Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot


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Il ritorno di Oswald Spengler

Nella sua opera Significato e fine della storia, il filosofo bavarese Karl Löwith sosteneva che l’interpretazione della storia, così come si è andata sviluppando in Occidente nel corso dei secoli, riposa su una particolare esegesi delle Scritture bibliche anche se i nostri filosofi sono stati sempre riluttanti ad ammetterlo. Per Löwith, perfino coloro che hanno esplicitamente rifiutato la tradizione giudaico-cristiana, hanno in realtà fatto cripto-teologia, in quanto dietro le loro costruzioni filosofiche si stagliavano le categorie progresso, linearità, compimento, discendenti da quella particolare esegesi. La sola differenza fra la teologia cristiana e la filosofia della storia occidentale consisteva nella secolarizzazione della prospettiva biblica di un futuro escatologico, ove la provvidenza divina veniva rimpiazzata dal concetto mondano di progresso. Attraverso Significato e fine della storia, Löwith si è gettato nell’impresa sia di mettere in luce il rapporto segreto tra rivelazione cristiana e filosofia occidentale sia di dimostrare che il cristianesimo non ha mai tentato di dare una risposta chiara riguardo al senso della storia: letti «alla luce della fede – scriveva Löwith – gli eventi secolari prima e dopo Cristo non costituiscono una successione continua di avvenimenti significativi ma soltanto la cornice esterna della storia della salvezza».

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