
In questo articolo prendiamo in esame limiti (Grenzen) e confini (Schranken), così come intesi da Immanuel Kant (1724-1804). A partire dalla trattazione del tema nei Prolegomeni (1783), cercheremo di dissipare la caligine presente attorno a tali concetti e chiariremo le loro differenze attraverso una varietà di esempi. Ma che cosa sono i limiti (Grenzen)? E perché, a differenza dei confini (Schranken), possiamo considerarli positivi? Tentare di rispondere richiede una riflessione sulle idee trascendentali e sulla metafisica in generale. Infine, sposteremo l’attenzione su una domanda: cosa significa riscoprire la portata del limite (Grenze) per l’essere umano?
Un’opera di depurazione
«Oltre i limiti della loro galassia – che non era la nostra – non potevano navigare con il corpo, però, con la loro sete di conoscenza circa tutto ciò che riguardasse lo spazio e il tempo, avevano trovato un sistema per poter percorrere certi gorghi transgalattici con la loro mente»
Howard Phillips Lovecraft, Sfida dall’infinito, 1935 [1]
La ragione umana possiede dei limiti? E chi può dire cosa essi siano? Innanzitutto, potremmo essere più accorti: parliamo davvero di limiti (Grenzen), o soltanto di confini (Schranken)? È una differenza che bisogna considerare anche quando leggiamo il massimo inquisitore della ragione umana, Immanuel Kant (1724-1804). Vogliamo stabilire quali siano le barriere oltre cui non possiamo procedere? Oppure intendiamo riconoscere uno spazio, che implica a sua volta la presenza di uno spazio assai peculiare? Per rispondere, occorre un’opera di depurazione: attraverso alcuni reagenti, tenteremo di eliminare ciò che ostacola la comprensione delle parole Grenzen e Schranken.
Questi termini, così come li utilizzano Kant e altri intellettuali del periodo, derivano da traduzioni di parole latine. Grenzen traduce il latino terminus, parola che implica uno spazio di ulteriorità rispetto a ciò che delimita o racchiude; Schranken traduce il latino limes, che indica qualcosa di negativo, l’incompiutezza di una certa grandezza (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187). L’uso di tali parole nella Germania del XVIII secolo emerge in Leibniz, ancor prima che in Kant.
Nella quotidianità, spesso, usiamo le parole limite e confine come sinonimi. Può così accadere che qualcuno concepisca il limite come ciò che per qualcun altro coincide con il confine e viceversa. Ma rivolgiamo uno sguardo alle traduzioni dei termini in inglese. Nelle opere di Kant tradotte in inglese, Schranken, ciò che in italiano incontriamo come confini, compare come limits. È boundaries, invece, che traduce Grenzen – mentre in italiano traduciamo Grenzen come limiti. Ricordare queste scelte dovrebbe chiarire che, prima di illuminare la distinzione tra limite e confine in Kant, occorre sospendere le rappresentazioni soggettive legate a queste parole.
Ad accrescere lo scompiglio non è soltanto il senso comune: la confusione proviene persino da alcuni studiosi. È il caso di P.F. Strawson (1919-2006), autore di The Bounds of Sense (1966). Strawson considera Schranken e Grenzen intercambiabili (Stephen Howard, 2022, p. 65-78). L’autore di The Bound of Sense appiattisce il limite sul confine; gli sfuggono perciò le implicazioni derivanti dalla distinzione nell’impiego delle parole in Kant. Tant’è che Strawson scrive della filosofia critica come ciò che dovrebbe limitare o confinare il pensiero coerente, sensato (Stephen Howard, 2022, p. 65-78). Ma questa impostazione del problema somiglia più al tentativo di limitazione compiuto da Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus (1921)[2].
Nei Prolegomeni
Kant, in generale, non intende distinguere tra pensiero sensato e insensato, bensì tra possibili oggetti d’esperienza e cose in sé: ciò che possiamo conoscere e ciò che possiamo soltanto pensare. Ma torniamo alla differenza tra limiti (Grenzen) e confini (Schranken). Riferimenti alla distinzione compaiono, ad esempio, nella Critica della ragion pura (1781) e in Che cosa significa orientarsi nel pensiero? (1786) (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187). Tuttavia, in nessun caso troviamo una trattazione tanto esplicita come quella presente nei Prolegomeni ad ogni metafisica futura che potrà presentarsi come scienza (1783).
