Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

L’Eros platonico

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>di Emanuela Trotta*

L’ Eros Platonico

La prima articolata teoria dell’amore, nella storia della filosofia occidentale, ci giunge dalla Grecia antica, da Platone, che nel Simposio, ci fornisce un’approfondita analisi della sua concezione dell’amore. Il filosofo parte dalla visione proposta da Aristofane, secondo cui, il bisogno di amore corrisponde alla ricerca da parte dell’uomo di ricomporre l’unità originaria. Aristofane narra di come un tempo gli esseri umani, fossero perfetti, senza distinzione tra uomo e donna. Zeus, sentendosi minacciato dalla loro perfezione, li divise e da allora, ognuno è alla ricerca della propria metà, dell’unità perduta, sospinti dall’incessante ansia di completamento. Amare è desiderare ciò di cui si sente la mancanza. Socrate, che della sua ignoranza ha saputo fare il cardine del principio di ogni ricerca filosofica, dichiara di aver appreso dell’amore da una donna; di essere stato istruito dalla sacerdotessa Diotima, dalla quale egli ha appreso il mito di Eros. Socrate racconta della nascita di Eros, in seguito a un incontro avvenuto a un banchetto, in onore di Afrodite. Eros è generato da Penìa, dea della povertà e da Poros, divinità che simboleggia l’abitudine a procurarsi ciò di cui ha bisogno, pertanto, reca in sé e sintetizza opposte tendenze che lo rendono contraddittorio e instabile. Eros è mancanza, contraddice l’opinione comune che fa dell’amore un sentimento di pienezza.

Il fraintendimento nel quale incorre il senso comune, dice Diotima, consiste nel confondere la condizione dell’amante con quella dell’amato. E’ la tensione propria dell’amante che caratterizza il sentimento amoroso, e non lo stato passivo dell’amore.
Eros vive secondo la sua doppia natura: anela verso il tutto, avendo in sé la mancanza, ereditata dalla madre, ma sa trovare soluzioni alla propria mancanza, trova espedienti, secondo la natura del padre.

L’ Amore come metaxù

L’Amore viene considerata una forza mediatrice, un intermediario (metaxù) tra uomini e divinità, tra ragione e follia. La follia è quella del mondo degli dei, la ragione è prerogativa dell’uomo, è quel principio di non contraddizione, su cui si fonda l’ordine della civiltà umana. Amore è ermeneuta, in quanto è il solo capace di riempire quel vuoto immenso che è fra gli uomini e gli dei, essendo il solo in grado di interpretare le parole degli dei e farle intendere agli uomini e, al tempo stesso, di tradurre le parole degli uomini per farle intendere agli dei.
Il lungo difficile percorso che porta ogni uomo a procedere verso l’ascesi razionale e a lottare contro la sua parte irrazionale, determina l’affermazione di quella ragione, che mira a definire e controllare ogni cosa. Compito proprio della ragione sarà, dunque, quello di fissare l’identità delle cose, per affermare che una cosa è sé stessa e non altro, sulla base del principio di non contraddizione, e spiegare i fenomeni secondo il principio di causalità. Eppure al di là di questi principi certi e razionali, l’uomo si trova a fare i conti con quella follia, che segna la compresenza della dimensione irrazionale. L’incontro con l’amore, costituisce una, se non la più significativa di questa esperienza. L’uomo ha al tempo stesso paura e desiderio dell’amore. Non è l’amore che spaventa, ma la perdita del controllo, determinata dall’incontro inaspettato con quella follia, che ci abita, ci caratterizza e ci distingue dagli altri. L’incontro con la nostra follia può renderlo possibile solo l’amore. Solo gli amanti sono capaci di accompagnarsi reciprocamente verso l’ignoto, di procedere insieme verso quella dimensione temibile, ma viva, potente, pur conservando una parte ignota di sé, che stimoli l’altro a una ricerca continua.
Solo l’amore può vincere la paura di chi è chiamato a perdersi per poi ritrovarsi, a uscire da sé per trovare l’estasi. Non può esserci alcun rapporto tra la ragione e la follia, se non attraverso la mediazione dell’altro. Dopo l’amore niente più è come prima, qualunque sia l’esito della vicenda d’amore, noi non siamo più quelli che eravamo, inevitabilmente siamo persone nuove. Eros è una forza che ci possiede, è la forza della vita che cerca incessantemente di surclassare la morte.
Apparentemente amiamo l’altro, in realtà, tramite l’altro, amiamo la nostra imperscrutabile profondità. La vita ci chiama a una continua rinascita, dove non è l’altro che incontriamo, ma l’abisso della nostra anima che l’altro riflette.
L’Amore, dunque è maieutico, in quanto segna l’incontro con la parte più vera ed autentica di noi stessi, svelando la dimensione più potente e creatrice. L’amante porta sempre alla luce qualcosa di inedito dell’amato e, così facendo rigenera una nuova visione del mondo. L’amore di sé, non è da leggere nell’accezione egoistica del termine, non è la soddisfazione dei propri desideri, non è l’autorealizzazione resa possibile dalla dedizione all’altro; bensì è ciò che rende possibile quel dialogo tra la razionalità e la follia, a cui la nostra natura ci invita, per giungere a una compiuta espressione di sé. L’amore non riguarda la parte razionale, è inspiegabile; infatti, non conosciamo le forze che determinano le scelte, non amiamo chiunque, solo chi riflette i nostri abissi. L’essenza del pudore, ci vieta di metterci a nudo con chiunque, ma solo con chi è fedele riflesso della parte sconosciuta di noi. Lo stato di costitutiva mancanza dell’essere umano e il suo sentirsi intrinsecamente incompleto è alimentato dall’amore, che rappresenta la possibilità di fare della propria mancanza un dono. L’Eros impossessandosi di noi, ci trasforma, è un’opportunità, è libertà, mai potrebbe diventare costrizione. Con la sua forza inalienabile, è generativo.

