> Vito J. Ceravolo*
La libertà, per essere completa,
deve recare con sé non soltanto la mera
assenza di repressione, ma anche la
possibilità di autorganizzazione.
H. Tawney[1]
Abstract: Applicazioni preliminari della libertà ai rapporti sociali.
Indice:
PRIMA PARTE – COMPOSIZIONE DELLA SOCIETÀ LIBERA
1. Dall’universo alla società. 2. Libertà deontologica e scontri. 3. Libertà positiva e negativa. 4. Libertà sociale. 5. Libertà personale. 6. Libertà matematica (facoltativo).
SECONDA PARTE – MOVIMENTI DELLA SOCIETÀ LIBERA
7. Tendenze della società libera. 8. Limiti positivi della società libera. 9. Limiti negativi della società libera. 10. Limiti della società libera. 11. Doli e mali della società libera. 12. Vantaggi e beni della società libera.
TERZA PARTE – VITA E PRATICHE DELLA SOCIETÀ LIBERA
13. Libertà e bene. 14. Libertà economica. 15. Libertà etica. 16. Libertà tecnica. 17. Libertà clandestina. 18. Conservazione della libertà individuale e collettiva.
QUARTA PARTE – DIRITTO E NATURA DELLA SOCIETÀ LIBERA
19. Libertà macroindividuale. 20. Libertà politica. 21. Libertà e diritto. 22. Libertà e schiavitù. 23. Libertà naturale. 24. Libertà universale.
PROLOGO
25. Esiste la libertà?
PRIMA PARTE
COMPOSIZIONE DELLA SOCIETÀ LIBERA
1. Dall’universo alla società
A seguito della teoria universale (possibile, impossibile, necessario) della libertà presentata nel mio libro intitolato “Libertà”, in questo articolo applico tale teoria ai rapporti sociali (lecito, vietato, obbligatorio) e alle loro regole interne.
La libertà, intesa come possibilità di scegliere consciamente, è connessa alle capacità razionali dell’essere secondo arbitrium. A sua volta l’essere razionale, così come lo conosciamo nella misura dell’uomo, è generalmente portato a statuirsi in società, a cui può cedere parte della propria sovranità naturale in cambio di uno Stato di Diritto che ne tutela ed espande la potenza.[2]
Per tal associarsi, la società assume un ruolo fondamentale nella vita delle persone, e per tale antropomorfica importanza trattiamo ora la libertà dal punto di vista del rapporto fra i vari soggetti sociali. Esattamente trattiamo la libertà sociale che fa capo alle modalità deontiche: lecito, vietato, obbligatorio. In questi ambiti sociali: lecito corrisponde a possibile; vietato a impossibile; obbligatorio a necessario. Con la differenza che l’aletica – possibile, impossibile, necessario – ha toni conformi all’universale, mentre la deontica – lecito, vietato, obbligatorio – si conforma alle convenzioni dei relativi gruppi sociali. La prima si dice inviolabile, la seconda no. La prima è la sistematica universale che tutto il campo dell’esperienza contiene e domina, il cui prius sono le ragioni universali uguali per tutti, praesumptio iuris et de iure[3]; la seconda comprende l’articolazione etica e tecnica delle relative comunità, il cui prius sono le ragioni particolari distinte per ogni individuo, praesumptio iuris tantum[4]. Ci stiamo inquadrando in strutture sempiterne e immobili che garantiscono, tutelano e da cui è possibile la relatività e mobilità delle parti. Insomma, qualcosa che sta (in sé) e qualcosa che diviene (fenomeno). Lo stare della libertà l’abbiamo visto nel mio omonimo libro, qui ne deriviamo il divenire.
Ultima premessa: questa non vuole essere la descrizione di una società utopica lontana dall’imperfezione del mondo, bensì una società che, col suo codice civile e diritto, può entrare in contatto coi diversi codici e diritti delle altre società. I vari “libri” e “articoli” del codice di questa libera civiltà, sono indicati a fine di ogni capitolo rispettivamente al tema trattato.
2. Libertà deontologica e scontri
Il piano deontologico della società riguarda il cosiddetto codice etico della stessa, per il quale alcuni atti vengono etichettati come qualcosa di lecito, vietato od obbligatorio. Sotto questa etichettatura può capitare che un atto vietato dalla società, sia invece, per un individuo, un atto da fare obbligatoriamente. In questo caso si viene a generare un alterco violento fra elementi diametralmente opposti – vietato/obbligatorio – che in ossimoro producono caos.