Lasciamo che a parlare sia il pensatore di Konisberg: «I limiti (in un essere esteso) presuppongono sempre uno spazio, che si trova fuori di un certo determinato luogo e lo racchiude; i confini non han bisogno di ciò, ma son semplici negazioni che affettano una grandezza, in quanto non ha completezza assoluta. La nostra ragione vede, per così dire, intorno a sé uno spazio per la conoscenza delle cose in sé, sebbene non possa mai averne concetti determinati e sia confinata soltanto entro i fenomeni» (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, traduzione di Pantaleo Carabellese e introduzione di Hansmichael Hohenegger, Editori Laterza, Bari-Roma, 2019, Conclusione. Della determinazione dei limiti della ragion pura, § 57, edizione digitale Epub).
Il limite (Grenze), dunque, ha una portata maggiore del confine (Schranke). A questo proposito, offre un’indicazione il titolo di un altro scritto kantiano: La religione entro i limiti della sola ragione (1793), in tedesco Die Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft. Kant sceglie qui Grenzen, invece che Schranken. E cerca, infatti, di esplorare la dimensione entro cui la religione trova un accordo con la ragione, senza che ciò implichi spingere quest’ultima alla dimostrazione dell’impossibile. Già il binomio ragione-religione richiede innanzitutto una riflessione sui limiti (Grenzen), perché la religione ha da sempre cercato di dire qualcosa sull’inconoscibile. Il confine (Schranke) non permette questa riflessione, in quanto mera barriera.
Potremmo concepire il confine (Schranke) come una soglia matematica; il limite (Grenze), invece, come una categoria spaziale[3]. Perché parliamo di matematica? La conoscenza matematica non raggiunge mai una completezza assoluta – quando, infatti, potremo dire che sia compiuta?
Ammettiamo per assurdo che, dopo un certo sviluppo, la conoscenza matematica sia definita una volta per tutte. Ciò implicherebbe alzare un velo sulla sua incompletezza precedente, ma anche negare sviluppi futuri, perché abbiamo assunto, come già detto, che essa abbia ormai raggiunto il capolinea. Ma la matematica che conosciamo non ha affatto questa forma. La conoscenza matematica procede, infatti, entro confini (Schranken). Sono delle soglie, delle barriere che dividono e mettono ordine laddove manca una possibilità di determinazione totale.
Della metafisica, al contrario, diremo che cammina sui limiti (Grenzen). Confini (Schranken) e limiti (Grenzen) illuminano possibilità, oltre che delimitare – possibilità diverse, appunto, in base alla loro distinzione. I primi orientano laddove manca una possibilità di determinazione compiuta, tema che appare chiaro quando rifletteremo sull’analogia della terra piana, presentata da Kant nella Critica della ragion pura. I secondi costituiscono dei tracciati su cui possiamo muoverci; sono compiuti, ma pensare limiti (Grenzen) significa già anche pensare ciò che c’è oltre di essi. Concepire i limiti della ragione come compiuti rischiara altri risvolti del pensiero kantiano. Emerge da qui, ad esempio, che Kant, a differenza di Hegel, relega l’infinito nella dimensione dell’inconoscibile.
Tra terra piana e rotonda
«Quando Kant parla di ‘limiti’ (Grenzen) intende i limiti di un tutto assoluto che contiene in sé il rapporto tra ciò che è immanente a quel tutto e ciò che lo trascende. I confini, invece, sono descrizioni di una porzione di un tutto che rimane comunque incompleto (352)» (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, cit., Introduzione).
