> di Vito J. Ceravolo*
Noi non giudichiamo illusione quel che è esteriore, e nemmeno giudichiamo tale quel che si trova nel nostro interno, nella coscienza. Tutto ciò, noi lo giudichiamo realtà.
G.W.F. Hegel
Abstract:
Dopo i preliminari filosofici sulla dialettica da usare nella trattazione della relatività, la si analizza considerandone gli aspetti concettuali, formali, linguistici, fisici e matematici, con accenni di speciazione biologica, sino all’unificazione in un unico sistema.
Indice
1. Introduzione filosofica alla relatività
2. La dialettica del discorso
3. Gestione concettuale della relatività
4. Gli orologi di Newton ed Einstein: absolutum e relatio
5. Istruzioni per viaggiare nel tempo: quantum e relativity
6. Teoria filosofica di unificazione della fisica
7. Appendice matematica di unificazione della fisica
8. Forma originaria della fisica e delle pratiche
9. Conclusione
1. Introduzione filosofica alla relatività
Questo articolo si divide in tre brevi parti. La prima mira a riunificare la relatività a livello concettuale-filosofico, con l’ausilio di diradati sostegni fisici. La seconda parte inizia dal quarto capitolo, in cui si entra in un ambiente di dati e visioni di fisica generale (quantistica + relatività). La terza parte inizia dal settimo capitolo, con la forma matematica del discorso, ciò tramite cui si contiene la scienza fisica. È una matematica elementare, ma sufficiente agli scopi. Il finale è in ultimo portatore di logiche formali.
Per trattare la teoria della relatività facciamo un salto nel mondo fisico che è il luogo da cui Einstein ne ha derivato la legge. La fisica, e in generale le scienze, camminano sull’idea, più o meno consapevole, di partecipazione fra oggetto conosciuto e soggetto conoscente, pur non sapendola giustificare prima di questo paradigma: “l’accessibilità intellegibile dell’in sé e sensibile del fenomeno” (cfr. Argomenti), dove la ragione è l’in sé delle cose e il sensibile il loro fenomeno. Oltremodo ogni dura scienza, con la sua presunzione di “legge universale” necessita di uno stabile fondamento A=A, portando nel proprio intimo l’aspirazione a un “ordine eterno”, uguale per ogni regione dell’universo (omogeneità) e invariante sotto qualsiasi traslazione e rotazione (isotropia), il che è il contrario dell’impossibile stabilità che è invece presente nel paradigma A=¬A dell’attuale filosofia dominante in occidente, il nichilismo (cfr. Critica).
N.B. A scanso di equivoci, parlo di “legge universale” come qualcosa di uguale in tutto l’universo. Il che non vuol dire che il risultato della stessa sia identico in ogni dove, laddove il risultato dipenda dal contenuto che in essa si relaziona. Per esempio la legge universale di gravità ha qui una costante approssima a G = 6,67×10–11 N m²/kg². Se questa costante G non fosse una costante universale, allora la stessa potrebbe variare in una regione a noi sconosciuta o cambiare nel corso del tempo per una variazione dello spazio o altro, senza con ciò negare la medesima legge universale a cui sottostà: [meccanicamente] due corpi si attirano in modo direttamente proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale alla loro distanza elevata al quadrato (I. Newton); e se neanche quest’ultima fosse una legge universale, ce ne sarebbe un’altra universale di cui quella sarebbe un caso particolare (regionale). Se corretta.
Per entrare nel mondo fisico scegliamo quale di queste due sopra-dialettiche usare, confrontando l’informità A=¬A della logica presa a campione[1] di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, contro questa nostra logica formale A=A capace di accedere sia alla ragione in sé che all’apparente fenomeno (cfr. Mondo).
2. Dialettica del discorso
1) Tesi Hegel, Scienza della logica, ed. Laterza 2008:
«Un tal presupporsi di ambedue le determinazioni ciascuna per sé importa inoltre questo, che ciascuna contiene in sé l’altra come momento» (p. 184).
«Quello che deve essere, “è” e in pari tempo “non è”. Se fosse, non dovrebbe essere» (p. 132).
2) Antitesi Ceravolo, Mondo. Strutture portanti, ed. Il Prato 2016:
«[…] qualsivoglia essere muta in ciò che prima non era ma che adesso è, cioè muta in quello stato prima estrinseco (improprio) ma che ora è intrinseco (proprio). Mentre ciò che prima era intrinseco, nel spostarci da esso, ora è estrinseco. […] un potenziale che non è attuale, un “dover essere” che non è ciò che si è ora. […] nel senso che ci è ora improprio, un momento non-presente in noi, per quanto covi fra le nostre possibilità» (p. 164).
3) Sintesi:
Nel caso 1 se ciò che “è” è anche ciò che “deve essere” ma che ora non è, allora “è=¬è”: ne segue l’impossibilità di qualsivoglia successiva ragionevole argomentazione. Nel caso 2 se ciò che “è” non è ciò che “deve essere” ma lo sarà, allora “è≠¬è” da cui “è→¬è”; qui, quello che deve essere, “è” la destinazione futura (→) e “non-è” il momento presente (≠): nulla è e non-è sotto il medesimo rapporto laddove ciò che è, per essere sé, limita fuori di sé ciò che non-è, tenendo dentro sé la mancanza del suo non-essere (cfr. Mondo, cap. 3.23).
Il caso 1 è un’impossibilità formale, quella che Hegel intitola “Scienza della logica” ma che in realtà è una dialettica informe per la quale l’essere assoluto passa nel non essere assoluto, con risultato A=¬A, infatti: se ciò che è, sciolto da ogni tempo e spazio, passa nel non-è assoluto, allora immediatamente è=¬è. Il caso 2 è invece la possibilità delle forme, dove la possibilità formale rimane in piedi solo in un sistema coerente A=A, laddove, in un sistema formale, basta anche una sola contraddizione per far cadere l’intero sistema (cfr. Teoremi, cap. 2).
Per formalizzare una legge universale si abbisogna, come detto, di un fondamento saldo e costante A=A. Sicché, al fine di acconsentire alle forme e all’universo, entreremo nel mondo fisico e osserveremo il relativo con in mano la dialettica del caso 2, capace di riconoscere la realtà sia del mondo esterno che interno – invece di confonderli come nel caso 1. Quindi capace di riconoscere la realtà sia di ciò che è esteriore nel mondo sia di ciò che è interiore nella coscienza.
3. Gestione concettuale della relatività
Fingiamo che Einstein abbia intuito una formula universale, quella per cui ogni fisicità è relativa alla contrazione spazio-temporale (trasformazioni di Lorentz) in gioco: più è veloce e più si espande. Einstein conosceva l’esistenza di costanti universali – come la luce – uguali indipendentemente dal luogo che le emette. Costanti da cui stabilizzare formule universali, tramite cui calcolare e anticipare la variabilità delle dinamiche relative. Poi può succedere che chi crede nell’universalità delle leggi sia propenso a un ordine universale, il quale in senso religioso assume la denotazione “Dio”: «Dio non gioca a dadi col mondo», affermava Einstein privo di una salda considerazione della nuova fisica quantistica, per la quale invece si trovano anche momenti di relativa casualità e probabilità; qualcuno parlerebbe persino di sintomi di libertà. Questo a livello fisico, fino alla sua forma più eterea: l’energia. E qui fisicamente l’assoluto (astratto dal costante) coordina il relativo (astratto dal variabile).