Regola I – caos: La sovrapposizione degli opposti genera caos, per l’esplosione delle loro infinite possibilità intermedie.
Un caos per il quale, socialmente si hanno scontri, psicologicamente frustrazioni, economicamente crisi, culturalmente confusioni ecc. In un’alternante prevaricazione fra ciò che è obbligatorio per uno e vietato dall’altro, sino al prevalere e al restare di uno.
Nei grandi problemi pratici della vita, la verità è una questione di conciliazione e combinazione di opposti, a tal punto che pochissime menti sono abbastanza vaste e imparziali da riuscirne a dare una soluzione anche solo parzialmente corretta, che quindi finisce col dipendere da un caotico processo conflittuale tra opposte fazioni. (J.S. Mill, Saggio sulla libertà, 2014, p. 66)
Pertanto comprendere la possibilità del caos è importante ai fini di una società libera, perché il caos è un modo di compiersi di quegli individui e collettività quando nella società ci abitano caoticamente in alterco fra opposti, come in Odi et amo di Catullo, sbattuti fra una e l’altra catena causale. E poi è tecnicamente importante comprendere il caos perché la libertà è una generatrice di caos, è «un evento che lascia spazio al caos» (Ceravolo 2018, p.78); infatti se è libero di fare A o B non si sa cosa farà – caos – se non all’infinito; infatti se può scegliere liberamente fra «una o l’altra catena causale» allora si genera caos nella relativa determinazione previsionale degli eventi: quale catena userà?[5] Oltretutto questa conoscenza è importante perché, imparando a quietare il caos che si genera dalla sovrapposizione degli opposti, addomesticandolo si cavalca la ragione in sé di tutti i sistemi in conflitto. In fine perché, come detto all’inizio di questi perché: per le vie di una città libera è norma far fare pace a opposti apparentemente inconciliabili.
Le controversie sono proprie di ogni società che
riconosce la libertà come possibile espressione dei sui membri.
Codice civile società libera. Premessa
3. Libertà positiva e negativa
Davanti alla libertà di poter violare ciò che è vietato, rendere lecito ciò che è illecito, disobbligare dagli obblighi e viceversa; per risolvere il caos di questa libera società abbiamo da intendere come «una adeguata concezione della libertà dovrebbe essere sia positiva, sia negativa» (Sen 1997, p. 10).
Regola II – libertà positiva/negativa: La libertà positiva è propria dell’individuo, la libertà negativa è propria della collettività di cui fa parte. (Sul dibattito inglese[6])
Tener conto di questa distinction pratica è importante anzitutto perché, sapere cosa c’è dato a disposizione dalla collettività (libertà negativa) significa sapere cosa e come ci è possibile fare individualmente (libertà positiva). Secondariamente perché tale distinzione rappresenta l’atavico confronto fra la potentia dell’individuo (in positivo sforzo di preservare se stesso) e l’imperium della collettività (in negativa conservazione delle proprie strutture di potere).[7] Cosicché la libertà individuale (positiva) non resti indipendente dalla libertà collettiva (negativa) di cui fa parte, ma con essa abbia da vedersela, laddove l’io non sia mai totalmente separabile dalla collettività con cui si relaziona[8] e quindi con la consacrata collettiva abbia da negoziare la sacralità della propria individualità. Il risultato è la «libertà sociale».
La società è il risultato dei suoi individui e collettività.
Libro I Elementi. Art. 1. Società
4. Libertà sociale
La società è un connubio fra individuo e collettività. In essa, il fine di una maggiore libertà individuale (positiva) è promuovibile solo all’interno della sfera della libertà collettiva (negativa), dove, scevri da punti di vista prevalenti, la libertà della società va concretamente considerata in un calcolo di interesse privato e pubblico, con un’adeguata ripartizione fra libertà individuale (positiva) e libertà collettiva (negativa). La formula di tale ripartizione la si può estrarre riadattando Cesare Beccaria:
Regola III – libertà sociale: S=C/I
A parole: La libertà sociale (S) è data dalla massima libertà collettiva (C) divisa nel maggior numero di individui (I).