È il metodo critico-trascendentale che dovrebbe illuminare non barriere (Schranken), ma limiti (Grenzen) – non l’ignoranza su casi particolari, ma su tutte le questioni possibili di una certa specie (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187). Nella Critica della ragion pura Kant illustra l’analogia della terra piana e della terra sferica (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187). Nel primo caso, la nostra conoscenza della superficie sarebbe racchiusa entro barriere (Schranken), che non riusciremmo a definire una volta per tutte. Nel secondo, invece, potremo raggiungere una conoscenza dei limiti (Grenzen), e pure con una certa esattezza.
Illustriamo meglio questo esempio con un po’ di immaginazione. Una volta sbarcati su una terra piana, potremmo desiderare di scandagliarne la superficie. Supponiamo di non avere a disposizione satelliti o altre tecnologie di questo genere. Il problema è che, in ogni caso, dovremo procedere in maniera empirica, cioè a-posteriori; cos’altro potremmo fare, se non disegnare una mappa pian piano, attraverso le nostre osservazioni? Potremmo calcolare in qualche modo, una volta per tutte, l’estensione di questa terra, sulla base della porzione di superfice che conosciamo? Ma come farlo, dal momento che la superficie piatta potrebbe presentare tratti irregolari alle sue estremità?
Qualora la terra fosse rotonda, come la nostra, basterebbe invece conoscerne una porzione – ciò che basta per calcolare il grado di curvatura e il diametro. Obiettivo raggiunto. Ma, soprattutto, avremo acquisito una conoscenza concreta dei suoi limiti (Grenzen), della sua estensione. Esplorare la superficie di una terra dalla superficie piatta consentiva, al massimo, di determinare confini (Schranken): barriere che, di volta in volta, si sarebbero allargate, non avrebbero avuto forma definitiva. Infatti, la conoscenza della superficie della terra piana poteva almeno in potenza procedere sempre oltre il punto raggiunto. Niente, in un caso simile, permette di conoscere i limiti (Grenzen) di ogni sua possibile descrizione.
La negatività del confine (Schranke)
A differenza del limite (Grenze), il confine (Schranke) svolge un ruolo negativo. Ripensiamo alle considerazioni sulla matematica e sulla terra piana: cosa emerge? Il confine (Schranke), senza altri sofismi, indica l’incompletezza di una certa area.
Ma proponiamo un altro esempio. Immaginiamo un biologo che, ormai da anni, conduce una ricerca sulle giraffe. D’un tratto avviene una scoperta che cambia il modo di considerare questo animale. Come agirà il biologo? L’orizzonte entro cui compiva il suo studio cambierà – ma in che cosa cambierà? Nella sua estensione. E cosa definisce quest’ultima? I confini (Schranken). Questi, infatti, segnano il punto di lontananza maggiore raggiunto in una certa area. L’orizzonte di speculazione del biologo conosceva certi confini (Schranken)? Ebbene, ora dovrà conoscerne altri: il campo subisce un allargamento. Pregiudizi, limitazioni tecniche e dati insufficienti sono anch’essi esempi di confini (Schranken) che potrebbero limitare la ricerca del biologo.
Lo stesso Kant scrive che i confini sono propri della matematica e della scienza naturale. Queste discipline, sottolinea S. Howard, possono investigare il loro oggetto all’infinito (Stephen Howard, 2022, p. 64–78). Ripensiamo ancora al biologo: quando, egli, potrà dire di aver rivelato tutto, oppure che nessun’altra scoperta permetta un avanzamento nelle ricerche? È ciò che abbiamo evidenziato anche a proposito della conoscenza matematica. Ma pensiamo, più in generale, alla formulazione di teoremi nuovi, alla scoperta di proprietà prima inedite nei corpi. Perciò matematica e scienze naturali hanno confini (Schranken): barriere che possono essere spostate, spinte oltre. Una certa omogeneità, inoltre, caratterizza la conoscenza in queste discipline; accade perché esse indagano un solo genere di oggetto: il fenomeno (Stephen Howard, 2022, p. 64–78).