Se la materia accade così, fra costanti e variabili, allora la forma ne contiene la possibilità. Vediamo la relatività in forma concettuale. A livello concettuale, il termine “costante” si appella alla ragione in sé invariante per qualunque ambiente relativo – percezione; linguaggio; pensiero – che la esprime (cfr. Argomenti, cap. 8). Esempio: quando dicono la stessa cosa, i relativi linguaggi con cui viene espressa la formula non ne cambiano la ragione in sé, solo il fenomeno espressivo, diversamente chiamando l’automobile “car” essa si riferirebbe ad altro, ma è sperimentabile da ognuno: ciò non succede ed è in contrasto con ciò che succede. Così, se il pensiero si muove su linguaggi, l’inferenza è consequenziale:
«Tutto ciò che è umano, comunque appaia, è umano soltanto perché vi opera e vi ha operato il pensiero» (Hegel, Lezioni di storia della filosofia) e perché accade nei nostri particolari sensi percettivi e pensieri descrittivi, ma è universale nel suo accadere per propria ragione in sé indipendentemente dai “miei” personali sensi percettivi e pensieri descrittivi. Ponete per esempio di trovare le tracce di un dinosauro, allora il dinosauro è accaduto di lì anche fuori dalla vostra coscienza: ci sono cose che accadono anche fuori dalla propria personale percezione e pensiero, di cui possiamo avere riscontro tramite le tracce che lasciano nella storia. E qui sarebbe infierente notare le stranezze che sono in grado di raggiungere quelle teorie “solipsiste” quando cercano di spiegare il passato precedente al proprio sé o al mondo prima dell’uomo. Ma se non vogliamo ricorrere ai fatti della storia, o ai fatti in generale, ci basti socraticamente dire così: «so di non sapere», e cosa non sai? Qualcosa! Così si prende coscienza che esiste qualcosa fuori dal proprio pensiero, cose che hanno una loro esistenza anche prima di entrare nella propria coscienza – altrimenti si saprebbe tutto! – e che nella nostra coscienza ci entrano con la loro esistenza (cfr. Argomenti, cap. 7). Similmente alla fisicità dove la percezione non smette mai di parlarci di un mondo fuori, sì chiara nel dirci che afferra valori anche dall’esterno! “Anche”, ma non esclusivamente, perché tanto prende e tanto dà, in un concerto fra lo scoprire e il costruire, dove il senso reale della conoscenza può assumere il verso di andare dall’io al mondo o dal mondo all’io, in ottemperanza alla vita dove alle volte le cose ci succedono (dal mondo all’io) e altre le facciamo succedere (dall’io al mondo).
Tali “percezione” e “pensiero” possono pertanto rispettivamente sentire e descrivere le cose ognuno con la sua differenza; e possono percepirle anche in modo adeguato alla “verità sensibile” (fenomeno) del proprio rapporto con esse (cose), e possono pensarle anche in modo adeguato alla “verità di ragione” (in sé) delle stesse (cose). Così, se diversi pensieri possono parlare della stessa verità, allora esistono diversi modi di dire ugualmente la stessa cosa senza alterarne la verità. Per esempio:
- Il mare mi piace;
- I like the sea;
- Mi piace il mare;
- Me gusta el mar;
- A me mi piace li mari (grammatica casuale).
Davanti a tutta questa variabilità in merito alla percezione e descrizione dello stesso oggetto, per quanto queste espressioni possano dar vita a diverse verità soggettive, esse si appellano al riconoscimento della medesima verità oggettuale (in sé) e al riconoscimento del proprio rapporto con essa (fenomeno). Cioè riconoscono tutte il medesimo oggetto e, pur sotto la varietà del proprio apparato soggettivo, definiscono ugualmente la stessa ragione in sé. Parimenti a come 3+2 e 10/2 sono uguali e definiscono, pur sotto differenti soggettività, il medesimo oggetto 5, la stessa verità. Parimenti a come, nello stesso lasso di tempo, cioè per medesimo oggetto e verità, un viaggiatore della luce vive di meno di un viaggiatore della Terra:
Esperimento ideale dei due gemelli, di Einstein: sulla Terra vi sono due gemelli, uno parte in un viaggio interstellare di andata-ritorno per una stella lontana, mentre l’altro rimane ad aspettarlo sulla Terra. Se il viaggio interstellare è compiuto a velocità prossime a quelle della luce, la teoria prevede che, al ritorno sulla Terra, il gemello viaggiatore sia invecchiato molto meno di quello terrestre.
Tutti questi casi ci parlano di una possibile uguaglianza di verità fra modi diversi, tale per cui anche questo mio testo, pur attraverso l’intersoggettività del proprio linguaggio e la soggettività della propria composizione di pensiero, ha di principio la possibilità di parlare di verità universali, oltre a poter parlare anche di verità personali o intersoggettive; e perché intersoggettive “sì” e oggettive “no” quando si ha accessibilità all’in sé? (cfr. Argomenti, cap. 5). E qui, nel nostro discorso, a noi interessa la verità e ogni espressione, oggettiva e soggettiva, che si dice uguale-adeguata a essa.
A livello oggettivo (in sé), il mezzo con cui si esprime la ragione delle cose diventa indifferente purché descriva la medesima realtà. Cosicché ognuno di questi mezzi (col suo relativo sistema di coordinate) sia egualmente idoneo per la descrizione del medesimo oggetto (natura), benché possa soggettivamente piacerci di più quel mezzo di un altro e benché i diversi mezzi percettivi e descrittivi possano, tanto più divergenti, mettere in luce rapporti differenti con lo stesso oggetto: la ragione in sé dell’oggetto descritto, rimane uguale in qualunque maniera la si esprima, pur dando adito, per ogni diversa espressione, a diverse implicazioni soggettive e relazionali. Questo è ciò che in fisica è chiamata “covarianza generale” per la quale: a livello universale non importa l’esempio che afferma la legge, ma la legge e che ogni esempio le risponda adeguatamente, ognuno per quello che è e in misura di essa. Esattamente qui parliamo di covarianza metafisica: gli oggetti debbono potersi esprimere mediante ragioni che valgono per tutti i soggetti, cioè che siano covarianti rispetto a qualunque linguaggio – interpretazione, pensiero, percezione (Einstein, Come io vedo il mondo, pp. 120-121: «Le leggi generali della natura debbono potersi esprimere mediante equazioni che valgono per tutti i sistemi di coordinate, cioè che siano covarianti rispetto a qualunque sostituzione»). In zelante rigore alla definizione di “costante”: le verità di ragione (in sé) sono uguali per qualsiasi linguaggio (soggetto) che le emette. Tale che qualsiasi relativo linguaggio può portare rivelazioni divine.