La libertà sociale è così un calcolo di massima soddisfazione fra libertà positiva propria dell’individuo e libertà negativa propria della collettività di cui fa parte, fra la potentia individuale e l’imperium collettivo; sorgente a garante del valore delle parti che in essa si appartengono e dipendono, cioè di esse, per non dissolversi, protettrice.
La collettività è riconosciuta a “società” in misura di tutti i suoi individui.
I. Art. 2. Collettività
5. Libertà personale
Il calcolo sulla libertà sociale lascia aperta la possibilità di due modi diversi di ripartirsi fra individuo e collettività, uno appunto C/I come espressione della Società (S) in generale, l’altro I/C come espressione del Personale (P) in particolare.
Regola IV – libertà personale: P=I/C
A parole: La libertà personale (P) è il grado di libertà che resta all’individuo (I) quando ripartito da una collettività (C) circostante.
La libertà personale è così il calcolo di ciò che resta delle capacità di autodeterminazione e controllo dell’individuo nel suo rapporto con la circostante libertà collettiva. Cioè definisce il grado di libertà che l’individuo ha nella collettività, la sua potentia nell’imperium; la sua efficacia nel sorgere del mondo.
L’individuo si riconosce a “persona” in misura della propria collettività.
I. Art. 3. Individuo
6. Libertà matematica (facoltativo)
Questo è un capitolo facoltativo, inusuale e di approfondimento, la cui temerarietà e validità non inficia il restante. Per la temerarietà chiedo venia, per la validità prego pazienza. Dai sopra principi di libertà sociale e personale, si pone immediatamente il problema dell’infinito, con una duplice questione:
- Cosa resta di una collettività infinita quando ripartita da un individuo? ∞/1=?;
- Cosa resta dell’individuo quando ripartito da una collettività infinita? 1/∞=?
Dove “1” assume il ruolo di qualunque unità diversa da 0 e ∞.
Alla prima domanda rispondiamo che per qualunque ripartizione dell’infinito da parte di un finito, esso rimane infinito: l’infinito non è soggetto a nessuna ripartizione finita. Matematicamente ∞/1=∞.
Alla seconda domanda rispondiamo che nessun finito (1) ha tale valore se si ripartisce all’infinito (∞), matematicamente 1/∞=0. Tale per cui, per algebra, l’infinito è ciò da cui si regge il valore finito in ogni ripartizione da qualcosa di non-infinito, matematicamente 1/¬∞≠0. Si regge perché si dice che 1/∞=0 → 1/¬∞≠0.
Certo, è un’anteprima di una matematica eccentrica, ma ai fini della libertà sociale bisogna fare attenzione in particolar modo a questo risultato raggiunto “1/¬∞≠0” il quale è già conosciuto come vero pure nell’usuale matematica.
Regola V – libertà matematica: 1/¬∞≠0 ∈ P=I/C
A parole: Per qualunque ripartizione (/) di un’individualità (1) da parte di qualcosa di non-infinito (¬∞), rimane un risultato (≠0) entro cui si conserva ed è possibile la sua personale individualità, cioè la sua libertà o casualità.
Il risultato di tale principio 1/¬∞≠0 è stato descritto fisicamente da Heisenberg (principio di indeterminazione) come ≥ħ/2. Uniamoci ad egli: resta una certa imprecisione nel calcolo relativo delle variabili dinamiche data dal perdurare di valori individuali. Mentre la sopravvivenza dell’individuo tra la matematica della «libertà sociale» (1/¬∞≠0) e quella della «libertà universale» (1/∞=0), oltremodo necessita un calcolo di probabilità che eccede l’intento di questo articolo. Ciò che si è detto in generale però rimane valido, accettando o meno la matematica:
1/∞=0 → 1/¬∞≠0 ∈ P=I/C
Sotto una determinazione infinita, anche la libertà dell’individuo è determinata assolutamente (=0) dalle condizioni universali per cui può essere (≠0) – ma questa è teoretica e di questo si è detto nel mio libro Libertà.
Ciò che è lecito, vietato, obbligatorio, è determinato dalla società.
Possibile, impossibile, necessario, dall’universo.
I. Art. 4. Rapporti
SECONDA PARTE
MOVIMENTI DELLA SOCIETÀ LIBERA
7. Tendenze della società libera
Nei rapporti fra la potentia dell’individuo e l’imperium della collettività si rilevano due tendenze:
Regola VI – potentia su imperium: Quando un individuo limita la collettività (C/I), ne favorisce o sfavorisce la libertà sociale (S) secondo la polarità (+ o –) della sua limitazione. Semplicemente, le limitazioni dell’individuo sulla collettività portano a favorire la libertà sociale o a sfavorirla.
