per riferirsi a persone ritenute disabili.
Si scorgeranno però molte somiglianze con il modo presente di guardare alla disabilità e questo può suscitare numerosi interrogativi utili a ripensare al nostro modello perché solitamente si è più critici verso ciò che si ritiene altro da noi, scoprendo infine con stupore che non siamo poi così diversi né migliori.

Un contenitore di luoghi comuni che può aiutare a sconfiggerne altri

Il Medioevo è considerato da gran parte della storia contemporanea come “età buia”, in realtà questo appellativo rispecchia il modo in cui l’epoca medievale viene utilizzata, ovvero come contenitore di luoghi comuni. Un’età distante, dionisiaca e a tratti perturbante che si oppone alla modernità dominata dalla scienza e dall’ordine, da quella rinascita culturale che sul finire del tredicesimo secolo cerca le sue radici nell’apollineità classica. Proprio al Rinascimento si deve questa immagine del Medioevo che è rimasta intatta nei secoli giungendo alla storiografia ottocentesca senza troppe mutazioni.
Gli intellettuali rinascimentali utilizzarono i duri anni di crisi, carestie e pestilenze che avevano caratterizzato il Trecento per indicare l’intera epoca medievale intendendo il passato più lontano simile a quello recente da cui erano con fatica usciti e dal quale si erano con orgoglio allontanati. (G. Sergi, L’idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, pp. 21,22).
La storiografia recente ha invece riscattato l’idea di Medioevo dipingendola al contrario come un’epoca ricca di eventi che hanno segnato il corso della storia e della cultura, ma anche alveo di invenzioni quali ad esempio la rotazione delle colture in ambito agricolo e sotto il profilo politico come culla della moderna Europa.
Ciò che giunge a noi è un Medioevo costituito da un lato affascinante e positivo che si riassume nelle immagini dei tornei tra cavalieri, castelli e radure incantate, dall’altro un lato oscuro ed orrido che riguarda le pestilenze, la povertà, il sopruso dei potenti e le torture.
A partire dal crollo dell’Impero Romano e le cosiddette invasioni barbariche vi è la necessità di costruire un nuovo ordine sociale, culturale e politico. Mentre l’aristocrazia guerriera utilizzava la coercizione e il possesso delle terre per esercitare il suo potere; la Chiesa divenuta ormai un’istituzione non solo spirituale ma anche temporale, guidava le anime e imponeva il suo dominio sulla popolazione con strumenti quali la confessione e l’Inquisizione. Proprio il rapporto tra i gruppi sociali e coloro che li dominavano, favorì la nascita di nuove categorie, di un nuovo ordine e di nuovi statuti giuridici. (L. Provero, M. Vallerani, Storia medievale, Prefazione).
Come si può collocare in questo periodo storico così contraddittorio, a tratti ancora misterioso, controverso ed estremamente diversificato al suo interno, il concetto di disabilità?
Innanzitutto, in epoca medievale veniva utilizzato come già accennato, un lessico che si potrebbe ritenere crudele; erano adoperati termini come impotens cioè incapace o defecti ovvero difettosi. In realtà è bene ricordare come anche al giorno d’oggi appellativi come ‘invalido’, sebbene entrati nell’uso comune, siano a dir poco offensivi.
La considerazione della disabilità si traduceva raramente in percezione della malattia separata dalla persona, bensì veniva invece interpretata talvolta alla luce della superstizione e della tradizione popolare, talvolta attraverso la Parola di Dio. Solitamente infatti la disabilità era intesa come punizione divina per un peccato commesso o in alternativa come conseguenza della corruzione del demonio, concernendo dunque la responsabilità della persona: essere uomini o donne affetti da una disabilità era una colpa. Uno stigma dunque che se da un lato suscitava orrore, paura e sospetto; dall’altro invece attirava la compassione di chi guardava ai defecti con occhi di pietà e carità. Si tratta dunque di un tema molto intricato e polivalente da indagare in un periodo storico altrettanto complesso.
L’interesse per la storia della disabilità è di fatto molto recente e si è sviluppato in particolar modo grazie a studiosi anglosassoni e tedeschi mentre in ambito italiano sono stati pubblicati diversi contributi che però non costituiscono un vero e proprio filone di ricerca, sono piuttosto a sé stanti. Proprio per queste ragioni il tema risulta ancora più interessante e offre una molteplicità di strade da poter percorrere.