L’ Ascesi dialettica dell’uomo

Platone, vede nell’amore la forza che spinge l’uomo alla ricerca, stimolando il desiderio della sapienza e della bellezza, che sono i due volti della medesima verità, la quale coincide con il Bene, l’idea alla quale, Platone ha attribuito un indiscusso primato, paragonandolo al sole e ponendolo al vertice dell’universo ideale.
Ed è proprio facendo riferimento al mondo delle Idee, e al loro rapporto che con esso l’uomo può e deve stabilire, che si chiarisce il carattere intermediario dell’amore.
Teorizzata l’esistenza di una realtà soprasensibile, di un mondo ideale trascendente, Platone, si era immediatamente trovato dinanzi al problema di come porre in relazione questi due universi, e la dottrina dell’amore rappresenta una delle soluzioni fondamentali di tale problema. L’Eros non è solo la forza mediatrice in grado di unire il sensibile e l’intellegibile, ma è anche mezzo di ascesa dialettica dell’uomo, che dalla bellezza fisica, giunge alla contemplazione dell’idea di bellezza; permette, quindi, di trascendere la condizione umana, e attraverso i vari gradi della bellezza, eleva l’anima. L’amore è, dunque, salvezza del mondo e dell’uomo (Schiavone, 1965, pp.349-350).
Platone, non intende contrapporre l’irrazionalità dell’eros alla razionalità del logos, anzi il messaggio contenuto nel Simposio è in perfetta sintonia con l’appello, a superare la bassezza propria dello stadio puramente materiale dell’esistenza, per elevarsi a ciò che è autenticamente bello, buono e vero, alla bellezza in sé, alla verità in sé (Reale, 1980, p.157). L’amore platonico, assume i caratteri del daimon, di un’entità, cioè, capace di colmare lo iato esistente tra la sfera mondana e quella sopramondana, e di unirle in una grandiosa sintesi cosmica. Il daimon è colui che lega insieme il tutto (Stenzel, 1966).
Uno degli aspetti rilevanti della dottrina platonica dell’amore concerne i rapporti tra eros e anima umana. La psiche presenta delle affinità con le caratteristiche proprie dell’eros. Anch’essa ha una natura mediatrice, a motivo della sua originaria provenienza dal mondo ideale e della sua attuale collocazione all’interno di un corpo terreno; situazione che la pone in uno stato costante di desiderio di ritornare alla perfezione, dalla quale viene e all’immortalità, dalla quale si è allontanata, per finire imprigionata nella corporeità. La bellezza, mediante l’amore, fa ricrescere le ali all’anima, mettendola in grado di riprendere il suo cammino esclusivo. L’anima a contatto con la bellezza sensibile, ricorda la contemplazione avuta nella sua esistenza intellegibile, e aspira a recuperare la visione iperuranica. La rivelazione della scala dell’amore, ci offre con straordinaria chiarezza quello che è il fine ultimo dell’esistenza, la necessità dell’anima di pervenire alle Idee.