Tale tendenza parla di un individuo o di una stretta cerchia di individui che si stagliano sulla collettività. Rappresenta tutte le forme di coercizione o elevazione di pochi su molti. Accade quando la potentia dell’individuo è in un qualche verso dominante sull’imperium della collettività.
Regola VII – imperium su potentia: Quando una collettività limita un individuo (I/C), ne favorisce o sfavorisce la libertà personale (P) secondo la polarità (+ o –) della sua limitazione. Semplicemente, le limitazioni della collettività sull’individuo portano a favorire la libertà personale o a sfavorirla.
Tale tendenza parla di una collettività che si staglia sull’individuo. Rappresenta tutte le forme di coercizione o elevazione della collettiva sui pochi. Accade quando l’imperium è in un qualche verso dominante sulla potentia dell’individuo.
Queste due tendenze narrano di due modi diversi di limitare, sia per l’individuo che per la collettività: uno diritto e favorente (limite positivo); l’altro delittuoso e sfavorente (limite negativo). Unendo queste tendenze si realizza una vita in cui l’individuo e la collettività possono limitarsi reciprocamente sia in forma positiva (+) che negativa (–), secondo la polarità della loro limitazione.
Le relazioni fra le parti portano a favorirle o sfavorirle.
Libro II Atti. Art. 1. Relazioni
8. Limiti positivi della società libera
Le limitazioni positive coartano doli e favoriscono vantaggi:
- Coartante è la limitazione atta a impedire i doli alle parti, dove la limitazione del dolo è un mantenimento di ricchezza;
- Elevante è la limitazione atta a favorire vantaggi alle parti, dove la limitazione per vantaggio è un aumento di ricchezza.
L’applicazione di questi vincoli porta ad atti positivi limitati a non sfavorire le parti, quindi a legittimare l’individuo e la collettività: non sfavorendo le parti le si legittima, da cui un mondo dove regna l’assenza del coartato male e la propensione all’elevato bene. Tale che:
Regola VIII – legittimità dei limiti: In modo legittimo, l’individuo e la collettività possono ben mettere vincoli al fine di evitare doli, mantenendo la ricchezza delle parti, o di favorire vantaggio, aumentando la ricchezza delle parti.
Un atto è diritto quando incide positivamente sulla
non-perdita di valore o sulla possibilità di sviluppo.
II. Art. 2. Atti legittimi
9. Limiti negativi della società libera
Si parla di limitazione negativa quando vengono a mancare i sopra limiti di mantenimento e arricchimento delle parti, così creando doli o sfavorendo vantaggi:
- Violentante è la negazione della «limitazione coartante», per cui si fa dolo agli altri senza limite;
- Degradante è la negazione della «limitazione elevante», per cui si ha la contemporanea perdita di ricchezza delle parti.
L’applicazione di questi vincoli porta ad atti negativi limitati a sfavorire le parti, quindi a delegittimare l’individuo e la collettività: sfavorendo le parti le si delegittima, da cui un mondo dove regna l’assenza del violentato bene e la propensione al degradante male. Tale che:
Regola IX – illegittimità dei limiti: In modo illegittimo, l’individuo e la collettività possono mal mettere vincoli al fine di creare doli e sfavorire vantaggi; magari nolenti o nell’idea di aumentare la propria ricchezza usurpando quella degli altri.
Un atto è delittuoso quando incide negativamente sulla
non-perdita di valore o sulla possibilità di sviluppo.
II. Art. 3. Atti illegittimi
10. Limiti della società libera
S’illumina come la limitazione non sia sempre un atto negativo, degradante e doloso, bensì ha anche la possibilità di essere un atto positivo, mantenente e arricchente. Ovverosia, superando la massima di John Stuart Mill[9]:
Regola X – duplicità dei limiti: Ogni vincolo, in quanto vincolo, può essere male o può essere bene.
Tale duplice natura dei limiti (positivi o negativi) indica «la natura e i limiti del potere che la società può legittimamente [e illegittimamente] esercitare sull’individuo» (Mill 2014, Int.): capita che la libertà venga legittimamente limitata per impedire dolo o assicurare vantaggio, illegittimamente limitata per produrre dolo e sfavorire vantaggio.