Imago Christi e tradizione popolare: relazioni e contraddizioni

L’ epoca medievale è dominata dal sempre maggiore potere della Chiesa così come la cultura medievale è influenzata dal cristianesimo. I criteri e i parametri che hanno portato ad identificare la disabilità nel Medioevo, nonostante non venisse chiamata in questo modo, oscillano quindi tra elementi religiosi ed elementi di tradizione popolare.
Nella Bibbia, che i teologi e gli intellettuali medievali consideravano una guida non solo per quanto riguarda l’etica e la spiritualità ma anche rispetto all’intero sistema del sapere, «vengono descritte almeno duecento situazioni di persone con disabilità». (L. Nota, M. Mascia, T. Pievani, Diritti umani ed inclusione, p. 76).
In un passo del vangelo di Giovanni, gli Apostoli, trovandosi dinnanzi ad un uomo nato cieco si domandarono: “Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, dato che è nato cieco?”(Gv, 9,2)
Il maestro a questo punto rispose: “Né lui peccò e neanche i suoi genitori; ma è così affinché le opere di Dio siano manifeste in lui” (Gv, 9,3).
 Questo brevissimo dialogo contenuto nel Libro Sacro, rappresenta esattamente il primo degli approcci che i medievali avevano nei confronti della disabilità, quadro che veniva completato con l’immagine del Cristo sofferente.
Le persone affette da menomazioni o problematiche fisiche erano ritenute, come già affermato, colpevoli di un peccato commesso da loro stessi; nel caso in cui la disabilità si manifestasse a partire dalla nascita, invece, la colpa si riteneva fosse dei genitori in particolar modo della madre, rea di aver commesso adulterio o implicata in casi di stregoneria. Questo portava molto spesso all’abbandono del bambino affetto da malattie più o meno invalidanti presso i brefotrofi amministrati dagli ordini monastici. Non si trattava di un fenomeno concernente solo le classi meno agiate, bensì si riscontra la medesima attitudine di ‘nascondere’ gli infanti menomati anche negli strati alti della società. Accadeva spesso che i neonati venissero affidati alle cure di un monastero o di un convento che veniva ampiamente risarcito “per il disturbo” dalla famiglia nobile.
Da ciò deriva una concezione della disabilità che porta all’emarginazione e al sospetto. A questo si aggiungeva la superstizione tipica della tradizione popolare secondo cui i malati erano posseduti dal demonio o avevano intrattenuto relazioni con esso così da esser stati corrotti. Proprio perché segnati da una punizione divina o in quanto simboli di Satana, queste persone avevano la possibilità di essere guarite unicamente grazie all’intervento di Dio misericordioso e dunque per mezzo di un miracolo.
Un secondo approccio si riscontra nel modo di guardare al pauper o al defectus come occasione per redimersi dal peccato facendo loro elemosina e carità, un atteggiamento questo che spesso si riscontra al giorno d’oggi e può far riflettere. Non sempre infatti il volontariato è compiuto in modo disinteressato, bensì attraverso le buone azioni ci si sente egoisticamente realizzati e ci si convince di essere brave persone.
In ultima istanza, si ricorda un altro passo della Bibbia, questa volta tratto dal vangelo di Matteo: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt, 25,40).
Questo verso ha una portata universale, il suo messaggio è quello di aiutare chiunque abbia necessità e si trovi in una condizione di sofferenza. La stessa sofferenza che Gesù ha provato morendo sulla croce per la salvezza dell’umanità. La persona disabile allora diviene Imago Christi, nei suoi confronti si esercita un atteggiamento di protezione e di pietà all’insegna del fatto che tutti siamo figli dello stesso Dio e dunque fratelli.
Quello che si riscontra in epoca medievale, è un atteggiamento estremamente polivalente che nel presente elaborato si è cercato di semplificare; sarebbe da tener conto infatti anche delle varie declinazioni e modificazioni che queste attitudini hanno in relazione allo scorrere dei secoli nel Medioevo; tale intento però porterebbe in questa sede a dilungarsi oltremodo.

