«Ogni filosofo vuol trovare un senso – ossia un’unità – del mondo; ma gli oggetti che deve considerare sono infiniti, e i nessi concettuali che deve stabilire tra di essi sono, se possibile, ancora più infiniti. Il vigore di un filosofo è misurato dall’ampiezza di questa rete, che egli getta sulle cose, tentando di afferrarle e di stringerle. Ma ciò che conta ugualmente, è la qualità del tessuto di questa rete. La bava del ragno dev’essere rilucente e uniforme, e tenue abbastanza da ingannare la preda. E’ la forza dello sguardo, che stabilisce questa unità, lucida e avvolgente» [Giorgio Colli, Per un’enciclopedia di autori classici, Adelphi, Milano, 1983].
31 luglio 2013 alle 14:14
Trovo questo frammento narrativo di Colli illuminante al fine di comprendere il senso profondo della vocazione per una vita filosofica.
31 luglio 2013 alle 16:43
Avendo frequentato il nostro Colli (culturalmente parlando) Nietzsche, non potrebbe essere differente.
Vorrei soffermare l’attenzione dei lettori sulla prima frase del frammento: “ogni filosofo vuol trovare un senso ossia un’unità del mondo”. Non parla di “finalità” ma di “unità” di visione, arrivando alla constatazione che la molteplicità degli “oggetti” e l’infinità dei “nessi concettuali” rendono impossibile de-finire esattamente questa unità.
La validità del filosofare è data dall’ampiezza di visione e dalla qualità dei collegamenti, che non avranno mai un valore definitivo.
Si potrà stabilire una o qualcuna di queste relazioni, percorrere uno o alcuni degli infiniti sentieri possibili, ma…un sentiero vale l’altro? Percorrere una strada (una qualsiasi) può essere sufficiente?
Colli sottolinea che ciò che conta è “la qualità del tessuto di questa rete”, cioè non ritiene che tutti i sentieri abbiano pari dignità.
La nobiltà nel pensare è “escludente”, nel senso che scarterà certi sentieri perché senza uscita o perché inutilmente impervi.
La selezione è ciò che conta: non basta porsi delle domande, ma occorre porsi le domande corrette.
Con il rischio – da non sottovalutare – che si rivelino essere sentieri ingannevoli, ovvero bava di ragno “tenue abbastanza da ingannare la preda”.
31 luglio 2013 alle 19:16
Non bastano le domande corrette, ci vogliono anche risposte corrette, e qui il gioco si fa duro. Alla fine tutti abbiamo delle idee, delle preferenze. Non solo selezione quindi, anche chiarezza.
22 agosto 2013 alle 16:15
Trovo queste parole assolutamente vere. L’unità scaturisce dai legami, e l’immagine della rete restituisce la complessità e l’inerpicarsi dei legami. Che però vanno creati: le cose, i legami non ce li hanno, come dire, “scritti in fronte”. E in questo stabilire creativamente legami consiste, in fondo, l’intelligenza, ancor prima che la filosofia.
22 agosto 2013 alle 22:42
Condivido alcune cose di questo brano. Per esempio la concezione relazionistica, che mi ricorda Banfi. Altre mi danno da pensare.
Mi interessa la parte finale in cui sviluppa il paragone con la tela del ragno. L’immagine del ragno mi ricorda la differenza fra ragni e api formulata da Bacone. Ma al di là del riferimento culturale: nelle parole di Colli, l’intreccio dei fili deve essere lucente ma tenue per ingannare la preda.
Chi è la preda? I non filosofi? Coloro che non hanno lo sguardo panoramico e selettivo del filosofo e che perciò cadono inconsapevoli nelle sottili relazioni descritte con sapienza dal filosofo?
Non mi pare che da questa descrizione si possa ricavare una concezione dialogica della filosofia. L’intreccio è frutto di un lavoro di pensiero faticoso, rischioso, creatore ma solitario. Mi pare una concezione vagamente eroica e “nobiliare” della filosofia.