Definita l’invarianza generale della verità oggettuale (in sé), segue l’analisi del livello soggettivo (fenomeno), che partiamo da questo stesso oggetto espresso così differentemente:
Poesia: Soldati
(di G. Ungaretti)
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie.
Prosa: i soldati cadono con la stessa facilità con cui cadono le foglie d’autunno dagli alberi.[2]
È evidente come la capacità evocativa della poesia di Ungaretti abbia un trascinamento soggettivo di tutt’altra mole in confronto a quello della prosa, pur descrivendo lo stesso oggetto. Acquistiamo così l’evidenza che la forma con cui si esprime un contenuto ne cambia i rapporti soggettivi e relazionali, portando finanche all’errore interpretativo dove sbagliata, ma non cambia l’oggetto di riferimento che difatti rimane lo stesso riferimento per tutti; es. lo stesso lasso di tempo può essere attraversato in un’ora da alcuni e in dieci da altri. Così da poter parlare di diverse possibili forme interpretative (grammatiche) sullo stesso oggetto (semantica), alcune corrette e altre sbagliate, alcune belle e altre brutte (cfr. Argomenti, cap. 3). E in tali forme belle o brutte riconoscere quei linguaggi e corpi che nell’evolversi hanno teso relativamente alla forma o all’informità, all’ordine o al caso, al semplice o al semplicismo, al corretto o all’errore, alla sopravvivenza o all’estinzione, e via discorrendo, al complesso o al complicato ecc. Si sta parlando di tensioni soggettive variabili relativamente alla sensibilità del soggetto sull’oggetto di tensione, in zelante rigore alla definizione di “variabile”: le verità sensibili (fenomeno) variano relativamente al linguaggio (soggetto) che le emette. Tale che qualsiasi relativo linguaggio è portare di rivelazioni individuali.
Tutto ciò significa, amplificando il concetto, che il relativo non altera l’assoluto e che l’assoluto può essere descritto per quello che è attraverso i vari relativi, i quali ne possono esprimere alcune verità ma mai tutte, altrimenti sarebbero assoluti e non relativi (cfr. Mondo, cap. 2.7). In senso fisico si dice così: se le fluttuazioni di densità di materia diventano trascurabili tanto più si amplia la regione di spazio considerato, allora davanti ad una regione assoluta le fluttuazioni relative non ne alterano il valore sotto nessuna traslazione e rotazione; così da avere un sistema omogeneo e isotropo. Questo significa, filosoficamente, che la partecipazione fra oggetto percepito e soggetto percipiente, pur alterando, per reciproca influenza, i soggetti e oggetti in partecipazione (cfr. Argomenti, cap. 2), ciononostante non altera la ragione in sé per cui accadono, l’ambiente in sé di partecipazione. Ritrovandoci così con un sistema che rimane stabile pur davanti alla varietà delle sue parti; una teoria del mantenimento del sistema. E qui concettualmente l’assoluto coordina il relativo.
4. Gli orologi di Newton ed Einstein: absolutum e relatio
Ad ora sono state mosse alcune parole su un fatto fisico che ha trovato la sua più chiara pretesa in questa affermazione: lo stesso lasso di tempo può essere attraversato in un’ora da alcuni e in dieci da altri. Tale pretesa sta nel fatto che «la velocità angolare di un orologio dipende dal luogo in cui l’orologio si trova» (Einstein, Come io vedo il mondo, p. 120). Parafrasiamo:
Può succedere che sotto uno stesso tempo comune, ci siano orologi che scorrano differentemente a seconda del posto che occupano: magari uno più piano (se riposto in una navicella spaziale in viaggio interstellare con una velocità prossima alla luce) e l’altro più veloce (se riposto in una navicella ferma sulla Terra). Tale tempo comune e ciò che ci permette di raffrontare i tempi relativi dei diversi orologi e affermarne la relatività (altrimenti non potremmo mai dire che l’orologio in viaggio interstellare sia andato più lento di quello rimasto sulla Terra, se non avessimo un tempo comune di comparazione). Un tempo comune che riabilita il “tempo assoluto” di Newton, da intendere però in integrazione ai “tempi relativi” di Einstein: il tempo assoluto non cancella i tempi relativi, ma li conferma e si pone come loro possibilità di confronto. (cfr. Verità, cap. 6). Si è tornati al metro comune di paragone, quello che Einstein chiamava covariante generale, omogeneo e isotropo, quello che chiamo covariante metafisico, lo stesso per tutti; senza per nulla cancellare, come detto, le istruzioni del sistema relativo – più aumenta la velocità e più si espande lo spazio-tempo – e le sue derive.
5. Istruzioni per viaggiare nel tempo: quantum e relativity
Mentre lo stesso tempo assoluto ci confronta: tu batti relativamente un anno e io un secondo, perché io espando il tempo maggiormente di te e, in verità, modestamente, posso contrarre il tempo con buon giuoco e, se voglio, posso venirti a trovare fra dieci anni attraversando cinque soli secondi della mia vita, da ora. Posso cioè viaggiare nel futuro manipolando lo spazio e il tempo, contraendoli in guisa da creare adeguati “ritardi temporali”: per viaggiare nel futuro, basti incrementare adeguatamente la propria velocità in rapporto al sistema di riferimento di cui si vuole visitare il futuro.
Più difficili sono i viaggi nel passato: Se la velocità non procedesse dall’immobilità A>B non potrebbe avanzare +v e ciò colliderebbe col naturale moto che le riconosciamo: A<B → A≠B+v. In questo verso la velocità non può precedere l’immobilità A>B → ¬(A<B), dove la clausola di precedenza è necessaria per regredire –v, quindi per viaggiare nel passato: A<B → A=B–v. Senza regressione –v viene infatti meno il concetto temporale di “ritorno al passato”, come nel nostro verso dove la velocità procede dall’immobilità: A>B → A≠B–v. Pertanto, in questo verso, col mezzo della velocità regolo della contrazione spazio-temporale, si può viaggiare solo nel futuro.[3]
Esplicazione: Qualsiasi cosa si sposti ± dall’immobilità è pur sempre una velocità. Allora si può relativamente parlare di velocità negative che contraggono il tempo –v e velocità positive che dilatano il tempo +v, ma non si può concettualmente e fisicamente immaginare e sperimentare una velocità così piccola –v da essere minore dell’immobilità (lo stesso sarebbe se invertiste la freccia del tempo: non esiste una velocità così grande da essere maggiore dell’immobilità), quindi nessuna velocità che vada in senso opposto alla freccia del tempo della dimensione di appartenenza. Ovvero nessuna velocità che, in questa dimensione A>B, sia in grado di farci viaggiare nel passato, solo nel futuro.
