Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Il Genio precario. Per un ritratto di Walter Benjamin

3 commenti

> di Pietro Piro*

Copertina libro Ruggero D'Alessandro

Leggere il ritratto che il sociologo Ruggero D’Alessandro ha recentemente dedicato a Walter Benjamin [1], significa accostarsi a un punto di riferimento per il pensiero del Novecento, coltivando la speranza di ottenere, al termine della lettura, un senso di completezza e di pienezza. Si tratta di un desiderio tipicamente moderno quello di ricavare, con pochi sforzi, un quadro completo e pronto all’uso, da poter spendere in ogni occasione. La speranza però, in questo caso, è presto delusa. Il Benjamin che D’Alessandro dipinge con tratto nervoso e veloce è una figura multiforme e sfuggente, chiusa e apertissima, schiva fino all’esilio interiore e fluida come il traffico di una moderna metropoli. Benjamin è precario in ogni aspetto della sua vita. Osservatore minuzioso di un mondo in accelerazione continua, riesce a cogliere nel frammento l’intero corso degli eventi futuri. Armato della più potente delle armi: la lucidità; riesce a tracciare il quadro complesso di un mondo-vetrina, in cui le merci e gli uomini appaiono in un allucinata sequenza d’immagini deformate. Benjamin non fa mai il calco della realtà che vive e sperimenta su di se. Cartografo dell’avvenire, segna i punti su una mappa nuova e in movimento e riesce a tracciare delle linee di fuga, anche dove le scuole riconosciute si arrestano. Benjamin viaggia attraverso il tempo breve della sua vita su i sentieri della storia e nei vicoli delle metropoli. Napoli, Berlino, Mosca, Parigi, diventano luoghi di studio e di ricerca, dove esercitare la propria arte segreta di osservatore critico. Niente sfugge allo sguardo di Benjamin e non c’è aspetto della realtà che non sia degno di essere ricollocato in un movimento circolare che sembra saper leggere solo il cercatore di perle. D’Alessandro ci fa rivivere – anche grazie a una scrittura colta e raffinata – la rete delle relazioni in cui la vita di Benjamin scorre magmatica e ci accorgiamo che i nomi che si accostano al suo, sono nomi di giganti. Benjamin però, pur godendo di amicizie importanti e di collaborazioni prestigiose (una su tutte la collaborazione con l’Istituto per le Scienze Sociali di Francoforte) non riesce a trovare una collocazione stabile che gli permetta anche d’identificarsi con una scuola. Noi ci chiediamo se questa sua continua incapacità d’identificazione e questa sua estrema mobilità, non siano il segno anticipatore di quella modernità priva di aura che egli ha incarnato e vissuto con la sofferenza dei precursori. Benjamin appare come una figura inclassificata e inclassificabile con i parametri rigidi e consolatori in uso alla storiografia. D’Alessandro che si sforza anche di collocare in senso storico-critico il percorso di Benjamin – forse anche involontariamente – ci rende viva l’immagine del pensatore tedesco alla luce di una completa e continua metamorfosi che la morte a Port Bou non riesce ad interrompere. Benjamin perso tra memorie dell’infanzia e allucinazioni del futuro prossimo venturo; indaffarato nella ricerca ossessiva dell’oggetto perduto; allucinato dalle luci delle vetrine e dalle promesse delle prostitute. Benjamin viaggiatore in stazioni e porti, migrante, esule e pellegrino in un Europa che sprofonda nella catastrofe. Tutto in questo genio è precario. Si direbbe che persino l’universo per Benjamin non è altro che un eterno mutamento in cui l’uomo come frammento non può fare altro che naufragare. Ma se per Benjamin: «Solo l’incompiuto può essere inteso, può portarci lontano» [2], allora, dobbiamo ringraziare D’Alessandro che con quest’opera che non ha nessuna pretesa di essere compiuta o definitiva, ci permette di guardare lontano e di accostarci a un autore la cui aura non smette di emanare luce e calore e che ci attrae per il suo pensiero tagliente che illuminando il passato, ci consente d’intuire il futuro.

Bologna
Agosto 2013

[1] Cfr. R. D’Alessandro, Il Genio precario. Per un ritratto di Walter Benjamin, Manifestolibri, Roma 2013.

[2] Ibidem., p. 112, nota 27.

* Pietro Piro (Termini Imerese, 1978) è uno studioso attento alle dinamiche di disumanizzazione radicale del nostro tempo. I suoi più recenti lavori sono: Francisco Franco. Appunti per una fenomenologia della potenza e del potere (2013); Il dovere di continuare a pensare (2013). Ha tradotto e introdotto J. Ortega y Gasset, Appunti per un commento al Convivio di Platone (2012) e S. Ramón y Cajal, Psicologia del Don Quijote e il Quijotismo (2012) e curato la postfazione a J. Ortega y Gasset, Meditación de la Técnica (2011). Dottore di Ricerca in “Comunicazione Politica” è stato visiting scholar presso il Dipartimento di Storia Contemporanea della UNED di Madrid e ha svolto attività di ricerca presso il fondo filmico della Filmoteca Española di Madrid.

[Clicca qui per il pdf]

3 thoughts on “Il Genio precario. Per un ritratto di Walter Benjamin

  1. Credo che per capire la figura di Walter Benjamin siano determinanti due cose: ovviamente il suicidio e il suo libro, pubblicato nel 1921, intitolato “Per la critica della violenza”. Benjamin era un intellettuale tedesco di origine ebraica e avvertiva su di se tutta l’emarginazione di cui la civiltà materialistica prodotta dalle varie rivoliuzioni industriale riservava a chi le remava contro. Peggio ancora le cose andarono con l’avvento del nazismo, per effetto del quale il Nostro cominciò ad avvertire l’inutilità della speculazione dianoetica ed anzi il disprezzo verso di essa (ritenuta una debolezza) da parte di un sistema muscolare, fisico, portato all’esasperazione. Grave il crollo della Francia, baluardo ritenuto valido contro la brutalità tedesca, e terribile, spiritualmente, l’occupazione di Parigi, faro della civiltà da oltre un secolo. Benjamin caricò sulle proprie spalle la delusione dell’intera umanità libera e si arrese, suo malgrado, ad una realtà ottusa che pareva invincibile. Egli uccise il proprio cuore e la propria mente, accettò l’oblio, non tanto di se, quanto della civiltà intera. Solo l’ingenuità e il puritanesimo americano salvarono, di quest’ultima, i brandelli.

  2. Ora è tempo di conservare l’inconservabile, e solo chi di per se è impossibile può e deve farlo.
    Bell’articolo e bel soggetto (tolto il passo in cui si definisce “fluido” il traffico delle moderne metropoli…)

  3. E’ sufficiente la foto: sai che c’è un pensiero dietro quella fronte.

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