di Francesco Brusori
[M. Cacciari, Generare Dio, il Mulino, Bologna 2017]
In questo saggio, che inaugura per “il Mulino” la collana Icone – pensare per immagini, il filosofo Massimo Cacciari dimostra ancora una volta la sua indiscussa capacità filosofica di approcciare quesiti radicali, quali quelli che informano l’intera civiltà occidentale alla luce del signum cristiano, spingendosi con le dovute precauzioni e la necessaria modestia oltre l’isola del ‘conoscibile’ (di kantiana memoria) per affrontare la distesa marittima che naturaliter interpella ciascun Essere umano. L’autore infatti va definendo tra le righe di queste pagine uno studio della icona di Maria, che fin da subito si mostra interpretando irriducibilmente un suo proprio divenire:«l’icona di Maria diviene; si accompagna a quella del Figlio, ma ancora più di questa sembra sfuggire a ogni astratta tipizzazione». Accompagnando il Figlio, ella accompagna anche la Voluntas Dei, rendendo possibile «il primo atto della kénosis del Signore» (p. 7).
Il cammino intellettuale tracciato da Cacciari inizia proprio dall’Annunciazione che, lungi dall’essere una mera imposizione dettata a Maria, com-prende la donna come madre del Christós ma ancor prima come un soggetto libero vocato ad agire il proprio destino, donando a quest’ultimo carne e sangue. L’intrinseca enigmaticità della storia di Maria, indicata iconograficamente, pare dunque «eccedere la parola» (p. 11). La straordinarietà, in certa misura incomprensibile per noi, di questa figura si dimostra fin dal principio: Maria accetta in piena libertà di «rivelare» «il fatto che non esiste impossibile presso Dio» (p. 17). Come dirà Rilke nello Stundenbuch, in Maria «Gott reift». L’«ave» ricordato anche da Dante (Paradiso XVI, 34) apre così a un nuovo e inaudito Evo. D’altronde, chiarisce Cacciari, l’accettazione della donna non può essere intesa in modo semplicistico come ‘obbligata’, e dunque ‘scontata’, in ragione di una mera epifania del Divino:«Gabriele non viene a ordinare, non comanda a una serva; è Maria che ascolta e diviene obbediente», si fa doúle rispetto alla sua propria Parola, bevendo il suo calice. In sostanza, senza mezzi termini, «ella giunge a volere la volontà divina» (p. 18) attraverso una sofferenza – che è persino dubbio di fronte all’arcangelo Gabriele – che certo non le sarà scontata. Qui la sua grandezza, come pare mostrare Piero della Francesca [Storie della croce: annunciazione, 1452 ca., Arezzo, Basilica di San Francesco], nella cui opera «sembra sia ella a benedire l’angelo che le si piega innanzi» (p. 23).
E Maria, in veritate, incarna la comprensione: raccolta nel suo meditare l’Annuncio si sforza di intenderlo mentre custodisce nel suo cuore il Mistero che le ha parlato. Ella medita «come concependo» (p. 29) una Verità che la trascende infinitamente e che tuttavia le parla. Forse si potrebbe ammettere che il suo sia quindi un concepimento anzitutto spirituale, ancor prima che fisico, giacché il destino abbisogna di essere ‘messo alla luce’ nella propria intimità-interiorità. Solo in seguito esso può essere esposto al mondo. Si giustifica allora per la donna persino l’appellativo di «colma di grazia»: «perché genera l’Altro da sé» (p. 31) in virtù di una propria, meditata scelta.
Massimo Cacciari riflette sul fatto che nel cuore di Maria, prima che nel suo ventre, acquista carne l’Ombra del Signore che, pur essendo «ombra di vita», non può darsi senza quella della morte (cfr. pp. 38-39). Perciò, e Maria pare esserne cosciente in certa misura, il suo generare (tanto quanto il suo generato) è inscindibile dalla dimensione della sofferenza. Un sodalizio, questo, che trova la propria ragion d’essere nel darsi della Verità nel mondo ed eccede ab initio il dolore del parto.