Teoria A>B con cause che precedono gli effetti: Il limite minimo della velocità è l’immobilità, meno della quale non si può andare, precludendoci quella regressione necessaria ai viaggi nel passato. Infatti, tramite il processo della contrazione spazio-temporale, se posso rallentare verso l’immobilizzazione del tempo, allora rimane fuori il passato prima.[4]
Con la contrazione spazio-temporale, in questo verso, non ci rimane altro che vivere il presente o viaggiare nel futuro. L’attraversamento dello spazio-tempo non è però l’unico modo conosciuto di viaggiare. Esistono altri modelli di viaggio, che chiamo Open Quantum[5], dove non si parla più di “contrazione spazio-temporale” come nella relatività, bensì di “modificazione topologica” per la quale nel medesimo punto si ha accesso istantaneo (entanglement) a qualunque altro punto (passato, presente, futuro). La distinzione è chiara: la relatività pone un viaggio temporale, l’open quantum uno atemporale, niuno inficiante l’altro. E di più: l’open quantum mira a una previsione finale uguale e contraria a quella finale della Relatività. Ovvero la relatività ha due tendenze, una verso la massima velocità (1) e l’altra verso la minima velocità (0):
- L’open relativity prevede che un corpo, alla massima velocità, espanda la sua massa all’infinito, così da accedere istantaneamente a ogni luogo;[6]
- L’open quantum prevede che alla minima velocità si contragga la massa all’infinito in un punto adimensionale (sovrapposizione di stati), così da poter accedere istantaneamente (entanglement) a ogni luogo, ovunque si manifesti la dimensione di quest’ultimi.[7]
La relatività è dimensionale, quindi ha dei limiti fisici sulla scala matematica: non può regredire nel passato (nel nostro verso). Diversamente è l’open relativity che è onnidimensionale, quindi copre ogni luogo spazio-temporale; il cui contrario è l’open quantum che è adimensionale e che quindi, a parte i casi finiti, è capace di muoversi su tutta la scala matematica: passato, presente, futuro.
Abbiamo così due tipi di viaggio, relativo-dimensionale che segue la freccia del tempo (quindi non può tornare nel passato) e quantum-adimensionale che può variare sul tempo (quindi può andare dal passato al futuro al presente):
- Nel viaggio spazio-temporale si ha la modificazione delle dimensioni;
- Nel viaggio quantico si ha lo scorporamento delle dimensioni.
Il problema dell’open quantum è presto evidente: un viaggio quantico prevede che un essere dimensionale, come può essere l’uomo, parta anzitutto scomponendosi nei suoi atomi, per poi ricomporsi alla fine del viaggio. Tale trasformazione topologica, verosimilmente, tanto più è complesso il corpo, richiede un altissimo apporto di energia o un “io” (quantum dell’individuo) potentissimo, per non disperdere i propri atomi nel viaggio. Oppure tanta fortuna. La fortuna verosimilmente sta nella casualità che i costituenti scorporati si ritrovino, a fine viaggio quantico, riuniti come all’inizio. Tale fortuna, per la tipologia del processo in causa, si può avvicinare alla probabilità lontanissima, ma calcolabile in termini quantistici, che in questo momento mi si materializzi davanti un elefante.
Altri casi di modificazione topologica sono i cosiddetti “portali”: ponti di Einstein-Rosen; buchi neri; ecc. I quali sono teorizzati come ponti di collegamento istantanei (entanglement) o scorciatoie fra alcuni luoghi distanti. Anche in questo caso l’entanglement o la scorciatoia son date da sovrapposizione di masse (luoghi) in volumi ridotti (punti adimensionali). Da cui: maggiori sono i luoghi sovrapposti e più ampio è l’accesso istantaneo. E ormai qui stiamo esulando dal concetto di relatività, rischiando di unificarla con la quantistica, quindi sospendiamo il discorso ché abbiamo prima da concludere i nostri viaggi temporali.
Secondo la relatività generale, per viaggiare nel futuro in misura consistente, come pocanzi detto, bisogna raggiungere velocità elevate prossime a quelle della luce. Cosa che tecnicamente non è ancora accessibile. Cioè teoricamente sappiamo come viaggiare nel futuro, ma tecnicamente non abbiamo ancora i mezzi per la sua realizzazione. Però è da dire che la velocità fisica non si esprime solamente tramite il moto esterno, magari con una navicella spaziale, bensì anche col moto interno, magari con dei sentimenti o pensieri. Non è infatti capitato a tutti di avere giornate passate in un lampo? Ore che finiscono dopo venti minuti: questa la sensazione interna che a volte ci capita sotto lo stesso comune tempo terrestre; un tempo comune in cui possiamo scorrere differentemente. E qui, si può ben dire, le sensazioni hanno la loro verità testimoniata dalla loro forza propulsiva: come navicelle! D’altro canto internamente in noi abbiamo orologi biologici che possono scorrere anche differentemente a seconda del posto in cui stanno: felicità, amore, odio ecc. Stiamo parlando di una teoria fisica che afferma questo:
Viaggi sensoriali nel tempo: se rimaniamo ligi alla teoria della relatività – più aumenta la velocità e più si espande lo spazio-tempo – allora abbiamo che la felicità e l’amore sono sensazione che espandono notevolmente e positivamente lo scorrere del proprio organismo psicofisico, sovrapponendoci su stati diversi e sospendendoci sopra lo scorrere del mondo, di fatto rallentandoci l’invecchiamento e allungandoci la vita; fosse anche di pochi microsecondi: «Ti toccai e si fermò la mia vita» (Neruda). Per inverso si dice che la tristezza e l’odio contraggono notevolmente e negativamente lo scorrere del proprio organismo psicofisico, diradandoci su stati diversi e sospendendo il mondo sopra sé, di fatto facendoci invecchiare rapidamente verso la morte.
E davanti alla morte, con gli onori che le si deve, anticipiamo la conclusione con la nostra Teoria morale – di questa fisica sensoriale: la felicità, come l’amore, non può rimanere solo il fine delle nostre azioni, ma ne deve essere anche il mezzo. Per lunga vita!
6. Teoria filosofica di unificazione della fisica
Caduti in un sistema unidimensionale, ci ritrovammo per una distesa lucente che la diritta via s’era trovata (Dante). Vedemmo due tendenze: l’open relativity verso l’espansione sopra ogni luogo spazio-temporale →1; l’open quantum verso la sovrapposizione (riduzione) di ogni luogo spazio-temporale 0←.
In mezzo a queste due tendenze, troviamo la zona relativa, la dimensione in cui è possibile, dal brodo meccanico, l’aggregarsi stabile di materia e il fiorire della vita biologica finanche lo sbocciare della cultura. Secondo i parametri dimensionali della zona relativa stessa.
In sovrapposizione fra la zona relativa e le due dimensioni open relativity e open quantum, ci sono le zone confine, dove si sovrappongono le diverse leggi fisiche delle dimensioni in contatto, generando entità dalla doppia fisicità o dalle particolari singolarità. Nella nostra dimensione le zone confine generano entità come i buchi neri (quasi neri), il bosone di Higgs e altro.
Naturalmente in tale unidimensione la zona relativa cambia a seconda del sistema di riferimento. Talché ciò che noi chiamiamo dimensione open quantum od open relativity, terrà al suo interno la propria zona relativa che avrà, a sua volta, ai suoi estremi due tendenze opposte (Open quantum ← e → Open relativity) verso la speciazione (apertura) di due dimensioni divergenti. E così all’infinito in tutte le direzioni.