A questo punto sospendiamo ciò che è illegittimo, non solo perché dannoso e impoverente, e non solo perché in quanto “male” è descrivibile negativamente tramite il “bene” qui in descrizione, ma sospendiamolo perché queste «limitazioni illegittime» (limitazione negativa) sono proprie di una società che, contrariamente alla sua etimologia di appartenenza e dipendenza, non riesce neanche a legittimare le sue collettività e individui. Mentre a noi interessa parlare della società nel suo significato di “società”, la quale si dice tale per i membri che in essa si appartengono e dipendono; quindi una società che riconosce i suoi membri e che, costretta a riconoscerne il valore per non dissolversi, propriamente non li svaluta né avvilisce. Orbene parliamo legittimamente della società, dicendo che una società libera può esercitare restrizioni sull’individuo o sulle collettività solo per impedirli doli o favorirli vantaggi, e in alcun altro modo trova piena ragione «lo spodestamento dell’individuo a vantaggio della società» (Weil 2010, p. 99).
In questo contesto legittimo, osserviamo la differenza fra queste due limitazioni positive: la limitazione coartante riguarda l’etica dei doli e dei mali; la limitazione elevante riguarda la tecnica dei vantaggi e dei beni.
È diritto ciò che è legittimo, è delittuoso ciò che è illegittimo.
II. Art. 4. Atti
11. Doli e mali della società libera
Vediamo i limiti della libertà sociale sotto l’aspetto etico dei doli e dei mali: la libertà può essere coartata in misura dei fastidi che può arrecare agli atri (Mill docet).
In questo modo di vivere, si legittima il disprezzo della libertà verso il dolo: eticamente muore la libertà in vista di un disprezzo che la determina costringendola ad altro. Il dolo è così, eticamente, vincolo di restrizione della libertà.
Regola XI – etica del dolo: L’assenza di dolo è vincolo etico alla libertà di espressione e di azione.
I doli si calcolano socialmente sulla convenzione di «un’area minima di libertà [individuale] da non violare» (Berlin 2010, p. 174) e un’area massima di libertà collettiva da non oltrepassare.
La limitazione del dolo sottende il mantenimento di ricchezza delle parti. È un atto eminentemente intensivo e passivo, di obbedienza, che fra i suoi precetti evoca l’innocenza, la purezza, l’astenersi dal male, il «non fare» (dolo); generando prudenza per il perdurare di sé e dell’altro e ammonendo attenzione al tema del male. Davanti ai doli, le limitazioni si realizzano nel non-volere, nello sradicamento dell’egoismo a favore del bene collettivo, nell’ascetismo; in un’esigenza garantistica per cui una diversità di ordini individuali fa unione in un astratto ordine collettivo, un tutt’uno universale: questioni differenti si quietano nella comunanza di oggetto.
La difesa è la misura restrittiva degli atti illegittimi.
Libro III Difesa. Art. 1. Coercizione
12. Vantaggi e beni della società libera
Vediamo i limiti della libertà sociale sotto l’aspetto tecnico dei vantaggi e dei beni: la libertà può essere coartata in misura della maggiore ricchezza che ciò può arrecare.
In questo modo di condurre le pratiche, si legittima la preferenza della libertà verso il vantaggio: tecnicamente muore la libertà in vista di una preferenza che la determina impedendola ad altro. Il vantaggio è così, tecnicamente, vincolo di restrizione della libertà.
Regola XII – tecnica del vantaggio: L’aumento di vantaggi è vincolo tecnico alla libertà di espressione e di azione.
I vantaggi si calcolano socialmente sulla convenzione di un’area minima di libertà individuale e massima di libertà collettiva da ampliare.
La limitazione per vantaggio sottende un aumento di ricchezza delle parti. È un atto eminentemente estensivo e attivo, di comando, che fra i suoi precetti evoca la nobiltà, la correttezza, il perseguire il bene, il «fare» (vantaggio); generando impeto per lo sviluppo di sé e dell’altro e ammonendo intenzione al tema del bene. Davanti ai vantaggi, le limitazioni si realizzano nel volere, nel radicamento dell’altruismo a favore del bene individuale, nella carità; in un’esigenza di efficacia per cui un astratto ordine collettivo si reifica presso i differenti ordini individuali, una comunità di diversi: questioni comunitarie si muovono nelle differenze dei soggetti.