Prendere in esame un genere di oggetto in particolare presenta altre implicazioni. Ad esempio, ciò spiega perché dobbiamo parlare di confini (Schranken) e non di limiti (Grenzen) anche nel caso della sensibilità e della comprensione empirica (Stephen Howard, 2022, p. 64–78). Riflettiamo sulla natura delle facoltà in questione: senza intuizioni date, come potrebbe la sensibilità svolgere, per così dire, la sua funzione? Allo stesso modo, la comprensione empirica potrebbe mai mettere in contatto le categorie con oggetti non dati nell’intuizione? Appare chiaro che sensibilità e comprensione empirica non possano scavalcare la dimensione di un genere di oggetto in particolare. E laddove c’è un solo oggetto, parliamo di confini (Schranken).
La positività del limite (Grenze)
Nel limite (Grenze) c’è sempre qualcosa di positivo. Cosa significa? Kant adduce una serie di esempi: superficie, linea e punto (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, cit., § 57, edizione digitale Epub). Prendiamo in esame il primo. Assumiamo che il limite dello spazio occupato da un corpo sia la sua superficie. Ma facciamo attenzione: anche la superficie è spazio. In altre parole, non c’è solo negazione, come nel caso del confine (Schranke). Attraverso questo esempio, il limite (Grenze) appare come ciò dove finisce qualcosa e ne inizia un’altra; il confine (Schranken), al contrario, è dove bisogna fermarsi.
Determinare i limiti (Grenzen) della ragione è un’operazione che avviene in base ai principi a-priori. Ma come, più in generale, conosciamo il limite (Grenze)? Esiste anche una via a-posteriori. È quella della consapevolezza che, malgrado tutto il conosciuto, resti qualcosa da conoscere. Quest’acquisizione passa proprio attraverso i confini (Schranken): urtare contro delle barriere apre alla consapevolezza del limite (Grenze). Possiamo giungere ai limiti (Grenzen) tanto prima quanto dopo, cioè attraverso una via a-priori o una a-posteriori; tutto ciò che non possiamo fare è andare oltre di essi (Stephen Howard, 2022, p. 64–78.).
“La critica ha appunto questa capacità di misurare i limiti (Grenzen) e stabilire, senza collocarsi al di fuori dell’esperienza […] i concetti che la trascendono e quelli che le sono immanenti.” (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, cit., Introduzione, edizione digitale Epub) È come circoscrivere lo spazio in cui possiamo operare – uno spazio ora illuminato, ma pur sempre all’interno di un’area oscura. Il limite (Grenze) presuppone uno spazio che delimita, oltre che uno delimitato.
Grenzen indica una linea-limite, una Grenzlinie. (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187). È il punto oltre cui cessa una particolare possibilità: la conoscenza degli oggetti d’esperienza. La ragion pura dovrebbe timonare l’occhio che intenda scrutare oltre questo limite. Ma cosa accade nel momento stesso in cui essa traccia limiti (Grenzen)? Germoglia un legame e un rapporto (Verhaltnis), quello tra la ragione e ciò che la trascende. È un rapporto che non esclude l’alterità tra le parti, ma permette loro un avvicinamento.
Come scrive Kant: “Vi è qui un nesso reale del conosciuto con un quid completamente sconosciuto, e, quand’anche lo sconosciuto non divenga minimamente più conosciuto, pur deve il concetto di questo nesso poter essere più chiaro” (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, cit., § 57, edizione digitale Epub).
Metafisica e ragione
La ragione dell’uomo vorrebbe superare i limiti (Grenzen). È una tendenza spontanea: “abbiamo a che fare con un’illusione naturale e inevitabile” (Immanuel Kant, Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, Utet, Novara, 2013, Dialettica trascendentale, edizione digitale Epub). La ragione umana, scrive Kant nella prefazione alla prima edizione della Critica (1781), ha il destino di essere tormentata da problemi che non può evitare, ma dei quali non può trovare la soluzione (Immanuel Kant, Critica della ragion pura, cit., Prefazione alla prima edizione, edizione digitale Epub). È la propensione alla metafisica, all’assunzione di principi che travalicano il loro uso empirico. La metafisica, per l’uomo, è tutt’altro che una scelta o una soltanto una tappa dischiusa nel cammino della conoscenza. Essa è piuttosto “posta in noi dalla natura stessa forse più di qualunque altra scienza” (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, cit., § 57, edizione digitale Epub).