Abbiamo appena compiuto l’atto di usare concetti biologici generalizzati per unificare filosoficamente la fisica, ma se vogliamo possiamo immaginare l’impianto anche come una più classica meccanica a pile variabile.
7. Appendice matematica di unificazione della fisica
La matematica usata nel nostro discorso è di una tale generalità e semplicità da farci pensare sia in grado di racchiudere tutte le conoscenze della scienza fisica. La riassumiamo nei tre elementi che si sono mossi nell’entroterra di questo articolo: la dimensione, la relatività e l’assoluto.
Dimensione | |
Dimensione A<B in cui le cause procedono dagli effetti, la velocità precede l’immobilità e viaggi nel passato. |
Dimensione A>B in cui le cause precedono gli effetti, la velocità procede dall’immobilità e viaggi nel futuro. |
A<B → A≠B+v Impedita la progressione della velocità +v, quindi il viaggio nel futuro. A<B → A=B–v |
A>B → A=B+v Permessa la progressione della velocità +v, quindi il viaggio nel futuro. A>B → A≠B–v |
In entrambi i versi A>B e A<B, la freccia del tempo, del proprio sistema di appartenenza, non può essere invertita dalla velocità, per nessuna sua contrazione: o solo verso il futuro v+; o solo verso il passato –v.
In termini matematici si dice che il positivo ha limiti inferiori ma non superiori, il negativo ha limiti superiori ma non inferiori. Diverso è in ambito fisico dove può succedere che la fisicità venga impedita a muoversi sull’intera scala matematica (es. anche se versate una quantità d’acqua infinita in una bottiglia da un litro, essa comunque è fisicamente impedita a contenere più di un litro): così potremmo trovarci davanti a positivi che hanno anche un limite fisico superiore, oppure negativi che ne hanno anche uno inferiore.
Per entrare nel mondo fisico della relatività, osserviamo anzitutto la formula completa dell’energia, quella del mare di Dirac E=±mc2, dove la positività o negatività dell’energia dipende dalla freccia del tempo della dimensione di appartenenza. In termini matematici si dice che il relativo verso ± di un’energia infinità E=±mc2 dipende totalmente dall’ordine di conteggio («un’invenzione del demonio» direbbe Niels Abel – serie armoniche divergenti):
–E = –mcc Nell’ordine di conteggio negativo “–” della dimensione A<B, in regressione da destra verso sinistra, prima si calcola c2 che diventa cc, dal quale rimane vivo il segno negativo del conteggio. |
E = +mc2 Nell’ordine di conteggio positivo “+” della dimensione A>B, in progressione da sinistra verso destra, prima si calcola la massa, che assieme al quadrato della velocità, lascia vivo il segno positivo del conteggio. |
Si noti che nella dimensione negativa c’è uno scorporamento degli elementi, mentre in quella positiva c’è una loro unificazione; come vedremo a breve. In questo caso la matematica è corretta per entrambi i prodotti –mcc e –mc2, però con risultati uguali e contrari, a seconda se la formula la si calcoli in sintesi progressiva (unificazione +mc2) o in analisi regressiva (scorporazione –mcc). Il tutto in pieno rispetto della matematica di tipo “serie armoniche divergenti” (solo il risultato relativo di una quantità infinita dipende totalmente dall’ordine di conteggio) e nell’idea di un negativo fisico uguale e contrario (es. antimateria). Oltremodo la formula distingue fra carica ± della massa e verso ± dell’energia.
Ma lasciamo pure questa delicata ipotesi come mera ricerca di simmetria, dove fingiamo di aver registrato la formula dell’energia infinita E=±mc2, quella dell’energia positiva E=mc2 e quella dell’energia negativa –E=–mcc. Ne segue l’assunzione di una velocità negativa retrograda alla luce, si può poeticamente dire una velocità del buio, un’antivelocità come c’è anche un’antimateria. E in virtù di tale virtuale simmetria, affrontiamo la relatività, prima tramite la velocità v, poi nel rapporto di quest’ultima con la massa m. In seguito la trattiamo nei suoi rapporti di determinazione ∇ e di stato |〉. Il tutto sotto il dominio di queste tendenze, negativa che chiamo open quantum, positiva che chiamo open relativity.
– Open quantum | + Open relativity |
–v ← Relatività → +v | |
–i ← {–n, …, –2, –1} = –v Il limite della velocità più piccola è l’immobilità: l’immobilità è minore –i della più piccola velocità –v. –v in fisica:
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+v = {1, 2, …, +n} → +i Il limite della velocità più grande è l’immobilità: l’immobilità è maggiore +i della più grande velocità +v. +v in fisica:
|
Questo calcolo è lineare e disgiunto, cosa assai diversa dal mondo fisico dove invece le conseguenze dell’open quantum e open relativity si intrecciano. Tale compartecipazione la mediamo tramite la massa intesa come reciproco inverso della velocità: prima vediamo come succede, poi la forma matematica per cui succede.
–v +m ← Relatività → +v –m | |
+m ← {–n, …, –1} = –v Più massa meno velocità–v +m in fisica: Formalmente, diminuendo la velocità interna aumenta la massa esterna. Sensibilmente, l’effetto è il ridursi della massa interna –m tramite la sovrapposizione dei propri stati, che comporta un aumento di velocità esterna +v sino alla velocità istantanea dell’entanglement. Il limite di tale reciproco inverso è questo: (formalmente) diminuendo alla velocità minima (sensibilmente) la massa si contrae all’infinito – Ceravolo –. |
+v = {1, …, n+} → –m Meno massa più velocità+v –m in fisica: Formalmente, aumentando la velocità esterna diminuisce la massa interna. Sensibilmente, l’effetto è l’estensione verso la massa esterna +m tramite la distribuzione dei propri stati, che comporta una diminuzione di velocità interna –v sino alla fermezza su ogni luogo. Il limite di tale reciproco inverso è questo: (formalmente) aumentando alla velocità massima (sensibilmente) la massa si espande all’infinito – Einstein –. |
L’intreccio e il risultato di tale discorso rispecchia la seguente forma matematica, dove, ripeto, il simbolo di sottrazione è usato come “diminuzione interna” quello di somma “aumento esterno”. Esattamente: +v = più velocità esterna; –v = meno velocità interna; +m = più massa esterna; –m = meno massa interna; → = più estensione esterna; ← = più riduzione interna. Il battito di questa matematica sono le trasformazioni di estensione → e di ← riduzione:
–v = +m; +m = ←; ← = –m; –m = +v; |
+v = –m; –m = →; → = +m; +m = –v. |
Da cui traspaiono forme di conservazione della materia e del moto:
–m ↔ +m Ridurre la massa interna comporta aumentare la massa esterna, viceversa;
–v ↔ +v Ridurre il moto interno comporta aumentare il moto esterno, viceversa.
La generalità di queste forme (–v ↔ +v) può essere sciolta è riadattata semanticamente al calcolo della contrazione spazio-temporale, dove, nella seconda parte della relazione, v è lo spazio-tempo, mentre “+” contrae (accelera) e “–” dilata (rallenta), e dove assumiamo “!” per invertire il rapporto:
+v → –v Aumentando la velocità esterna si dilata lo spazio-tempo interno;
! Diminuendo la velocità esterna si contrae lo spazio-tempo interno;
–v → +v Diminuendo la velocità interna si contrae lo spazio-tempo esterno;
! Aumentando la velocità interna si dilata lo spazio-tempo esterno.
