> di Paolo Calabrò
It Follows, di David Robert Mitchell (2014), si apre con una ragazza che fugge da qualcosa di invisibile: un minuto dopo, l’inseguimento ha termine sulla spiaggia, dove la vediamo uccisa brutalmente. Dopo questo prologo, si passa alla storia di Jay, che esce con Hugh, un ragazzo conosciuto da poco. Una sera i due ragazzi si appartano in macchina e hanno un rapporto sessuale; in seguito, Hugh spiega alla ragazza di essere stato perseguitato da un’entità malvagia, e che l’unico modo di liberarsene è fare l’amore con qualcuno. Ora che Hugh ha passato a Jay la maledizione, sarà lei a essere inseguita, finché non troverà qualcuno col quale avere un rapporto. Attenzione, però: se questi muore, la maledizione torna indietro e, con essa, il persecutore.
La critica, unanimemente entusiasta, ha proposto del film varie interpretazioni. Si è parlato di IT (l’entità che segue le persone per fargli del male) come dell’“incarnazione del Male assoluto”; come metafora delle malattie sessualmente trasmissibili; come ciò di cui si ha paura perché ignoto e privo di senso; come metafora della condizione umana mortale. Nessuna di queste mi convince a fondo, di seguito spiego perché. E propongo una nuova interpretazione che a mio avviso è in grado di reggere alle critiche tenendo uniti tutti i pezzi.
Prima interpretazione: il Male assoluto
Il Male assoluto è un’idea astratta, nessuno ne fa esperienza se non magari riconoscendolo a posteriori nella ricostruzione di qualche filosofo. Ciò di cui invece facciamo tutti esperienza, proprio come i personaggi del film, è il male concreto, tangibile, quello che la vita ci fa, spesso attraverso gli altri, e che ci troviamo costretti a fronteggiare in momenti e in modi che non avremmo immaginato. È proprio questa concretezza a rendere il film tanto efficace, senza che intervenga un richiamo esoterico o un rinvio a dimensioni ulteriori ad attutirne l’impatto. Il male – e la paura di subirlo – genera angoscia qui e ora. Non sempre uccide: spesso dal male è possibile difendersi, fuggire o perfino reagire; ma, quando colpisce, lo fa sempre in maniera improvvisa, inaspettata e senza che si sia fatto niente per meritarselo (aspetto sul quale si tornerà in seguito).
È lo stesso regista a mettere in scena la contrapposizione tra una visione teorica del Male – nella figura della giovane Yara che legge Dostoevskij e discetta delle implicazioni del vivere e del morire, senza sapere letteralmente di cosa stia parlando alla sua giovane età – e la concretezza del dolore da parte di chi lo subisce, al quale gli altri non credono: chi gli sta accanto pensa che abbia le allucinazioni, perché IT è visibile solo a chi ne è perseguitato. In questo si può leggere un richiamo all’Abel Ferrara di The Addiction, dove la protagonista, studentessa di filosofia, si trova a spiegare questa stessa differenza tra il male concreto e quello astratto alla sua amica che, basandosi unicamente su ciò che ha letto o ascoltato a lezione, crede di sapere già tutto sul male e sulla morale (senonché, una sola esperienza sarà sufficiente a stravolgere le sue convinzioni).
Seconda interpretazione: le malattie sessualmente trasmissibili
Non convince l’idea di IT come metafora delle malattie sessualmente trasmissibili, in primo luogo l’AIDS, come è stato ipotizzato: se è vero che i giovani protagonisti, tutti alla soglia dei vent’anni, sono ossessionati dalla scoperta del sesso (e dai suoi rischi intrinseci), è pur vero che molte malattie veneree non sono temibili come IT (essendo curabili) e che dal canto suo l’AIDS lo è invece di più (IT non sempre uccide). Se la metafora fosse quella della malattia venerea, d’altronde, non ci si libererebbe di essa passandola a un altro.
Terza interpretazione: la mancanza di senso
Anche l’idea che il film parli della “paura dell’ignoto come impossibilità di senso” sembra debole. Nella storia narrata da Mitchell non c’è infatti una ricerca frustrata di senso, se non quella dei personaggi che si interrogano sull’essere giovani e sul diventare adulti, i quali sanno tuttavia bene cosa vogliono e nulla li ha ancora indotti al cinismo o al nichilismo; d’altro canto, non hanno ancora maturato nessuna esperienza significativa, e ridono di quella che fino a poco fa sembrava loro un punto di passaggio: il primo bacio. Ciò che si vede, invece, è il male che comincia ad accanirsi contro alcuni di loro senza che nessuno di essi abbia fatto niente per meritarselo. Di chi sarebbe la colpa, infatti? Di chi fa sesso in maniera imprudente? O libertina? Non c’è libertinismo nel film e non vi si rinviene nessuna inclinazione moralistica. È vero piuttosto che Jay non farebbe mai sesso con Hugh, l’inizio del film, se sapesse cosa la aspetta: a testimonianza del fatto che questo male, comunque lo si voglia intendere, ti capita fra capo e collo e tu non puoi fare niente per prevenirlo; puoi solo cercare di trovare un modo per correre ai ripari.