La scala dell’amore

Eros stimola il desiderio, è il bello che spinge l’anima a generare le sue virtù, al cui vertice si trova la suprema conoscenza. Si colloca qui, il punto più alto della dottrina platonica dell’ Eros, la descrizione della “scala dell’amore”. Platone eleva in un crescendo di raffinatezza concettuale, la profondità del discorso filosofico.
Partendo dalla contemplazione che abita i corpi, ci muoviamo dall’umano al divino.
Dalla bellezza corporea, Eros aiuta a salire alla comprensione e alla fruizione della più alta bellezza dell’anima, e insegna ad amare questa più dei corpi, e a contemplare la bellezza invisibile presente nell’anima, in questo risiede la vera bellezza.
Amare veramente non consiste nell’amare il corpo, ma l’anima, la bellezza interiore, il suo vero essere. Dalla bellezza dell’anima, Eros conduce alla bellezza di quel che l’anima produce: le sue attività spirituali, fino a innalzare alla visione del Bello in sé e per sé, come forma unica e assoluta. E in questa unione con il divino, l’uomo raggiunge l’immortalità.
La sensazione di assenza, di mancanza si fa quindi seme necessario dell’amore e in particolare dell’amore per la filosofia, vista come causa di tormento e sofferenza, per il continuo desiderio di ascendere sino alle idee, ma senza successo, vagando nel nostro mondo sensibile, da cui scaturiscono supposizioni incerte e congetture solo probabili. Emerge la concezione platonica della filosofia e del filosofo, che percepisce la mancanza interiore, dando vita a una profonda agonia: sapere di non sapere.
Eros è amore per il sapere, è filosofia. E’ un demone che avverte la mancanza, che porta all’insoddisfazione, all’irrequietezza, ma è anche la sola via d’accesso alla bellezza e al bene. La filosofia è la più alta espressione dell’amore, attraverso essa riceviamo il dono di osservare attentamente quella che è la dimensione più intima dell’uomo, giungendo fino alle pieghe recondite del suo animo, comprendendone gli aspetti, che delineano la sua natura imperfetta, tuttavia perfettibile.
Eros è il desiderio costante di tendere alla perfezione. La filosofia è tensione erotica verso la vita.

Bibliografia

  • Platone, Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Rusconi, Milano 1991

  • Léon Robin, La teoria platonica dell’amore, Celuc, Milano 1973

  • M. Schiavone, Il problema dell’amore nel mondo greco. Vol. I : Platone, Marzorati, Milano 1965

  • J. Stenzel, Platone educatore, Laterza, Bari 1966

  • G. Reale, Storia della filosofia antica, Vita e pensiero, Milano 1980

  • U. Galimberti, Le cose dell’amore, Feltrinelli, 2007

  • Francesco Adorno, Introduzione a Platone, Laterza, Roma-Bari 2005.

  • H. G. Gadamer, Studi platonici, trad.it., Marietti, Casale Monferrato 1983-84

  • P. Friedlander, Platone, a cura di A. Le Moli, Bompiani, Milano 2004.

  • W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, trad.it., La Nuova Italia, Firenze 1959

  • A. E. Taylor, Platone. L’uomo e l’opera, trad. it.,La Nuova Italia, Firenze 1968.

*Emanuela Trotta, nata a Torino, è laureata in Filosofia presso l’Unical con una tesi sulla teoria platonica del piacere, relatore il Prof. Marcello Zanatta. Attualmente vive e insegna nella città di Parma, interessandosi della storia della filosofia antica e approfondendo il pensiero di Lèvinas e Derrida, nel solco della lezione di Silvano Petrosino.

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