Queste le chiamo forme relative di conservazione dell’assoluto; da cui si vede un (+) esterno il cui positivo segue il proprio verso e un (–) interno il cui positivo segue il proprio inverso. Così, se esternamente il positivo è aumentare la velocità (magari con una navicella spaziale), internamente è diminuirla (magari amando). Da tale inversione torniamo al limite del “reciproco inverso” visto sopra: alla massima velocità esterna, il proprio spazio-tempo interno si espande all’infinito sino a diradarsi su ogni luogo, e qui fermarsi; alla minima velocità interna, lo spazio-tempo esterno si contrae all’infinito sino a sovrapporsi in un punto, e qui fermarsi.
∇ x ← Relatività → ∇px |
Se ci sincronizziamo al limite del sopra calcolo:
- La risultanza della velocità infinita ± è la posizione assoluta, la quale è garantita da velocità uguali e contrarie che si annullano fra loro. Dove l’annullamento fra –v e +v consuma tutta l’energia possibile 2v senza alcuna dispersione, l’immobilità;
- Per inverso, la risultanza della massa infinita ± è il moto assoluto, il quale è garantito da masse uguali e contrarie che si annichiliscono fra loro. Dove l’annichilimento fra –m e +m produce tutta l’energia possibile 2m senza alcuna dispersione, il moto.
Il moto consuma energia mentre la massa la produce. Oltretutto, tali affermazioni ci permettono di dire che se la velocità infinita ha una posizione assoluta e se la massa infinita ha un moto assoluto, allora ne segue una quantità di moto mv assolutamente infinita. Da cui desumiamo il principio di determinazione assoluta, dove una cosa la si conosce quando si conosce qualcosa della sua posizione e del suo moto, sulle note di Heisenberg:
∇x=|1| → ∇x∇px=0 Se x ha una posizione assoluta uguale in tutte le direzioni, allora l’incertezza sulla sua quantità di moto px è nulla. |
∇px=|1| → ∇x∇px=0 Se px ha un moto assoluto uguale su tutte le posizioni, allora l’incertezza sulla sua posizione x è nulla. |
Queste formule ci dicono che per la sua omogeneità e isotropia, l’assoluto è uguale da qualunque luogo lo si determini, anche se solo una quantità di moto di grandezza infinita può determinarlo nella sua totalità, per ogni suo particolare e generale: l’assoluto è determinabile completamente solo da una grandezza infinita. Sicché: se cerchiamo di conoscere con precisione assoluta la posizione o il moto di un qualcosa, quindi conoscerlo in tutti i suoi generali e particolari, siamo costretti a compierci con una quantità di moto infinita. Ovvero non potremo mai conoscere completamente un oggetto né tutto quello che un soggetto pensa, per le infinite implicazioni ed esplicazioni che ne seguono, per l’infinita quantità di moto che ci vorrebbe.
∇p=¬|1| → ∇x∇p≥ħ/2
Per una quantità di moto p non-assoluta, non è possibile descrivere con precisione assoluta la posizione di x. Ritrovandoci con una descrizione parziale (relativa) che conserva un grado di mancanza totale (assoluta) uguale o maggiore a ħ/2.
Naturalmente ciò non nega le verità oggettive o soggettive raggiungibili nel corso della propria vita, perché anche una verità non-infinita può essere vera in merito al finito di cui tratta (oggetto) o al proprio rapporto con esso (soggetto); senza la pretesa, però, di esaurire tutta la conoscenza possibile – assoluta – in merito a quell’oggetto o soggetto.
Il risultato quantitativo ħ/2, così come la sua formula, è del principio di indeterminazione relativa di Heisenberg (“se tentiamo di conoscere la posizione di una particella con una precisione assoluta l’incertezza sulla quantità di moto tende all’infinito”), qui derivato dalla contrazione spazio-temporale e il quale, nel dettaglio scientifico, ci apre a tre argomenti:
- Se per la contrazione, maggiore è la certezza della posizione e minore è la certezza del moto e viceversa, e se di una cosa si conosce qualcosa solo quando si conosce qualcosa della sua posizione e del suo moto, allora, socraticamente, con tanta più precisione conosciamo le cose tanto più ci accorgiamo di non sapere – più so e più so di non sapere, sino al limite della conoscenza infinita di tutto. E questo non è certo un incentivo a non sapere, perché se non si può sapere tutto, si può comunque sapere qualcosa, mentre, per inverso, a sapere troppo poco si crede poi di sapere tutto;
- Se per determinare il fenomeno di un oggetto devo illuminarlo all’osservazione sensibile (fascio di luce del soggetto), la quale di per sé è portatrice di un’energia che colpisce a suo modo lo stato dell’oggetto osservato, allora, kantianamente, ogni verità sensibile è una relazione apparente e non è l’oggetto in sé – il quale è accessibile solo tramite un’osservazione astratta e sovrasensibile, adimensionale alla sensibilità e costante da ovunque la si emetta, per cogliere la sovrasensibile ragione in sé delle cose, le verità di ragione. N.B. La conoscenza dell’adimensionale ragione in sé delle cose, non è una conoscenza assoluta ma oggettiva della cosa, tale per cui ancora ci è asintotica la totalità conoscitiva dell’oggetto, ma accessibile quella di alcuni suoi valori;
- Nell’ambito della realtà, la contrazione inversa fra materia e moto, non permette una completa determinazione relativistica di ciò che accade nello spazio e nel tempo, lasciando un margine d’imprecisione nell’evoluzione delle variabili dinamiche – uno spazio al caso e alla libertà dove si producono effetti non-calcolabili se non probabilmente o all’infinito.
I primi due di questi argomenti li ho già esposti, l’ultimo non ancora al tempo di questo articolo.
|A〉 ← Relatività → {A} |
Riassumiamo quanto detto sulla relatività, evidenziando la differenza di funzionamento fra open quantum e open relativity. Immaginiamoci il gatto G di Schrödinger nella nostra relativa dimensione, tranquillamente sdraiato su un’amaca A con sotto un burrone B.
GAB Il gatto sta su un’amaca con sotto un burrone.
Nel limite dell’open quantum:
|G, A, B〉 Qui il gatto scorpora le dimensioni dell’amaca e del burrone sovrapponendole in un unico stato interno adimensionale, a cui ha accesso istantaneo e simultaneo, a prescindere se l’amaca si trovi ora a Sidney e il burrone sulla Luna. L’effetto fisico è la presenza di oggetti correlati istantaneamente a distanza. |
Nel limite dell’open relativity:
G = {A, B} Qui il gatto distribuisce le dimensioni dell’amaca e del burrone diradandole in un unico stato onnidimensionale, estendendosi esternamente su tali dimensioni, spalmandosi sull’intero sistema. L’effetto fisico è la presenza di un unico vasto oggetto che copre omogeneo tutta la sua estensione. |
Immagine esplicativa
Da un’ottica funzionale:
- GAB è un prodotto dimensionale;
- |G,A,B〉 è un legame adimensionale fra G, A e B;
- G = {A,B} è un ordine onnidimensionale G sopra ogni A e B.
