Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Autorità e libertà nel pensiero di Hannah Arendt

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Da una parte, quel che viene insegnato è importante per la cosiddetta vita pratica; dall’altra, se qualcuno dovesse chiedere a me, come filosofa, che cosa si dovrebbe imparare al liceo, risponderei: «Prima di tutto, solo cose inutili: greco, latino, matematica pura e filosofia. Tutto quel che è inutile nella vita». Il bello è che così, all’età di diciotto anni, si ha un bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose.

ÁGNES HELLER, Solo se sono libera, Castelvecchi, Roma 2017, pag. 36

Autorevolezza e autoritarismo

Il tema dei rapporti di potere implica la differenza tra autorevolezza, vale a dire l’essere credibili e degni di rispetto, e la deriva autoritaristica, dettata dal narcisismo, dall’intransigenza che non ammette repliche, dal potere che si avvita su se stesso e non si apre al dialogo e all’empatia.

Quest’ultima tipologia – l’autoritarismo che non ammette repliche – sottende forme altamente tossiche di potere, in qualsiasi ambito, grande o piccolo che sia. Le persone che sono dentro a certi meccanismi, hanno perso la distanza che sarebbe salutare tra la loro persona ed il loro ruolo, fino ad identificare pienamente la prima con il secondo.

Il potere diventa così invasivo della vita di chi lo detiene e degli spazi delle persone che lo subiscono. La dinamica si ripete in ogni ambito della vita: nel lavoro, nei rapporti tra i sessi, nei giochi politici, nelle relazioni intergruppo, nelle modalità di controllo delle coscienze e così via.

L’autoritarismo è per definizione contro la libertà delle persone e la libertà è un altro grande tema che ha occupato le riflessioni della Arendt.

Per Hannah Arendt il problema della libertà è condizionato da un lato dalla cultura cristiana, dall’altro da una cultura filosofica antipolitica. A quest’ultima ella si volge per prima, nella chiara consapevolezza che essa abbia articolato il problema con classica e insuperata nitidezza.

È nell’agire, argomenta la filosofa, che si colloca l’esperienza della libertà. Ora, nella lingua greca e in quella latina ci sono rispettivamente due verbi per indicare l’”agire”. In greco le due parole sono archèin, “cominciare”, “guidare”, “regolare”, e pràttein, “porre in atto”.

Il corrispondente in latino è: àgere, “avviare”, “mettere in moto”, e gèrere, che significa grosso modo, “proseguire nei fatti e negli eventi storici”.

In entrambe le lingue l’agire si compone di due parti: appunto il “dare inizio” ed il “proseguire”. Ci soffermiamo sulla prima: il cominciamento, cioè il dare avvio a qualcosa di nuovo. Hannah Arendt dice che chi governava qualcosa poteva cominciare qualcosa di nuovo, come i padri di famiglia che nel mondo classico governavano su parenti e schiavi. E lo poteva fare in quanto già affrancatosi dalle necessità della vita e dunque disponibile per imprese militari oppure per l’esercizio dei diritti di membro della pòlis.

Nell’antica Roma il popolo era libero in virtù del lascito dei fondatori dell’Urbe. Gli avi avevano fondato la città e dato il via a qualcosa di nuovo. I discendenti avevano il dovere di dirigere le faccende della città ed elevarla, dando lustro e rendendo onore agli antenati. Il legame con gli antenati era così forte che, a differenza di Tucidide e di Erodoto, gli storici romani cominciano ogni narrazione con l’espressione ab urbe condita, perché in quell’atto è contenuto l’autentico elemento di libertà romana che rende politica la loro storia.

È stato Agostino il primo ad introdurre nella storia della filosofia il concetto di libero arbitrio, che apparteneva alla predicazione di Paolo. Ma in Agostino vi è anche un’idea di libertà piuttosto diversa, esposta nella sua unica opera politica: il De Civitate Dei. La libertà non è una dote umana interiore bensì la cifra dell’esistenza dell’uomo sulla terra. Il suo venire al mondo è equiparato all’apparire della libertà nell’universo. L’uomo è libero perché è un inizio. anche nelle parole di Cristo, esposte nel Nuovo Testamento, si rivela una straordinaria intelligenza della libertà, come facoltà mossa non dalla volontà, bensì dalla fede. Il prodotto della fede sono i “miracoli”, come li hanno chiamati i vangeli.

E come la mettiamo con la disobbedienza civile che è un atto di sfida all’autorità costituita? La Arendt se ne occupa in un libro, Disobbedienza civile, pubblicato in Italia da Chiarelettere nel 2017. Questo lavoro, risultato di alcuni articoli scritti dalla filosofa per il “New Yorker”, costituisce un prezioso manifesto sulla partecipazione attiva. L’autrice giustamente opera un distinguo tra la disobbedienza civile e la disobbedienza criminale (la prima opera in maniera manifesta ed andrebbe regolamentata, la seconda agisce nella segretezza e nell’illegalità). Il volume, inoltre, costituisce un altro importante tassello circa i rapporti tra autorità e libertà dalla Arendt esaminati nel corso della sua opera. In quest’ultimo caso il punto di osservazione è dato dagli Stati Uniti d’America.

