> di Giuseppe Brescia*
Potrebbe sorprendere l’inserimento nel percorso sul “senso del celeste” dell’artista britannico David Bowie, deceduto sessantanovenne nel gennaio 2016. Il poeta latino Terenzio insegna: «Homo sum; nihil humanum a me alienum puto». La menzione valga a parziale giustificazione della nostra lettura. In effetti, come tremendamente tragico è, nell’ultimo intenso video musicale Lazarus, l’autore di Starman e, poi, di BlackStar!
Al principio, Bowie esce da un armadio – sarcofago, nelle cui ante rientrerà all’ultima sequenza. Poi, lo si vede bendato e steso su di un lettino, gravemente infermo, che canta, o – meglio – implora: «Look up here / I am in heaven» – «Guarda quassù, io sono in cielo. / E ho cicatrici che non si vedono; / ho un dramma che non può essermi sottratto. / Tu solo adesso mi conosci». Quindi, la scena s’interrompe per esibirci l’autore dal volto pulito e in posizione eretta, posizione che si alterna con una veste a fasce di luce, quando il cantante inneggia a New York, nel disperato tentativo di registrare gli ultimi improbabili appunti, vergati sul diario con nevrotici scatti del capo e delle mani. Mentre la musica struggente ricava effetti lancinanti e testamentali, l’autore ritorna sulla branda da malato, nello sforzo di sollevarsi anche fisicamente verso il cielo, le mani protese e tremanti in alto: «Alla fine, in qualunque modo, io sarò libero!»
Lo direi, esteticamente e non senza audacia – questo inserto venerando e terribile – un canone “caravaggesco”, come nella Resurrezione di Lazzaro a Messina che impressionò Bassani per il gioco della mano tra luce e ombra, a voler significare, da parte di Lazzaro: «Io vengo! Sì, vengo verso la luce e la vita» – Ma anche: «No, non vengo! Lasciatemi stare ancora nel buio» (v. il mio Il caro, il dolce, il “pio” passato. Bassani e la memoria, Bari 2010). Dove il contrasto dialettico è, naturalmente, diversamente modulato; dal momento che Bowie è più disperato e straziante nell’assolo ritmico e teatrale. (Per la verità, in una delle due versioni che conosciamo, del Lazarus, di sotto alla branda capovolta, si affaccia per due attimi l’alter ego di Bowie, vicino a tesi buddistiche di reincarnazione). Mentre Michelangelo Merisi, peraltro anch’egli disperato o per altri motivi perseguitato, si mantiene più “classico” e “corale”, nella larga tessitura prospettica della scena. Ma il senso profondo delle due rapprsentazioni ci vuol sembrare affine: l’alternativa tra morte e vita, morte e sopravvivenza, o nella “santità”, o nel “firmamento”, cui l’auctor, il personaggio – autore, vuole aderire o approdare. Dentro il travestitismo, c’è la tragedia della libertà. Sotto la “facile” ambiguità (v. il dialogo tra Bowie e Dario Argento, i prestiti da Orwell e Lewis Carroll, Poe o Burroughs), parla l’autentica “dialettica delle passioni”: quella che rapportavo negli stessi anni alla “fucina del mondo”, concentrazione delle energie spirituali e fervore proiettato nell’opera, in quanto sintesi degli opposti timore-speranza e cautela-ardimento. Laddove l’ambiguità mi appariva sintomo di dispersione e incorenza affettiva, priva di creatività, specie nelle declinazioni nostrane di “animali di palcoscenico” e “pappagalli ammaestrati” (cfr. Non fu sì forte il padre. Letture e interpreti di Croce, Galatina 1978; Tempo e Libertà. Teorie e sistema della costruttività umana, Lacaita, Manduria 1984). Così, il “de-siderio”, teorizzato nell’Anti-Edipo di Deleuze e Guattari (e citato da Alessandro Zaccuri sull’«Avvenire» del 12 gennaio 2016), è piuttosto riferito – etimologicamente e antropologicamente – proprio al senso originario, di “senso del celeste”, “nostalgia” o “mancanza delle stelle”.