Esattamente:
Il rapporto dell’open quantum è un legame per il quale ciò che succede a un elemento sovrapposto ne risentono direttamente anche gli altri – c’è un legame fra gli elementi per cui istantaneamente si rispondono ovunque essi siano. | Il rapporto dell’open relativity è un ordine per il quale ogni elemento è legato indirettamente tramite quell’ordine a cui tutti rispondono – c’è un ordine degli elementi a cui istantaneamente rispondono ovunque essi siano. |
La contrazione di queste tendenze, apre a una vasta accessibilità e possibili intrecci, persino a stati né veri né falsi (cfr. Teoremi), e funziona generalmente così: una sovrapposizione adimensionale, come pure un’estensione onnidimensionale, può assumere diverse combinazioni dimensionali, così da darci la probabilità che facendo una determinazione dell’oggetto, lo si possa trovare in una delle sue possibili combinazioni.
Esattamente, essendo prive di dimensione e quindi di impedimenti e limiti, l’adimensionale e l’onnidimensionale possono contenere simultaneamente (sovrapporre o estendere) anche tutti gli stati, persino quelli opposti, come vita e morte, o illogici, come “quadrato non-quadrato”. Così, l’aspetto scientifico del gatto di Schrödinger, ci apre a quattro argomenti misti a questa teoria:
- Esclusione dimensionale istantanea – Il fatto che gli elementi siano sovrapposti assieme o estesi sotto lo stesso ordine, non significa debbano dimensionarsi assieme, viepiù dove siano incompatibili fra loro, e quindi dove si ha un’esclusione istantanea per la quale ha dimensione uno o l’altro. Infatti il gatto di Schrödinger è adimensionalmente vivo e morto, ma se proviamo a determinarlo aprendo la scatola in cui è rinchiuso, lo troviamo dimensionalmente vivo o morto, e il suo essere vivo è istantaneamente legato in inverso al suo essere morto;
- Continuità dimensionale istantanea – Anche se gli elementi sovrapposti o estesi non dovessero escludersi l’un l’altro, ciò ancora non gli impedisce di dimensionarsi in luoghi distinti e lontani, dove per qualunque loro distanza saranno comunque legati istantaneamente fra loro, se in open quantum, o indirettamente legati dall’ordine a cui rispondono comunemente e istantaneamente, se in open relativity;
- Unità dimensionale istantanea – Gli elementi sovrapposti, come gli elementi estesi, in date circostanze possono combinarsi nella stessa unità dimensionale, o occupando lo stesso stato dimensionale col regolo del principio di sovrapposizione quantistica, oppure uniti nello stesso stato dimensionale col regolo del principio di esclusione di Pauli;
- Influenza dimensionale – Il legame sotterraneo dell’open quantum e stellato dell’open relativity, non sono mere formalità probabilistiche o campi di possibilità e di ordine, ma abbiamo detto hanno accesso anche alla nostra realtà dimensionale tramite tendenze, reciproci inversi ed entità (es. bosone di Higgs, buchi neri ecc).
La cosmologia matematica è consequenziale: da un open quantum (0←) si combina una dimensione possibile, la quale si estende all’infinito, in open relativity (→1), verso la posizione assoluta, nella quale tutto è omogeneo e isotropo come un punto, un open quantum (0←); e viceversa all’infinito. Da cui si affaccia la nostra fisica generale a prospettarci come, a ogni tot di incremento matematico, ci si debba aspettare, fisicamente, un salto dimensionale per quantità e qualità notevolmente differenti, in cui le masse e le velocità rispondono a leggi regionali diverse, assumendo conseguentemente comportamenti insoliti per le altre regioni. In generale nella scienza fisica la cosmologia tiene conto anche dei parametri e limiti fisici, quindi di tensioni elastiche, stringhe e altre faccende che dovrebbero muoversi a tutela delle dimensioni, una sorta di teoria della sopravvivenza delle dimensioni; e arrivati al cosmo concludiamo il discorso.
Assoluto |
Le relative tendenze esaminate, operano sotto rapporti diversi: una in regressione, l’altra in progressione, per poi intrecciarsi con reciproci inversi. La loro riappacificazione si trova nell’unione in un unico sistema: se prendiamo le due dimensioni A>B e A<B e le uniamo vediamo A=B in causa sui, mentre se prendiamo le due frecce –v e +v e le uniamo vediamo lo stato I e se uniamo i due stati –i e +i vediamo la freccia V. Completamente ciò che succede è questo:
V = {–i ← –v, …, –1, 0, 1, …, v+ → +i} = I
La velocità infinità V è la risultanza delle velocità più piccole –v e più grandi v+ tendenti all’immobilità, tale che “immobilità assoluta” I.
Tale risultanza assoluta è ciò che garantisce la coerenza e possibilità del moto relativo –v e +v; il quale implica a sua volta le diverse posizioni –m e +m e il resto del discorso.
8. Forma originaria della fisica e delle pratiche
Osservato l’entroterra matematico, vediamo la forma che ha contenuto invisibilmente tutto il discorso.
La sopraddetta conclusione matematica
V = {–i ← –v, …, –1, 0, 1, …, v+ → +i} = I
è contenuta nella seguente formula:
A={–a, 0, +a} ↔ |¬A|
A parole: A è infinito reciprocamente alla sua assoluta negazione ¬A.
es. Infinito correre, tale che, assoluto star fermi; Se tutto fosse verde, nulla sarebbe verde; Se mangi ogni cosa, allora non mangi nulla; L’infinità di tutti i numeri è un numero finito assoluto. L’infinito è assolutamente uno. Se è infinito allora è assoluto; Se uno è infinito allora zero è assoluto.
La quale è a sua volta un caso particolare della forma logica:
A → ¬A
A parole: Se A allora ¬A.
Esattamente, il caso in esame “velocità infinita = immobilità assoluta”, rientra in tale sua gestione contenutista (semantica):
∀ A → ¬A
A=¬∞ → A≠¬A
A=∞ → A=|¬A|
A parole: Ciò che non è infinito è diverso dalla sua negazione. Ciò che è infinito è uguale alla sua assoluta negazione.
es. Se mangi qualcosa allora non mangi qualcos’altro, se mangi ogni cosa allora non mangi nulla; Se esiste il bello allora esiste il brutto, se è infinitamente bello allora è assolutamente brutto; Se ancora non smette (numeri negativi) finirà in qualcosa (numeri positivi), perché l’infinito è assolutamente uno; Zero relativo è diverso da uno relativo e zero assoluto è uguale a uno infinito.