E proprio la metafisica, al contrario della matematica e delle scienze naturali, conduce ai limiti (Grenzen). Ma quali altre differenze intercorrono tra le parti? Abbiamo già accennato alla negatività del confine (Schranke); essa traspare ancora quando la intendiamo come pungolo per la ragione. Davanti al noumeno, cioè, la ragione risulta insoddisfatta. E come potrebbe, d’altronde, quella stessa ragione per cui la metafisica è una tendenza naturale, arrestare qui la sua avanzata? Al contrario, proprio la negatività del confine (Schranken), rappresenta uno stimolo alla determinazione di un limite positivo (Grenzen) tra gli oggetti dell’esperienza e le cose in sé (Stephen Howard, 2022, p. 64–78).
Il ruolo delle idee trascendentali
È nella Dialettica trascendentale, ultima sezione della prima parte della Critica della ragion pura, che Kant indaga i meccanismi alla base dell’illusione metafisica. Travalicare l’uso empirico delle categorie è l’errore di base – quello da cui prendono forma gli altri errori. I prodotti di questa operazione sono le idee trascendentali, ovvero anima, mondo e Dio. Non indagheremo qui l’importanza che Kant attribuisce alle idee trascendentali; basti ricordare la loro funzione euristica: esse orientano la conoscenza, perché la totalità è come un faro, una luce di riferimento che guida la traversata della conoscenza.
Qual è il risultato? La vera conoscenza scaturisce dall’applicazione delle categorie alle intuizioni. Quando devia da questo sentiero, la ragione produce sintesi soltanto logiche; cerca idee di totalità – le idee trascendentali – e opera con esse.
Ma le idee trascendentali richiedono la nostra attenzione per altre ragioni. Esse, sarà chiaro, presentano un’ambiguità di fondo: non possiamo dimostrarle teoreticamente, ma non possiamo neppure farne a meno. Proprio perché occupano questa posizione eccezionale, queste idee mostrano i limiti (Grenzen) dell’uso della ragione. Esse lasciano che l’esperienza entri in contatto con ciò di cui nulla possiamo sapere. Da una parte, scrive quindi Kant, consentono di evitare un’estensione dei limiti della conoscenza sperimentale; dall’altra, scoraggiano un superamento dei limiti dell’esperienza, un giudizio sulle cose che oltrepassa la dimensione delle cose in sé. Le idee trascendentali, con le loro particolarità, possono dunque abitare sul limite.
Ma esse non rischiarano solo i limiti (Grenzen) della ragione: mostrano anche come determinarli. È ancora nei Prolegomeni che Kant sviscera queste peculiarità. In sintesi, come nota S. Howard, la determinazione avviene attraverso una connessione, Verknüpfung, e una relazione, Verhältnis (Stephen Howard, 2022, p. 64–78.). Senza idee trascendentali, come potremmo connettere il conosciuto allo sconosciuto? Il limite (Grenze) stesso, oltre che separare, connette le dimensioni che divide (Stephen Howard, 2022, p. 64–78.). Ma questa operazione non può prescindere neppure da una certa relazione: in quanto sfaccettature diverse dell’unità del mondo sensibile, le idee trascendentali conservano una relazione con l’esperienza sensibile (Stephen Howard, 2022, p. 64–78.).
Conclusione
Kant conclude il paragrafo 60 dei Prolegomeni con un paragone: il mondo sensibile sta allo Sconosciuto come un orologio all’orologiaio, una nave al nocchiero e un reggimento al colonnello. Non conosciamo lo Sconosciuto in se stesso, ma possiamo illuminarne la relazione rispetto al mondo di cui siamo parte. La relazione di Dio con il mondo, ad esempio, può essere esemplificata attraverso un genere di relazione che sperimentiamo altrove: quella tra un orologiaio e il suo orologio. Ma ciò non permette di determinare Dio in se stesso, bensì soltanto la relazione tra l’idea di Dio e il mondo (Stephen Howard, 2022, p. 64–78). È una forma di comprensione che potremmo definire analogica.