L’autore di Space Oddity (1969) e Ziggy Stardust (1972) cerca l’autentico sotto l’inautentico e il valore, dentro la esibizione, della “Libertà”: si rivedano gli Heroes del 1977, completamento della trilogia berlinese di Low e Lodger, grande contributo alla vicenda dell’abbattimento del Muro, sul piano ideale e artistico prima ancora che etico-politico. “Eroe”, o “Eroi di un giorno”, fanno sì che Bowie si possa definire – in fondo – uno dei “caduti” della terza guerra mondiale a pezzi, non sul campo della battaglia militare diretta o indiretta (in Oriente o in Afganistan, a New York o Madrid, Parigi o Londra); ma su quello delle creature che hanno introiettato profondamente, “nelle pieghe dell’anima”, le tappe della crisi, come tanti interpreti e attori della vita teatrale, cinematografica e civile, da Robin Williams, genio e sregolatezza, malato nascosto morto suicida, il generoso d’altrui terapeuta, cronista di Good Morning, Vietnam!, di cui figlia Zelda evocò la personificazione in una stella del firmamento, sulla traccia del Piccolo Principe del Saint-Exupery; sino allo stesso Philip Seymour Hoffmann, l’interprete di A sangue freddo di Truman Capote e The Master, altrettanto combattuto e interiormente tormentato per le ferite della esistenza, fino al limite dell’autodistruzione (cfr. L’aldilà di Robin Williams e Il senso del celeste: per Zelda Williams e Sant-Exupery, da “libertates” e “videoandria” del 16 e 17 agosto 2014 a “Variazioni del senso del celeste”). Del resto, se la terza guerra mondiale è “a pezzi” (come ama dire uno dei nostri Pontefici), ciò vuol significare che essa non è iniziata “qui ed ora”, ma “prima d’ora”, e prius rispetto ad un altro prius e ancora, così, retrocedendo verso la verosimile data ideal-storica del “1994”, emblematicamente assunta a origine della incubazione più recente del male e della congiunta “ragione sofistica”. Il punto fu segnato già nel Te Deum della fine 1993 da Karol Woytila, e corroborato per la convergenza di molti altri eventi “epocali” (cfr. “1994”. Critica della ragione sofistica, Bari 1997 e I Conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male, Bari 2015, al capitolo sulle Conclusiones nongentae). Dio non voglia che, alla prossima data di rimbalzo della virtuale esplosione del “male”, alla cadenza del “2034”, e per tutti questi trascorrenti anni angosciosi e drammatici, chiamati ad essere tutti noi “Eroi per un giorno”, “almeno un giorno”, non finiremo per combattere la battaglia (quasi) finale tra figli della luce e figli delle tenebre, umile gente buona intesa a veder la luce delle stelle polari, che son poi i valori permanenti e assoluti dello spirito umano, e i predicatori lugubri della umanità nuova da ergersi sulle macerie della “distruzione” gaudente di sé, “de-creazione” o “dis-creazione”, che si dica o si voglia. “Che Dio disperda la profezia!”, amava ripetere Don Luigi Sturzo negli anni Cinquanta del secolo scorso. Consapevoli di rasentare la profezia piuttosto che la laica teoria della previsione, cadendo dalla storicità del “colpo d’occhio” nella “filosofia della storia”, ritroveremo il fondamento vitale della percezione delle apocalissi quotidiane in qualche aspetto della “dialettica delle passioni” timore-speranza e cautela-ardimento, memoria storica e trepidante vigilanza per l’avvenire. Laicamente, allora, pur nel “profetare” dettato da speranza disperata, ribadiremo che il “grande giuoco” non riesce, perché esso si frantuma inevitabilmente nella rivalità e contesa di tanti altri giuochi e consorterie, più o meno “grandi”, oltre che per la “sapienza dispersa” tra miliardi di individui, che crea conseguenze non volute delle azioni umane intenzionali (Friedrich von Hayek). Vero è che dall’“odore stantio di massoneria” (di cui ha parlato il giornalista De Bortoli) sembra si passi piuttosto, talora, tra le “polveri sottili della massoneria”, forse più raffinate e al tempo stesso più pervasive e pericolose (apparati burocratici, Ge-stellung finanziaria, amministrazioni bancarie nomine di docenti universitari e primari ospedalieri), deterninandosi, per ciò, una maggiore difficoltà nell’apprestare efficace risposta da parte della “sapienza dispersa” rispetto al “Potere”, coacervo di poteri. Ma il modulo, lo schema della risposta “liberale” resterà comunque inalterato. E canteremo verso per verso, quartina su quartina, a scalare, con voce sempre più alta e stentorea, insieme con Bowie testimone di libertà, “Heroes just for one day”!
Da un remoto angolo dell’universo, David, look down here, guarda pur qui in basso, verso la nostra terra, al sonetto di pietra, il Castel del Monte, magico riflesso della armonia delle sfere, dove “ri-circola entrando ogni Idea” (H. C. E.) – La religione della Libertà è fatta non solo per politici e filosofi, ma anche per musicisti o cantanti come Lauzi, storici, economisti, letterati e scrittori, circolante come il volgare illustre, aulico, cardinale e curiale del De vulgari eloquentia di Dante, avvertito e presente in ogni luogo anche non si arresta da nessuna parte.
