> di Mario Lupoli
Hannah Arendt si distinse come lettrice attenta e originale di Karl Marx, per quanto non di rado ne piega il pensiero alle sue esigenze argomentative. In questo volume Arendt nega ogni relazione tra il totalitarismo e la tradizione filosofico politica occidentale. Rivendicando la piena appartenenza di Marx a questa tradizione, l’Autrice sostiene l’assenza di alcun collegamento tra l’evento stalinista e il pensiero marxiano, pur ravvisando, tra acute riflessioni e non poche forzature, il fallimento di quest’ultimo proprio nel poter essere agito da una forma di dominio totalitario come riferimento e quadro teorico. Un’opera irrinunciabile per comprendere lo sviluppo della concezione arendtiana del fenomeno totalitario, che consente di rilevarne anche i significativi limiti. È la loro identificazione a rappresentare un impegno teoretico di particolare valore, per meglio orientare la possibilità di riferirsi al lavoro di Arendt in una rinnovata critica della contemporaneità.
«Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale», volume curato per la Raffaello Cortina di Milano dalla studiosa Simona Forti, propone i dattiloscritti che Hannah Arendt redasse nel 1953 per i suoi interventi al “Christian Gauss Seminar in Criticism” dell’Università di Princeton.
Arendt sviluppa i suoi contributi attorno a due temi: innanzitutto le ragioni del suo dialogo ideale con la filosofia di Marx, in secondo luogo il problema della collocazione di questo pensiero nella tradizione filosofico-politica occidentale.
Hannah Arendt fu spinta dalla fase storica che attraversava l’Occidente a riflettere sul fenomeno inedito del totalitarismo. Da più parti, quest’ultimo veniva messo in relazione alla filosofia politica inaugurata da Platone. Arendt avvertì i rischi e, al contempo, la radicale infondatezza di questa continuità tra filosofia e totalitarismo.
Quest’ultimo viene dall’autrice piuttosto concettualizzato come fenomeno nichilistico, privo di qualunque origine e rapporto con la tradizione del pensiero politico occidentale.
La tradizione è particolarmente importante per la Arendt: senza di essa, collasserebbe la dimensione della profondità che rende possibile il pensiero.
Il totalitarismo non può avere pertanto nel passato né cause materiali né spirituali, che possono apparire «come cause soltanto alla luce dell’evento stesso, che illumina il suo presente e il suo passato» (p.45).
Il nazismo in particolare viene interpretato come una rottura radicale nella storia, che attacca frontalmente la tradizione.
Particolarmente problematico diventava leggere lo stalinismo, l’altra grande forma di totalitarismo del Novecento.
Lo stalinismo, difatti, non si limita a un ricollegamento ideale a Marx, ma pretende di essere marxismo vivente. Per Arendt questo corrispondeva a voler portare l’esperienza del totalitarismo all’interno della tradizione di pensiero occidentale, alla quale apparteneva, pur con caratteristiche originali, il filosofo di Treviri.
Marx, nella lettura di Arendt, è in una posizione molto particolare: anche se non più contemporaneo, la sua riflessione è focalizzata su alcune delle questioni più attuali. Allo stesso tempo, il suo pensiero è esposto alla possibilità di essere rivendicato e manipolato da un fenomeno totalitario, lo stalinismo appunto, che pur nulla ha a che fare con esso: in questa possibilità, l’autrice constata anche il fallimento di Marx.
Come messo in luce dalla curatrice Simona Forti, tuttavia, Arendt semplifica e reinterpreta le tematiche marxiane «a suo uso e consumo», anche trascurandone aspetti essenziali e producendo contraddittorietà in effetti non presenti nel lavoro del filosofo rivoluzionario.
Ciononostante il volume è di grande importanza per la riflessione sul rapporto tra filosofia e totalitarismo, e per cogliere in particolare l’evoluzione del pensiero di Hannah Arendt, che con l’opera di Marx instaurò negli anni un rapporto onesto e fecondo, pur nel chiaroscuro di una comprensione spesso ostacolata dalle diversità del rispettivo impianto teorico.
Hannah Arendt, Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale, ed. Raffaello Cortina, Milano 2016, pp. 168, euro 13,50, ISBN 9788860308672. ISBN 978-2-35088-100-3.
* Mario Lupoli è nato nel 1979 a Napoli, dove si occupa di pratiche filosofiche, educazione non formale e mediazione culturale. Socio dell’Istituto O. Damen e della Società Italiana di Teoria Critica, ha pubblicato lavori sulla ricezione di Platone nel pensiero contemporaneo, su Karl Marx e la Scuola di Francoforte.