Nella dimensione trascendentale, osserva Andrea Gentile, l’indimostrabile emerge da una visione, per quanto paradossale, di ciò che manca (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187). È un paradosso che, in qualche modo, esprime la natura stessa del limite (Grenze): determinare un rapporto tra un dentro e un fuori – tra due parti che mantengono la loro eterogeneità, eppure, in qualche misura, possono adesso stabilire un contatto. Il limite (Grenzen) è, in questo senso, un’area d’incontro. Ma è un incontro che avviene, per così dire, al buio, o con quel tanto di luce che basta ad illuminare ciò che manca. La ragione, scrive Kant, non sente (fuhlt); essa vede (sieht) ciò che manca (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187). Ed è la conoscenza ad alimentare la spinta del bisogno.
Ora possiamo cogliere meglio la portata dei paragrafi 57-60 dei Prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza (1783). Tracciare confini (Schranken) e limiti (Grenzen) dovrebbe scongiurare il pericolo di pensare che la nostra esperienza sia l’unico modo possibile di conoscere le cose. In questo senso, essi costituiscono un antidoto all’antropomorfismo religioso. Più in generale, senza una critica della ragione, finiamo per «spacciare i confini della nostra ragione per confini della possibilità delle cose stesse» (Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, cit., § 57, edizione digitale Epub).
In un mondo in cui sbiadisce la differenza tra umano e inumano, ritorna il dilemma della nave di Teseo: cosa rende una cosa quella determinata cosa? Allo stesso modo, tra protesi per il corpo e per la mente, ricompare la domanda ontologica sull’essere umano. Di che cosa possiamo privare l’uomo prima di affermare che questi non sia più uomo? L’essere umano è tale per via della sua ragione? È questo l’elemento che discrimina? Se è vero, e se è vero che «La ragione è umana, proprio perché è finita, perché ha dei limiti» (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187), riscoprire questi ultimi permetterà, forse, di affrontare la domanda con maggiore consapevolezza. Kant aveva ben intuito che stabilire limiti fosse «la cosa più necessaria, ma anche la più difficile» (Andrea Gentile, 2008, p. 179–187).
[1] Sfida dall’infinito (1935), in realtà, fu scritto a più mani da autori diversi, ciascuno dei quali compose un capitolo nell’ordine che segue: Caterine L. Moore, A. Merritt, H.P. Lovecraft, Robert E. Howard, Frank Belknap Long.
[2] Nel Tractatus la distinzione concerneva il pensabile (dicibile) e l’impensabile (indicibile). In questo senso, Wittgenstein radicalizza Kant: distinguere il pensabile dall’impensabile copre un’area più ampia della distinzione tra conoscibile e inconoscibile.
[3] Un corso del prof. G. Treiber all’Università di Goringa (Paesi Bassi), intitolato Kant and the limits of knowdledge e tenuto durante l’anno accademico 2022-2023, prendeva in esame il limite e il confine, l’uno in quanto concetto di categoria spaziale, l’altro di soglia matematica.
Bibliografia
Howard Phillips Lovecraft, Tutti i romanzi e i racconti, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco, Newton Compton editori, Roma, 2011
Andrea Gentile, «Limiti» e «confini» della ragione, Archivio Di Filosofia, vol. 76, no. 3, 2008.
Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, a cura di Amedeo G. Conte, Giulio Einaudi Editore, Torino 1989.
Stephen Howard, Kant on limits, boundaries, and the positive function of ideas, European Journal of Philosophy, Vol. 30; iss. 1, 2022.
Immanuel Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potrà presentarsi come scienza, traduzione di Pantaleo Carabellese e introduzione di Hansmichael Hohenegger, Editori Laterza, Bari-Roma 2019 (edizione digitale Epub).
Immanuel Kant, Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, Utet, Novara 2013 (edizione digitale Epub).
Biografia
Antonio Gulfo si dedica fin da giovanissimo alla scoperta dell’horror e del fantastico, da cui trae ispirazione per i suoi racconti, disegni e ricerche. Dal 2019 al 2022 scrive articoli per HorrorItalia24; oggi studia filosofia all’Università del Salento.