* Giuseppe Brescia, Presidente della Libera Università “G. B. Vico” di Andria, Preside titolare nei Licei, Medaglia d’oro per i benemeriti della Scuola nel 1990 e Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica, dopo la fase filologica (La poetica di Aristotele e Croce inedito, del 1984), ha espresso un sistema in quattro parti: Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva in due volumi (Bari 1999); Epistemologia come logica dei modi categoriali (2000); Cosmologia come sistema delle scienze di frontiera (1998) e Teoria della tetrade (2002). Ha lavorato all’innesto tra umanesimo storicistico epistemologia ed ermeneutica, dando valore attrattivo ai tempi del “tempo” e della “Lebenswelt”; alle Ipotesi e problemi per una filosofia della natura (1987), L’azione a distanza (1990) e Pascal matematico (1991); alle attualizzazioni dei problemi del male e del sofisma (Critica della ragione sofistica, 1997; Ipotesi su Pico, 2000 e 2011; Il sogno di Castorp e il progetto di Pico, 2002; Il vivente originario. Saggio sullo Schelling, Milano 2013; I conti con il male, 2015).
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2 marzo 2016 alle 19:11
Buondì Giuseppe, sarei interessato a conoscere le ragioni per cui il 1994 viene da lei considerata la data emblematicamente assunta a origine della incubazione più recente del male e della congiunta “ragione sofistica”? Potrebbe fare qualche esempio di fatti accaduti quell’anno che corroborerebbero la sua tesi? Mi incuriosisce molto.
Grazie, e complimenti per la profonda analisi su Bowie.
Cordiali saluti
Jacopo
8 marzo 2016 alle 10:42
A proposito di ‘1994’ : da Pico a noi, di Giuseppe Brescia.
La percezione del senso dell’eroico e, insieme, del tragico in David Bowie ha finito per riportare sotto il fuoco dell’attenzione un punto su cui avvertivo di non voler più tornare, come segno di ‘mistero tremendo’: la cadenza ideale e storica del ‘1994’. Ripercorro rapidamente l’itinerario storicofilosofico. Tutto inizia, o reinizia, con le Conclusiones nongentae, le novecento tesi raccolte da Pico della Mirandola, per la cui presentazione in Roma il genio umanista aveva dettato la celeberrima ‘Oratio’ De dignitate hominis: là dove – originariamente, nel 1480 – è prevista la fine dei tempi. “Se è prevista congettura umana circa i tempi ultimi, possiamo inferire, per la via più segreta della Cabala, che ci sarà la fine dei tempi da qui a 514 anni e 25 giorni” ( edizione critica a cura di Albano Biondi per i tipi Olschki di Firenze ). Nel 1994, per l’occasione del quinto centenario della morte di Pico, “Sincronizzate gli orologi” esclamò un interprete, tentando qualche modalità esplicativa dell’ Occulto in Pico, ad esempio con il dotto Brian P. Copenhaver, negli Atti del Convegno editi sempre da Olschki. Non essendo esperto di Cabala, provai solo a incrociare i testi pichiani con quelli degli esegeti, formulando ipotesi a proposito della “via più segreta della cabala”. Assumendo il 1480, a data ‘a quo’, con la giustapposizione di 514 anni, si perveniva giusto al 1994, ‘terminus ad quem’. E la via ipotetica potrebbe essersi costituita con due numeri “mirabili” ( 72 anni x 2= 144 ), nove “numeri sacri” ( 40, derivante dalla somma della serie dei numeri tripli 1+3+9+27, moltiplicato 9= 360 anni ) e l’altro ‘numero sacro’, corrispondente all’antica tetrachtys, 10 ( 1+2+3+4 =10 ). Ma la fine del mondo e dei tempi non si era verificata: dunque l’annuncio pichiano serbava un carattere di “virtualità”, di “incubazione”, non di “adempimento”, del male, per dirla nel linguaggio “figurale” delle Scritture, egregiamente ripreso da Erich Auerbach a proposito della poesia di Dante. Ecco allora, con un bel ‘colpo d’audacia’ (direbbe il Gadamer ), che le cadenze epocali di incubazione massima del male nella storia si rivelavano essere quali: il 155253 ( 1480+72 ), con il rogo di Michele Serveto segno del ‘nome di Dio nominato invano’; il 1593 ( più 40 anni ), con l’arresto da parte del Mocenigo di Giordano Bruno a Venezia, proprio dove il nolano riponeva la propria fiducia di protezione e riparo; il 1633, con l’abiura cui fu costretto