Una volta venuto al mondo, il Figlio stesso verrà custodito dall’ombra di Maria, che ne permette, per dirla con Rilke, la ‘maturazione’. Una connotazione dell’ombra, come fa notare in più punti l’autore, da intendere non comunemente come ciò che oscura, quand’anche annienta alla vista, bensì come ciò che trasfigura e consente una manifestazione: quella divina, appunto. Avviene a questa altezza la vera kénosis: non un mero ‘svuotamento’ del divino, quand’invece «il manifestarsi, l’incarnarsi di una originaria paupertas, di un’iniziale in-fanzia, di una divina nube» (p. 43) in un Bimbo. Ecco la porta per il Regno di Dio. Un accesso inconcepibile senza il mutuo scambio tra madre, che possiede «fede ex auditu» (p. 44), e figlio.
Ha così luogo d’essere, secondo Cacciari, una «prossimità dolorosa» (p. 45) che tiene-insieme opposti quali ‘letizia e paura’, ‘dolore e gioia’ e nel cui segno il Figlio si muoverà usque ad mortem, dove la madre lo seguirà, pur non ‘com-prendendo’ (docta ignorantia): una tensione ad infinitum patita davvero da due destini difformi e indisgiungibili. A differenza della madre, infatti, di Gesù si dice:«surrexit, non est hic» (Marco 16,6). La destinazione del Figlio è già tale che Egli non è mai qui:«risorge sempre da ogni qui» (p. 51) precisa il filosofo veneziano. D’altro canto Egli è chiamato dal Padre per portare un logos che per le orecchie degli uomini è follia, è letteralmente ‘de-lirio’ rispetto alla līra tracciata dal discorso comune: ciò porta il Figlio ad uscire dai canoni del mondo. «A questo logos si accede uscendo fuori da ogni domestica consuetudine, ma armati della lucida manìa dei profeti» (p. 51).
Cacciari, poi, attraverso le icone del Mantegna [Madonna col bambino dormiente, 1490-1500, Milano, Pezzoli; Madonna col bambino dormiente, 1465-70, Berlino, Gemaeldegalerie, Staatliche Museen] porta alla luce dinnanzi ai volti differenti di madre e figlio un inaudito accordo tra la figura di Maria tratteggiata, da un lato, dalla sua incapacità di ‘com-prendere’ il destino del Figlio e dal relativo abbandono nella verità, e dall’altro dal suo tentativo consolatorio, drammaticamente materno, nei confronti di un Bimbo, invece, conservato nel suo sonno. Un’anticipazione, quasi, della futura deposizione dalla Croce.
A questo punto avanza un nuovo segno connotante l’icona di Maria, la «perfetta com-passione»: rivivere il processo kenotico, davvero incarnato usque ad mortem, del divino. Infatti, dopo averlo partorito e accompagnato a distanza lungo la via della vita, ella ritrova il Figlio ai piedi della Croce: è presente all’‘inizio’ non meno che alla ‘fine’ dell’esistenza del Bimbo. Vive, insomma, una «relazione simbolica» tra i due, una relatio che attinge alla comune radice divina.
L’eccezionalità delle icone, che operano-dipingono (cfr. p. 81), prese in esame dal saggio è da ricercare in rapporto all’intento che queste esplicano di pensare la realtà dell’Evento:«pensano l’immagine come immagine reale» (p. 80) e non-mitica, l’immagine dell’incarnazione del logos. Nell’eterno nunc, entro il messaggio cristiano, incarnarsi è «far spazio nella propria anima al Logos» (p. 84), e ciò è essenzialmente ‘generare’ sull’esempio di Maria, che fu ‘vergine’ – ricorda magistralmente Cacciari – nella misura in cui non fu ‘occupata’ da nient’altro che dalla volontà divina. E alla medesima donna, che verrà celebrata persino alla luce «angelicata» di Sophia (Pavel Florenskij), sono poi affidati i figli terrestri (infantes) di Dio; a Maria, che è eterno simbolo nell’economia ‘extramondana’ del Signore.
23 novembre 2017 alle 00:00
Dirti grazie Francesco, solo grazie.
12 dicembre 2017 alle 20:20
Grazie a Lei per la gentile attenzione. FB
23 novembre 2017 alle 00:01
Grazie Francesco.
12 dicembre 2017 alle 20:20
Rivolgo a Lei il mio più sincero ringraziamento per l’attenzione offerta al mio lavoro. FB