Quarta interpretazione: l’umana mortalità
Ancora, si è cercato di intendere il senso di IT come metafora della morte, basandosi sulla citazione finale che Yara legge nel letto d’ospedale dal suo inseparabile e-reader a forma di conchiglia: «Ma forse la sofferenza principale e più terribile non è quella causata dai tormenti, bensì dal fatto che tu sai con sicurezza che, ecco, tra un’ora, poi tra dieci minuti, poi tra mezzo minuto e infine proprio ora, in questo stesso istante, l’anima volerà via e tu non esisterai più come uomo, e che tutto questo è sicuro; anzi, il peggio è che è sicuro. Ecco, quando appoggi la testa sotto quel coltello e lo senti scivolare sopra il tuo capo, ecco, proprio quel quarto di secondo dev’essere la cosa più terribile». In effetti, IT è qualcosa che si dirige verso di te, lentamente ma inesorabilmente: non sai quando riuscirà a raggiungerti, ma sei certo che prima o poi accadrà. Anche questa spiegazione sembra però riduttiva e tutto sommato inattinente. In primo luogo perché lascia inevasa la domanda: perché la morte – che è unica – dovrebbe assumere di volta in volta sembianze diverse nel corso della persecuzione? IT assume infatti l’aspetto di coloro che incontriamo – o che potremmo incontrare – nell’arco della nostra vita e che rischiano ogni volta di farci del male. (Al punto che coloro che sono perseguitati confondono ricorrentemente IT con qualcuno che si sta avvicinando senza nessuna cattiva intenzione o per puro caso: così accade sia a Jay sia a Hugh; Greg, addirittura, non riesce a riconoscere IT quando si trova davanti la figura di sua madre). In secondo luogo, la maledizione di IT viene trasmessa deliberatamente da una persona all’altra: il che esclude che IT possa essere la morte, perché ciò implicherebbe che le persone diventino mortali all’improvviso, al momento del loro primo rapporto sessuale. Al contrario, è da sempre mortale anche il bambino che Hugh invidia nel cinema perché vede in lui una diversità fondamentale: non certo la mortalità (perché anche il bambino è mortale fin dalla nascita, come tutti i viventi), bensì l’innocenza, la libertà che consiste nel non dover fare i conti con il male, cosa cui solo gli adulti sono sottoposti. “Può farsi pipì addosso quante volte vuole e nessuno gli direbbe niente” dice Hugh. Scoprire IT e cominciare a fuggire da lui giorno dopo giorno è roba da grandi, qualcosa che scatta con la maturità e con la fine, appunto, dell’età dell’innocenza.
Il sesso
L’aspetto più importante e pervasivo del film – a questo punto è evidente – il sesso. Sesso che è a sua volta metafora: metafora dell’amore. Diciamo di voler amare qualcuno – lo facciamo anche attraverso il sesso, facciamo l’amore con lui – eppure con ciò, unitamente e intrinsecamente all’amore che doniamo, condividiamo con l’altro ansie, paure, difficoltà. A fronte di questa innegabile centralità, non persuade tuttavia la lettura del sesso come qualcosa che allontani temporaneamente la morte: il sesso – questa “piccola morte” orgasmica con la quale ci si attira la sventura ma viceversa si può anche provare ad allontanarla da sé – viene qui letto come qualcosa che traghetta verso l’età adulta ma che al contempo mantiene sempre giovani: come ben sanno i tanti adulti affetti da crisi di mezza età. E potrebbe perfino spiegare come, tramite il sesso, si allontani la sventura da sé addossandola a qualcun altro: ciò che accade ai fedifraghi che rischiano ogni volta di distruggere non una ma ben due famiglie. Tuttavia, se la spiegazione del film come metafora della mortalità umana sembra peccare per eccesso, questa sembra farlo per difetto: nel film c’è di più.
Oltre le interpretazioni
Credo che It Follows abbia a che fare con tutte le cose fin qui descritte; ma nessuna di esse, a mio avviso, ne coglie il senso pienamente. Senso che risiede, ritengo, molto più nella vita che nella morte, negli urti che essa ci dà, spesso attraverso gli altri, anche quelli che ci sono più vicini – i nostri familiari, o quelli di cui ci siamo fidati al punto di dargli il nostro corpo – e in quel male di vivere che temiamo possa ucciderci perché non sappiamo se saremo in grado di sopportarne il peso. Per questo la vita ci sembra spesso assurda e ingiusta: perché ci sentiamo impotenti di fronte al male che gli altri ci fanno, che sappiamo di non aver meritato e che ci appare incomprensibile (proprio come il comportamento di IT, che vediamo venirci incontro e accanirsi contro di noi, ma non sappiamo perché lo faccia). Cosa fanno dunque gli esseri umani in queste condizioni di esistenza? Fanno l’unica cosa che possono: unirsi a un’altra persona per provare a sostenere insieme il peso delle loro singole vite. Come Jay e Paul alla fine del film, che camminano mano nella mano mentre si intravede sullo sfondo qualcuno che lentamente, a passo cadenzato, li segue. È vero che il regista ha preso le distanze da ogni interpretazione, dichiarandosi non interessato a spiegare la provenienza di IT; ciò non di meno, a noi è sembrato evidente che, se una morale si può distillare dalla visione – meglio se ripetuta, ché il film la vale tutta – è questa: se scarichi il tuo male addosso a qualcun altro, abbandonandolo al suo destino, rischi che quello muoia e che il male ritorni da te esattamente come prima. Se invece lo condividi con lui, con consapevolezza e attenzione, e lo aiuti a reggerne il carico standogli accanto e accettando che lui a sua volta condivida il suo male con te, allora insieme – forse – potete farcela. It Follows è un film horror che parla della vita e dell’amore: c’è qualcosa di più spaventoso in giro?
Riferimenti (pagine visitate il 24 aprile 2020):
- «Cinematographe», recensione di Emiliano Cecere
- «Coming Soon», recensione di Federico Gironi
- «La scimmia pensa», recensione di Cristiano Pepe
- «Movieplayer», recensione di Stefano Lo Verme
- «Specchio scuro», recensione di Alessio D’Angelo
- Wikipedia