Galileo Galilei; il 167273, con la scoperta newtoniana della nuova teoria della luce e dei colori che preparò la strada al ‘Trattato sull’Apocalisse; il 1712 – 1752 – 1792 – 1832 e 187172 ( rispettivamente, per la costruzione della Prussia a stato forte, e ‘battersi per il re di Prussia’; la battaglia di Valmy, per Goethe ‘primo giorno di una nuova storia del mondo’; l’annunzio rosminiano Delle cinque piaghe della santa Chiesa; e il“KulturKampf” da parte di Guglielmo I ). E le restanti ‘cadenze’ potevano condurre, per 72 anni, al 1944 ( gli anni de L’Anticristo che è in noi di Benedetto Croce, della spartizione del mondo e accadimenti storici correlati ); in chiave ermeneutica, al “1984” di Orwell, con attualizzazioni plurime sulla “neolingua” e il linguaggio capovolto del “sofisma”; infine,e per un decennio, al “1994”, epoca accogliente nella propria incubazione – rivelazione del male le ansietà accorate di Malachia, il mistero del terzo segreto di Fatima, il diffondersi di riti magici e irrazionalismi esoterici, gli attentati del gas nervino a Tokyo o al grattacielo di Oklahoma City, i suicidi di massa in Francia e Svizzera e isola di Malta, l’infiltrarsi del terrorismo in Occidente, sorta di nuovo “terrore catartico” (indagato da Hannah Arendt e Leo Strauss), la crisi della giustizia e del mondo della scuola sul piano parlamentare ed eticopolitico. Di ciò dava vibrante denunzia il “Te Deum” pronunciato da Karol Woytila il 31 dicembre 1993 ( che fu poi quello di cui gli chiese ragione l’attentatore Ali Agca nel colloquio successivo all’attentato ), con l’ammonizione del teoreta mons. Pietro Giacomo Nonis, di Padova, pel quale l’anticristo si è spesso impadronito della Chiesa nel corso dei secoli (ammonizione del 1994 ), unitamente a tutta una vasta pubblicistica sulle dinamiche della crisi interna alle libere istituzioni ( Matteucci, Bognetti, Pellicani e altri). Mi scuso per il rinvio, forse in parte giustificato a cagione della mancata diffusione di massa dei volumi, ai miei saggi “1994”.Critica della ragione sofistica; Il sogno di Castorp e il progetto di Pico; Ipotesi u Pico; I conti con il male ( incluso l’Italo Calvino e Andria ), tutti editi da Giuseppe Laterza nel 1997, 2003, 2011 e 2015. Una traccia non dissimile si può ravvisare nel recente “2084” del filosofo algerino Boualem Sansal, La fine del mondo ( Neri Pozza 2016 ), che assume a “problema” analoga, se pur diversamente sfaccettata, attualizzazione di Orwell; come io avevo osato assumere ad attualizzazione il “1994”, a cadenza decennale dal classico orwelliano, per le regioni certo succintamente riordinate di sopra. Di tutto ciò si è avvisto Papa Bergoglio, parlando con il suo stile a volte sbrigativo ( o del “far le cose alla svelta”, come usa dire ), di “guerra mondiale a pezzi”: o, piuttosto, di “umanità a pezzi” ( come preferisco annotare ), nel più vasto campo di “filosofia della storia”. Certo, vanno simultaneamente introdotte almeno altre quattro avvertenze: la differenza tra “profezia” e “previsione”, ossia tra lo schema di “lunga durata” e il “colpo d’occhio” caratteristico dello storicismo umanistico ( da Croce a Franchini e Antoni ); ma anche il ‘tratto d’unione’ che può insistere tra le due differenti, o perfino opposte, dimensioni ermeneutiche ( cioè, la ‘dialettica delle passioni’ timoresperanza e cautelaardimento ); il nesso tra massimo intento di individuazione, o individuum omnimode determinatum, all’interno delle cosiddette cadenze epocali, e l’impianto generale della ‘philosophie de l’histoire’ ( nesso che immaginai nel colloquio tra Aldo Ferrabino e Carlo Antoni, a conclusione Il Il sogno di Castorp e il progetto di Pico ); il rapporto tra grande ‘giuoco’ e suo frantumarsi in tanti altri ‘giuochi’ particolari; il teorema di Hayek sulle conseguenze non intenzionali di azioni umane intenzionali ( tenacemente ripreso da Dario Antiseri ) con la “religione della libertà”, infine. Ringrazio i lettori per l’attenzione, che ha consentito di provare a dipanare ulteriormente passaggi e rimandi della nostra rilettura del ‘tragico’ e ‘apocalittico’, all’altezza dei tempi.
Giuseppe Brescia