In tale formula l’infinità di A trasforma la disuguaglianza in eguaglianza, la freccia del tempo “→” nello stato di tutti i tempi “↔”, la tendenza in traguardo, la causa-effetto in causa sui, ecc. Certo che tutto finisce in A=A, ma sarebbe come avventurarci in una metafisica sciolta da ogni pratica, mentre qui stiamo facendo fisica bisognosa di uno scarto sensibile, di un moto →. Sicché “A→¬A” è la forma originaria del divenire e delle sue pratiche, oltre a essere la dialettica che abbiamo scelto di usare nel capitolo 2.
9. Conclusione
Da una semplice forma, abbiamo contenuto la fisica e lo abbiamo fatto in rispetto dei suoi complessi dati reinterpretati al fine della coerenza generale. Una coerenza che in una forma ha diradato sino a coprire diversi aspetti della relatività. Col fin di dire:
Dico “in errore” chi prende in considerazione esclusivamente l’insegnamento relativistico di Einstein: il risultato della formula universale (della relatività); trascurandone completamente l’insegnamento assolutistico: la formula universale (della relatività), col quale vuole fondare formalmente ogni relativa materia intorno al rapporto fisico spazio-temporale. Mentre chiamo “corretto” chi prende in considerazione l’accessibilità e coesistenza fra verità costanti e verità variabili (cfr. Verità, cap. 7), dacché ha, di principio, la consistenza filosofica adatta per ricercare leggi universali da applicare alla pluralità dei casi particolari, coi quali universi costruire le più svariate inferenze relative; finanche osare la libertà.
[1] Uso Hegel come “campione nichilista” non perché lui sia nichilista, ma perché stanno entrambi in un’espressione formale pari a A=¬A. Confronta Critica.
[2] https://www.gazzettafilosofica.net/2017-1/ottobre/l-oblio-del-padre-dante-e-il-linguaggio-postmoderno/
[3] Cfr. Appendice matematica cap. 7: La matematica in esame prevede la possibilità di una dimensione speculare a quella descritta, il cui verso è contrario a quello in esame, dove cioè si può viaggiare solo nel passato –v, con effetti che precedono le cause. Così come previsto dai calcoli sulla relatività di Einstein.
[4] Cfr. App. matt. cap. 7. Teoria speculare A < B con effetti che precedono le cause: Il limite massimo della velocità è l’immobilità, oltre la quale non si può andare, precludendoci quella progressione necessaria ai viaggi nel futuro. Infatti, tramite il processo della contrazione spazio-temporale, se posso accelerare verso l’immobilizzazione del tempo, allora rimane fuori il futuro prima.
[5] Il nome e il messaggio si rifà alla teoria Open Quantum Relativity.
[6] Si noti come l’open relativity porti all’immobilità, ossia all’immobilità come stato ultimo a seguito della massima velocità +v. Cfr. App. matt. cap. 7
[7] Si noti come l’open quantum porti all’immobilità, ossia all’immobilità come stato ultimo a seguito della minima velocità –v. Cfr. App. mat. cap. 7
Bibliografia finale
V.J. CERAVOLO, Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, ed. Il Prato, Collana Cento Talleri, Saonara (PD) dicembre 2016, secondo al Premio Nazionale di Filosofia 2017 (Certaldo).
ID. Verità. Unione fra realismo e costruttivismo, in «Azioni Parallele» 03 febbraio 2017.
ID. Teoremi di coerenza e completezza. Epimenide, Gödel, Hofstadter, in «Filosofia e nuovi sentieri» 14 maggio 2017.
ID. Dieci argomenti di filosofia, in «Filosofia e nuovi sentieri» 7 luglio 2017.
ID. Critica al nichilismo. Kant, Nietzsche, in «Azioni parallele» 02 ottobre 2017.
A. EINSTEIN, Come io vedo il mondo. La teoria della relatività, ed. Newton Compton, Roma 1988.
G.W.F. HEGEL, Scienza della logica, ed. Laterza, Roma-Bari 2008.
* Vito J. Ceravolo, classe 1978, è ricercatore indipendente. La sua filosofia fonda il paradigma dell’accessibilità intellegibile della ragione in sé assieme all’accessibilità sensibile dell’apparente fenomeno. Oltre a implementare nuove logiche formali, predicazioni di esistenza dell’essere, teorie di conoscenza dell’oggetto e del soggetto, e altre questioni legate al cambio paradigmatico di questa filosofia, il cui libro è stato premiato col secondo posto al Premio Nazionale di Filosofia 2017, Certaldo (FI).
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13 novembre 2017 alle 17:14
La proposta di cui alla sintesi del cap 2) assume l’identità A=A come “fondamento saldo e costante”; ma la A a sinistra del segno = è altro dalla A alla sua destra, l’identità cioè è posta attraverso il segno =, e ciò non ci garantisce “assolutamente” ovvero indipendentemente dalla relazionalità delle due A. Lo sviluppo dell’argomentazione porta alla conclusione di una “consistenza filosofica adatta per ricercare leggi universali da applicare alla pluralità dei casi particolari, coi quali universi costruire le più svariate inferenze relative”. A fonte di questo discorso filosofico “fondazionista” (in cui però pare implicito un concetto di verità come adequatio rei et intellectus) le attuali ipotesi della teoria “quantum gravity” (in proposito ref Carlo Rovelli “La realtà non è come appare-L struttura elementare delle cose”) pongono a base una “rivoluzione” semantica del concetto stesso di “oggetto” (privilegiando quello di eventi, accadimenti, in cui non già l’essere parmenideo è centrale ma piuttosto il divenire eracliteo): questa ipotesi scientifica, che cito a titolo di esempio della frontiera della fisica del XXI secolo) potrebbe utilmente indurre la filosofia ad una riflessione accurata sull’ipotesi ontologica (ed ontica) della vaghezza che, ragionevolmente, potrebbe ricomprendere al suo interno anche le vaghezze epistemiche e semnatiche.
4 dicembre 2017 alle 15:35
Salve,
nel mio libro citato in capitolo due, ho un capitolo che svolge una lunga esamina dell’essere e dell’esserci (pp. 81-189). A causa del paradigma di accesso intelligibile alla ragione in sé, da me il suo discorso si tratta così:
• In A=A la formula «si serve dello stesso termine come se fossero due, e lo ripete due volte» sebbene sia sempre uno e il medesimo. (p. 92)
• In A=B nella formula non c’è un solo termine ripetuto più volte, ma più termini diversi fra loro messi in relazione di uguaglianza fra loro. Un’uguaglianza discontinua che si serve di diversi termini come se fossero uno. (p. 95)
Se da questo vogliamo scendere a livello ontologico, allora da me abbiamo da distinguere il materiale oggetto A che è un essere, dalla forma dell’essere rappresentata dal simbolo “=” (pp. 102-103). Da cui:
“A=A” significa “Essere è Essere”. Si sta parlando di uno stesso continuato oggetto relazionato da se stesso. (p. 104)
A livello di oggetto in sé, in tal senso, si perde il concetto di vaghezza, il quale però rimane vivo nelle varie relazioni apparenti, cioè vivo in tutte quelle scienze che studiamo il fenomeno delle cose. Così come fa notare lei.
Nel libro tratto i vari argomenti necessari a sostenere tale posizione. Il risultato mi sembra una vasta coerenza ontologica; ma naturalmente non posso giudicarmi da solo.