La disabilità nella novellistica: il Decameron

Le fonti dalle quali si può estrapolare l’atteggiamento della società nei confronti della disabilità non sono unicamente i testi biblici, agiografici o quelli legislativi bensì un interessante contributo è offerto anche dalle novelle che costituiscono uno scrigno in cui è celato lo specchio forse più puro e disinteressato della realtà medievale, fornendo quindi un grande apporto alla questione in analisi.
Molto spesso le persone con difetti fisici o intellettivi sono i protagonisti delle vicende narrate, maltrattati e messi alla berlina per suscitare il riso delle folle; altre volte invece è la stessa disabilità ad essere messa a tema proprio come accade in due celebri novelle del Boccaccio contenute nel Decameron.
La prima novella ha come protagonista Masetto da Lamporecchio, uno scaltro contadino che si finge muto per suscitare la pietà di alcune monache le quali lo accolgono come manovale e tuttofare nel loro monastero. Invaghite del giovane, le monache divengono le sue amanti, convinte che il ragazzo non possa proferire parola.
Quando Masetto comunica di aver per miracolo ritrovato la parola, la Badessa del monastero che aveva anch’essa intrattenuto rapporti sessuali con il giovane, decide di renderlo amministratore del monastero così che mantenga il segreto.
La novella apre la terza giornata del Decameron che ha come tema l’astuzia di coloro che riescono con l’ingegno e la beffa ad ottenere dei vantaggi.
Innanzitutto, è interessante notare l’intento dell’autore: Boccaccio infatti utilizza la disabilità o presunta tale come stratagemma letterario al fine di suscitare ambiguità e di conseguenza il riso del pubblico; approccio che a pensar bene si ritrova ancor oggi in molti sketch comici e che porta a riflettere. È corretto che vi siano luoghi o modi di utilizzare la disabilità all’insegna dell’ironia senza che questo sia considerato un problema?
Proseguendo, si può considerare la novella come indice di ciò che realmente accadeva nella società. Le persone sorde, a differenza dei cieconati venivano in una certa misura integrati nel tessuto sociale in quanto potevano svolgere lavori umili dal momento che la loro disabilità solitamente intaccava solo in parte la capacità di comprensione e per nulla quella fisica. I cieconati al contrario venivano emarginati e molto spesso fatti oggetto di scherno; attorno a loro si creò un clima di pregiudizio alimentato dalla superstizione, quasi che la loro cecità fosse una punizione divina contro un peccato commesso da chi li aveva messi al mondo. Dal momento che non potevano svolgere alcun tipo di lavoro, andavano così ad ingrossare le fila dei paupers chiedendo l’elemosina ai piedi delle chiese.
Un ulteriore elemento che si avvince dalla novella succitata ma anche da quella che verrà di seguito esposta, è quello degli impostori. In epoca Medievale, in particolar modo nel Trecento, secolo di grande povertà e teatro di pestilenze e carestie, coloro che si fingevano invalidi per suscitare pietà e ricevere l’elemosina erano innumerevoli. Questo fenomeno portò ad alimentare il sospetto e la diffidenza verso tutti i mendicanti, anche verso coloro che realmente necessitavano di aiuto facendo sì che venissero ancor più emarginati.
Per combattere questo fenomeno, vennero redatti dei manuali del travestimento e della truffa, al fine di individuare i “falsi invalidi”. Al loro vi è la descrizione di persone che si fasciavano gli arti con bende affermando di essere infermi, altri che si fingevano folli incatenandosi e si lacerandosi le vesti; altri ancora si coprivano gli occhi con bende tinte di rosso per simulare il sangue». (B.Geremek, Mendicanti e Miserabili nell’Europa moderna: 1350-1600, pp 157-158).
Avvenne di fatto un processo di assimilazione tra falsi invalidi e persone con disabilità.