L’attacco è la misura espansiva degli atti legittimi.
III. Art. 2. Elevazione
[1] Cit. in Chomsky 2010, p. 74.
[2] Tale tendenza hobbessiana non esclude la possibilità di altre tendenze, cioè di una società anarchica (di tipo razionale e non naturale) in cui, senza Stato di Diritto, ogni individuo abbia in sé il dovere di tutelare ed espandere ogni altro garantendoli quel diritto proprio dell’etica universale della reciprocità: fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te e non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
[3] Presunzione giuridica che non ammette una prova contraria.
[4] Presunzione giuridica che ammette un’inversione dell’onere della prova.
[5] Per un’approfondita trattazione teoretica del rapporto libertà-caos, vi rimando al mio libro Libertà.
[6] La contrapposizione fra positivo/negativo della libertà, è uno strumento di applicazione pratica della libertà, non è che un tassello della teoria universale della libertà. Ciò giustifica Benedetto Croce quando affermò che gli inglesi possedevano la pratica ma non il concetto di libertà. D’altro canto Croce non era giustificabile: gli fu fatto notare che «il possesso del concetto [di libertà] non gli aveva impedito di votare nel Senato in favore di Mussolini dopo il delitto Matteotti», cosa che gli inglesi, un fascista, non l’hanno mai votato.
[7] A livello universale, tale scontro si estende alla diatriba soggetto-oggetto.
[8] Quando qualcuno, come Blade Pascal (Gioriello 2015, p. 132), afferma alla collettività della sua libertà dalla collettività, e lo fa pur sempre indossando gli abiti cuciti da qualcuno oltre lui ma di quella collettività, pur sempre attraverso il linguaggio di quella collettività, i luoghi di quel collettivo, discendendo da qualcun altro che ne è la collettività ecc; allora, si diceva, quel “qualcuno” da quella collettività non può dirsi assolutamente libero, mantenendo con essa una relazione, in essa una posizione, per essa il dovere e la dedizione di raccontare il proprio impegno e idea di libertà. Si dice: «nessun uomo è un’isola» poiché ogni sua azione si estende almeno fino a chi gli sta più vicino, cioè alla collettività, oltre al fatto che le persone intrattengono un gran numero di relazioni col mondo esteriore tantoché non dovrebbero più averne se volessero dichiararsi effettivamente liberi in assoluto. Altrimenti, in fondo, come si può pensare che un’azione con provochi una reazione, duratura o momentanea che sia, e che con essa non si invischi?
[9] La massima milliana afferma che «ogni vincolo, in quanto vincolo, è male». Il che è un perfetto rasoio di Occam per difendere la possibilità di compiere senza vincoli qualunque cosa, anche il male. Un rasoio del male a cui si può rimediare solo mettendo il vincolo del «non dolo», cioè un vincolo di bene. Esistono vincoli di bene. Questa discrepanza permette a noi di costruire una società più comprensiva di quella possibile da Mill.
Bibliografia di riferimento
BERLIN I., Libertà, ed. Feltrinelli, Milano 2010.
CERAVOLO V.J., Libertà, ed. If Press, collana TheoreticalPhilosophy, Roma 2018.
CHOMSKY N., Conoscenza e libertà. Interpretare e cambiare il mondo, ed. Il Saggiatore, Milano 2010.
GIORELLO G., Libertà, ed. Bollate Boringhieri, Torino 2015.
MILL J.S., Saggio sulla libertà, ed. Il Saggiatore, Milano 2014.
POPPER K.R., La società aperta e i suoi nemici, ed. Armando, Roma 1973, vol. I.
SEN A.K., La libertà individuale come impegno sociale, ed. Laterza, 1997.
WEIL S., Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, ed. Adelphi, Milano 2010.
* Vito J. Ceravolo, classe 1978, è ricercatore indipendente nell’ambito dell’accessibilità intellegibile all’in sé e percettiva al fenomeno. Fra le sue pubblicazioni: Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, ed. Il Prato, collana I Cento Talleri, Saonara 2016 (secondo al Premio Nazionale di Filosofia 2017, Certaldo); Libertà, ed. If Press, collana TheoreticalPhilosophy, Roma 2018. Diversi anche gli articoli pubblicati presso riviste e radunati presso il suo blog.