Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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L’eterno ritorno del differente. Genealogia contro dialettica nell’interpretazione deleuziana del pensiero di Nietzsche

> di Alessandro Lattuada *

Abstract: Il presente lavoro intende esaminare l’interpretazione deleuziana del pensiero di Nietzsche. In particolare, ci soffermeremo sul contrasto che il filosofo francese evidenzia fra il metodo genealogico nietzschiano e la dialettica hegeliana.

Sommario: Con Nietzsche, la filosofia si dirige verso nuove prospettive. Dal ‘900 in poi, ogni autore è costretto a confrontarsi con il suo pensiero – quand’anche per criticarlo. In Francia, il filosofo che più di ogni altro ha riconosciuto tale debito è Gilles Deleuze. La sua interpretazione verte sul carattere vitalistico, tragico ed affermativo della filosofia di Nietzsche e lo contrappone a quello negativo-dialettico di Hegel. Nietzsche risponde infatti alla questione che da Hegel in poi impegna tutta la filosofia moderna – il problema del divenire – attraverso uno dei suoi più celebri aforismi che afferma la necessità di «imprimere al divenire il carattere dell’essere» (Nietzsche, 1975, 7[54]). Affermare l’essere del divenire attraverso il movimento dell’eterno ritorno, il cui principio fondante è la Volontà di Potenza – tale è il compito del Superuomo. Per Deleuze, tale impostazione non segna soltanto l’annientamento dell’ontologia e di ogni principio trascendente e ordinatore, ma anche del dispositivo dialettico del negativo. Esso sarà infatti superato dal concetto di differenza.

Parole chiave: eterno ritorno, differenza, doppia affermazione, volontà di potenza, genealogia, dialettica, forze attive e forze reattive

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I sentieri di Eraclito

> di Giuseppe Savarino

“Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo lògos”.
(Eraclito, frammento 45 Diels-Kranz).

“Oscuro” e “piangente” sono gli aggettivi che accompagnano da sempre questo autore presocratico: oscuro per lo stile aforistico, ermetico, oracolare (Giorgio Colli, sorpreso dalla morte proprio mentre stava scrivendo un libro su Eraclito, parlava di «vibrazione del nascosto»), piangente probabilmente per il suo profondo pessimismo.

Di certo non fu oscuro per linguaggio ma per scelta: concepiva la sapienza come ricerca, come processo esoterico (qualcuno lo definirà filosofo mistico).
Il sapiente è colui che non si lascia ingannare, che pone come fondamento ultimo del mondo ciò che non è palese («Il signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde, ma indica [dà un segno, NdR]», frammento 93 Diels-Kranz).
Oscura fu anche la sua vita: come tutti gli autori presocratici non si sa di lui pressoché nulla, se non ciò che ci ha tramandato la dossografia antica e cioè che era di nobili origini e che è vissuto a Efeso, oggi splendido sito archeologico in Turchia.
Da vero amante della sapienza non era interessato alle ricchezze materiali, come racconta Diogene Laerzio, che aggiunge: «fu altero quant’altri mai e superbo». Continua a leggere