Un tema questo estremamente attuale: 3 marzo 2020, «La guardia di Finanza di Legnago ha scoperto e denunciato un falso invalido che aveva percepito illegalmente 270 mila euro dall’Inps. L’uomo […] si era presentato davanti alle commissioni sanitarie in carrozzina e dal 2005 era riuscito a farsi dare l’invalidità civile al 100%». (Corrieredelveneto.corriere.it; di Redazione Online, 3 marzo 2020.)
Nonostante siano passati all’incirca settecentoventi anni, le cose non sembrano poi cambiate di molto. È necessario allora non far sì che avvenga lo stesso processo di assimilazione che può portare a guardare con occhio di sospetto chi necessita di fondi e sussidi utili a condurre una vita dignitosa.
La seconda novella in questione racconta di un tal Martellino da Firenze che giunge a Treviso con due suoi compaesani. Non appena arrivati nella città veneta, i tre si imbattono nella cerimonia di santificazione di un importante signorotto da poco deceduto, di nome Arrigo. Martellino allora finge di essere storpio per farsi largo tra la folla e raggiungere il corpo del Santo per ricevere un miracolo, ma viene presto smascherato da un suo compaesano. Dopo esser stato incarcerato e torturato ottiene attraverso una serie di stratagemmi la grazia al Podestà e viene liberato. Questo racconto apre la seconda giornata del Decameron che ha come tema chi è affetto da problemi o si trova in situazioni avverse ma nonostante ciò, giunge per grazia ad un lieto fine.
Il primo punto da mettere a fuoco riguarda il legame già precedentemente menzionato tra disabilità e miracolo che riporta ancora una volta al tema della superstizione. Si riteneva infatti che la causa di una malformazione o di una malattia fosse dovuta ad una punizione o ancor peggio alla presenza del demonio nel corpo della persona affetta da disabilità. Per questo motivo come ci racconta la novella, solo con l’aiuto di Dio per mezzo di un miracolo era possibile guarire da quella condizione infausta.
La seconda questione su cui pare interessante soffermarsi riguarda l’ approccio verso i cosiddetti storpi ovvero coloro che erano affetti da una deformità che intaccava in particolare gli arti. Nei confronti di quest’ultimi si verificò lo stesso fenomeno che portò ad un clima di sospetto attorno ai medicanti invalidi per assimilazione ai malfattori; le persone storpie infatti vennero accomunate a delinquenti ed assassini che come pena per i loro crimini avevano subito una mutilazione. Era infatti uso in epoca medievale esercitare la giustizia con pene ritenute commisurate ai crimini: ad un ladro ad esempio venivano mozzate le dite o addirittura le mani cosicché non avrebbe più potuto utilizzarle per compiere il medesimo reato. Era dunque anche la giustizia stessa a produrre persone affette da disabilità; vi erano infatti numerose pene corporali e invalidanti annotate nelle legislazioni delle città negli ultimi due secoli del Medioevo. «Oltre ad avere finalità intimidatorie e ammonitive, tali pene avevano anche lo scopo di individuare i colpevoli particolarmente pericolosi». (S. Carraro, “Non ha utilità adguna”. Essere disabile nel medioevo,p. 25).
A Venezia ad esempio si soleva amputare orecchie e naso ai delinquenti cosicché venissero riconosciuti dal popolo e allontanati: uno stigma che poco si addiceva alla possibilità di redenzione professata dalla Chiesa e alla misericordia di Dio. Ad ogni modo era molto complesso distinguere coloro che erano affetti da menomazioni per nascita, per cause ritenute giuste e lodevoli come la guerra o il lavoro, e i delinquenti; difficoltà che si aggiungeva a quella di riconoscere chi fingeva da chi aveva bisogni reali.
Un processo di emarginazione e motore del pregiudizio che viene riportato nelle novelle del Decameron quando ha già raggiunto il suo apice così da poter essere utilizzato in letteratura per suscitare il riso dei lettori. 
Pensiamo ad oggi, al nostro approccio in relazione a questo delicato  tema che spesso viene dato per scontato o non affrontato in quanto scomodo. 

