>di Emanuela Trotta*
L’incontro con l’Altro
La diffusione del coronavirus ha posto sotto assedio l’intero Paese, costringendo milioni di persone in isolamento. Ci ha obbligati ad affrontare, non solo, la precaria e fragile condizione dell’esistenza umana, ma anche la noia, come incapacità di gestire sé stessi e il proprio tempo, ha messo in risalto la futilità di tante nostre attività, e della loro natura strumentale, consistente nel tenerci distanti da quel vertiginoso vuoto, che ognuno è per sé stesso.
In un’epoca che trova nell’iperconnessione, una delle sue cifre distintive, la reclusione forzata, dovrebbe rappresentare un’occasione per riappropriarsi del proprio tempo, e vivere a un ritmo più umano le nostre vite. La tecnologia può avere un ruolo distruttivo nelle nostre relazioni, ha alimentato la sensazione illusoria di essere in contatto con gli altri, ma abbiamo perso la consapevolezza del valore delle cose e il contatto con noi stessi. Internet e i social media ci hanno insegnato a riempire ogni singolo momento vuoto della giornata, ogni minuscolo frammento di tempo, trattando la noia, come un virus da debellare, eppure resta una condizione esistenziale persistente. La noia è la nostra incapacità di essere protagonisti, attori principali, di quello spettacolo che è la nostra esistenza; depriva gli uomini della forza, e costringe all’impotenza. Noia come apatia, come dilatazione del tempo, senso di indifferenza e attesa passiva, che isola dal mondo. La perdita di contatto con il pensiero determina uno svuotamento della realtà, il mondo non riesce più a offrire niente di sufficientemente gratificante; il campo esistenziale si stringe, gli stimoli esterni sono scarsamente percepiti e il mondo interno diventa silenzioso. Lo stato di noia è una perdita di senso del mondo esterno, del proprio progetto di vita e di sé stessi. In questa progressiva svalorizzazione, il soggetto non smette di volere: è questa coincidenza tra desiderio intenso e indifferenziato e mondo vuoto, a creare questa dimensione esistenziale. L’indifferenziazione del desiderio, l’incapacità dell’individuo di rintracciare l’oggetto che potrebbe renderlo appagato, è una condizione che caratterizza la noia, come uno stato di mancanza, di frustrazione senza nome. Così il tempo perde i pezzi: il passato svanisce, poiché ricordare è pericoloso per colui che deve difendersi da sé stesso e il futuro si allontana, poiché la sua progettazione richiederebbe quelle energie di ideazione e desiderio inaccessibili. Ciò che rimane è un presente dilatato, che non offre nulla. Spazio e tempo si dilatano, perché non usufruibili, tutto diventa indeterminato.
Si riflette nel mondo esterno, quello stato di povertà, che nel mondo interno, caratterizza ciò che è Altro da Sé. La causa non è solo una frattura relazionale, ma è anche il derivato di un’organizzazione, in cui l’individuo salva parzialmente sé stesso, distorce il sistema interpretativo della realtà esterna, privandola di ogni valore, interesse e appetibilità; è il mondo a essere noioso, non l’uomo a essere annoiato.
La possibilità di comprendere che la noia è dentro di sé, che è un proprio prodotto, costituisce il passo essenziale alla risoluzione.
Ralph Greenson definisce la noia, come “il sentimento di esser pieni di vuoto” (Greenson 1967, p.14). Non c’è assenza, non c’è spazio per altro.
Nella noia, il vuoto non è un contenitore, bensì un contenuto. Il significato di questo vuoto sollecita uno spazio con potenzialità riflessive e progettuali, uno spazio per ripensar-si, per evocare il proprio senso esistenziale. Il circolo vizioso è dato dall’impossibilità di pensare, sentire, rende inagibile questo luogo per pensarsi.
A partire da ciò, inizia a logorarsi la relazione con il proprio progetto di vita e ogni azione creativa verso l’esterno. Ciò che rimane è il vuoto angosciante.
Il bisogno di velocizzare, di non sentire, di riempire, non deve sviare, si tratta di noia.
Il bisogno di distrazioni, di riempitivi per non sentire il vuoto, il correre frenetico sono possibili manifestazioni di noia. La totale assenza di occupazione è intollerabile, per l’uomo, che in simili circostanze percepisce la sua nullità e inutilità, riflette sulla propria condizione, sulla propria natura e prende atto del carattere drammatico, e sterile della sua esistenza. Pascal usa l’espressione “divertissement”, distrazioni, e spiega che servono all’uomo per distogliere lo sguardo dalla propria pochezza, sono una fuga da noi stessi, da quel che siamo, dalle domande ultime che dovrebbero abitarci in tutta la loro fecondità. Ci perdiamo tra le futilità, che inutilmente, speriamo possano colmare questo nostro deficit costitutivo, alla ricerca di valori, nei quali trovarci appagati. La continua distrazione della nostra anima finisce solo per impedirci di vivere il presente, in tutta la sua pienezza, abitati dalla noia, che svela la nostra strutturale condizione di esseri contingenti. (Pascal 1962).