Il passato ci aiuti a illuminare i nostri giorni, cosa è cambiato in così tanti secoli? 

Bibliografia

G. BOCCACCIO, Decameron, a cura di V. Branca, Mondadori, Milano 1985.

S. CARRARO, “Non ha utilità adguna”. Essere disabile nel medioevo, da Archivio Storico Italiano a. 175 n. 651, Leo S. Olschki Editore, Firenze 2017.

B. GEREMEK, Mendicanti e Miserabili nell’Europa moderna: 1350-1600, Laterza, Roma 1989.

R. MEDEGHINI, E. VALTELLINA, Quale disabilità? Culture, modelli e processi di inclusione, Franco Angeli, Milano 2006.

L. NOTA, M. MASCIA, TELMO PIEVANI, Diritti umani ed inclusione, il Mulino, Bologna 2019.

F. PANERO, Schiavi, servi e villani nell’Italia medievale, Paravia Editore, Torino 1999.

A. PROSPERI, Tribunali della coscienza, Einaudi Editore, Torino 2009.

G. CANTARELLA, V. POLONIO, R, RUSCONI, Chiesa, Chiese, movimenti religiosi, Laterza, Roma-Bari 2001.

L. PROVERO, M. VALLERANI, Storia medievale, Le Monnier Università, Firenze 2016.

M. SCHIANCHI, Storia della disabilità. Dal castigo degli dei alla crisi del welfare, Carrocci Editore, Roma 2012.

G. SERGI, L’idea di Medioevo. Fra storia e senso comune, Donzelli Editore, Roma 1998.

G. SERGI, L’aristocrazia della preghiera. Politica e scelte religiose nel medioevo italiano, Donzelli Editore, Torino 1995.

G. TABACCO, G.MERLO, Medioevo, il Mulino, Bologna 1981.

G. TODESCHINI, Visibilmente crudeli. Malviventi, persone sospette e gente qualunque dal Medioevo all’età moderna, il Mulino, Bologna 2007.

C.VIOLANTE, Prospettive storiografiche sulla società medioevale. Spigolature, Franco Angeli, Milano 1995.

Sitografia

Corrieredelveneto.corriere.it; di Redazione Online, 3 marzo 2020.

https://www.disabiliabili.net/blog/post/5310-disabilita-nella-storia

Biografia dell’autore

*Laura Busetto, nata a Venezia nel 1998 si è laureata in filosofia a Padova nel 2019 con una tesi su Ildegarda di Bingen. Iscritta al corso di laurea in Scienze Filosofiche, si trova attualmente a Parigi per completare il suo lavoro di tesi. I suoi interessi spaziano in particolare dalla filosofia alla teologia medievale.  

2 thoughts on “Storia del concetto di disabilità: come un’epoca buia dia luce al buio dei giorni nostri

  1. Complimenti! Un articolo che, sollevando un po’ le coperte della storia, svela alcuni pregiudizi sulla disabilità che ancora oggi, a secoli di distanza dal Medioevo e dal Decameron, sono ben radicati. Fa riflettere molto! Grazie!

  2. Grazie a Lei, mi fa molto piacere che l’abbia apprezzato.

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