Si vive come oggetto passivo e non soggetto creatore della propria vita.
La relazione che ne deriva è costruita sulla necessità, sulla pretesa nei confronti dell’Altro. L’individuo annoiato non mette in campo energie, risorse, desideri; per desiderare ci vuole responsabilità e iniziativa, e l’iniziativa è solo di colui che accetta di farsi Soggetto, in una relazione cooperante con l’Altro da sé. Ciò che sottende l’impossibilità di un desiderio maturo e il blocco dell’iniziativa è uno stato di pretesa e di rabbia. Spezzare la circolarità innescata, non è semplice, occorre attivare il pensiero bloccato nella noia. L’azione trasformativa, coincide con il fare quello che è possibile, accettare la propria impotenza, tollerando la fragilità umana, senza abbandonarsi all’inutilità, recuperando il senso del proprio agire. Chi accoglie il dubbio e ne accetta il tormento, può raggiungere il proprio senso della vita.
La percezione della noia, ci comunica che abbiamo perso il significato della vita, nella quale siamo immersi, avvertire questo disagio, permette di creare una vita, percepita come piena di senso. La possibilità di sentirsi invasi dalla noia e di comprendere il significato, diventa uno strumento utile nella relazione tra Sé e l’Altro da Sé.
Allora, attraverso il vuoto, può prendere vita la rappresentazione del proprio progetto esistenziale, per poterlo ri-significare. Questo aspetto creativo è ciò che verifica il passaggio dell’individuo, da oggetto-passivo a soggetto-attivo, recuperando la responsabilità del desiderio. La sensibilità ai messaggi, che pensieri e emozione condensano, consente all’individuo di accogliere la perdita di senso di un progetto di vita, per generarne uno nuovo. La noia costituisce una delle possibili forme di passaggio fra l’inconsapevolezza e la necessità di dare un significato alla propria esistenza. Diventa un’occasione, quando si riesce a riorganizzare la trama sfilacciata della propria esistenza. In quest’ottica, la noia, è un momento di potenzialità.
L’uomo, abbandona forme di esistenza da cui sente una frattura, uno svuotamento, e attraverso una spinta introversiva, si rinnova. L’oggetto del pensiero, dell’azione è secondario rispetto all’importanza di saper cambiare la relazione con esso per tenerlo vivo. Non apportare cambiamenti, deteriora ciò che si fa e il significato che lo riempie, nella ripetizione c’è sempre il rischio di ridurre il valore. La bellezza si conserva nel movimento, nella libertà del rinnovamento: la possibilità di cambiare è genesi del nuovo, la ripetizione e l’abitudine conservano il vecchio.
Il bisogno di stabilità, perché sia reale, chiede che i progetti vengano costantemente ri-significati. L’antidoto alla noia è una relazione dell’uomo attenta al proprio desiderio, assumendosene la responsabilità; dove il vissuto, non è solo caratterizzato da grande energia, ma è accompagnato da un intenso bisogno di condividere, porta con sé l’Altro, compare una gratificazione reciproca, dove ognuno nutre l’altro.
L’individuo, abbandona la pretesa che sia il mondo a determinare la propria esistenza, per avviarsi verso la possibilità di rideterminarsi, un uomo che si pone in relazione con ciò che lo circonda, in una connessione autentica, che riesce ad auto-legittimare i propri desideri, i propri pensieri, nonostante la finitudine.
Ogni evento nasconde in sé un’occasione, e questa esperienza di isolamento costituisce una preziosa possibilità di prendere coscienza di ciò che è veramente importante: gli altri, la socialità, quello stare insieme che oggi ci è precluso, ma per il quale sentiamo un’implacabile nostalgia. L’uomo realizza che l’iperconnessione, in cui ci troviamo, non vale il piacere di un contatto reale con un essere umano, che sempre resterà irriducibile al surrogato virtuale e illusorio, dato dai social.
La normalità, che tanto ci manca, può essere arricchita da un’attenta riconsiderazione della nostra quotidianità.
Il lascito costruttivo consiste nel ristabilire le priorità, nel promuovere la possibilità di rinnovamento e ristrutturazione di sé, per guadagnare una reale connessione con sé stessi e con gli altri.
Bibliografia
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Sarte J.P., La Nausea, Einaudi Tascabili, Torino, 1990.
*Emanuela Trotta, nata a Torino, è laureata in Filosofia presso l’Unical con una tesi sulla teoria platonica del piacere, relatore il Prof. Marcello Zanatta. Attualmente vive e insegna nella città di Parma, interessandosi della storia della filosofia antica e approfondendo il pensiero di Lèvinas e Derrida, nel solco della lezione di Silvano Petrosino.