La crisi dell’autorità ed il suo inizio storico

Sull’opera di Hannah Arendt vi è un’ampia letteratura di riferimento, soprattutto per quanto riguarda il totalitarismo e le sue origini. La Arendt è la più nota politologa del Novecento ma le sue riflessioni e indagini hanno una grande attualità anche per l’epoca presente, così tecnologica e avanzata, ma pervasa da aberrazioni come razzismo, omofobia, misoginia, odio dilagante, tensioni e guerre in corso, negazione dei diritti umani e fenomeni di schiavitù del Terzo Millennio. Fenomeni sui quali la sua opera può aiutarci a riflettere. La filosofia ha l capacità di interrogarsi con spirito rinnovato su temi e problemi eterni della vita umana. su autorità e libertà si indaga dai tempi dell’Atene del V secolo, passando attraverso i pensatori cristiani, l’Umanesimo, le correnti razionaliste del Sei-Settecento, il fiducioso e romantico Ottocento, nel quale non a caso fioriscono le filosofie della libertà, il tragico e distruttivo “secolo breve”, fino ai nostri giorni. Della Arendt ci sono aspetti che vanno tenuti ben presente: 1) come e perché l’autorità entra in crisi; 2) quand’è che la libertà è politica (ovvero quando produce qualcosa).

La tematica dell’autorità indagata da Hannah Arendt è di stringente attualità, visto che di riconoscimento e di rispetto dell’autorità la società è oggi piuttosto carente. Nelle scuole, negli ospedali, tra gli appartenenti alle forze dell’ordine e via di questo passo, l’individuo o la categoria che rappresenta l’autorità viene offesa, dileggiata, aggredita. È cambiato il rapporto delle persone con figure una volta considerate autorevoli. La classe docente viene continuamente messa in discussione, per non dire denigrata. Il personale medico aggredito verbalmente e fisicamente (anche se la situazione della pandemia esplosa nel 2020 ha fatto in parte rientrare questa situazione). Gli episodi di violenza che negli ultimi anni hanno visto coinvolti alcuni esponenti delle forze dell’ordine in America e in Francia, ci portano ad interrogarci sullo stato della democrazia, già indagata dalla Arendt a suo tempo.

L’incultura, la frustrazione, la semplice fretta e l’istinto di prevaricazione esplodono in episodi di vera maleducazione e in deprecabili comportamenti violenti che oggi più che mai ci dicono quanto sia in crisi la tenuta etica della società e, con essa, la sua stessa sopravvivenza. È una miscela esplosiva fatta di rabbia, cinismo, sfiducia verso la politica, verso le istituzioni, verso il prossimo in generale. C’è lo sviluppo rapido e imprevedibile della globalizzazione, lungi dal garantire l’agognato egualitarismo tra classi sociali e pari accesso alle opportunità, ha acuito le differenze e le divisioni sociali e interpersonali, come afferma anche un grande critico della globalizzazione, l’indiano Homi K. Bhabbha, docente alla Harvard University e guru della teoria post-coloniale.

Per Hannah Arendt la crisi dell’autorità è cominciata con la decadenza della triade romana, religione-autorità-tradizione, mentre l’unico tentativo riuscito di «riannodare il filo interrotto della tradizione» è rappresentato dalla Rivoluzione Americana, in quanto i padri fondatori diedero vita ad una struttura politica del tutto nuova senza far uso della violenza.

L’irrompere del miracoloso

Oggi la riflessione della Arendt andrebbe ripresa e approfondita, alla luce dei nuovi avvenimenti storici e delle trasformazioni di cui è portatore il nostro secolo: le democrazie europee sono in affanno, la politica è teatro di scontri frequenti, i nuovi fenomeni migratori, i conflitti in corso e gli squilibri economico-sociali si impongono alla nostra riflessione con enorme pregnanza. Vi è sete di giustizia e di stabilità, il tutto all’interno di un quadro sociale connotato da sempre maggiore violenza e aggressività. E ad una sottile analisi non sfugge che oggi lo spazio della politica è occupato dalla contrapposizione tra populismo e globalismo, che ha ormai sostituito quella obsoleta tra destra e sinistra.

Le enormi frustrazioni dell’umanità del XXI secolo, la quasi totale mancanza di modelli positivi di riferimento, la crisi della famiglia, del rapporto fra i sessi, dell’economia, il degrado ambientale di cui tanto si parla, ci indicano due cose: l’incapacità di individuare delle autorità se non indiscutibili almeno credibili; e la possibilità allettante e pericolosa insieme di rifondare le basi della nostra esistenza dalle fondamenta, di creare un mondo completamente nuovo rispetto a quello degli antenati.

Come afferma anche la grande politologa, il male può non essere radicale ma “obbediente” e quando ciò accade c’è bisogno di “disobbedienza civile”, che diventa un dovere morale di fronte all’ingiustizia e alla prevaricazione (perché l’indifferenza si sposa con l’orrore e con la banalità del male).

Per Hannah Arendt agire e cominciare sono la medesima cosa. Ogni nuovo inizio di cui l’uomo è capace, spezzando l’automatismo delle cose, diventa miracolo, cioè qualcosa di imprevedibile.

In ogni realtà è presente un elemento miracoloso, cioè l’imprevedibile. E l’esperienza di vedere un miracolo in ogni evento non è arbitraria né artificiosa, è, bensì, naturalissima. La Arendt è convinta che a differenza della natura, la storia sia piena di eventi e che questa frequenza abbia la sua unica ragione nel fatto che gli eventi storici sono di continuo creati e interrotti dall’iniziativa dell’uomo, che è un initium in quanto agisce. Di conseguenza non ha nulla di superstizioso l’essere pronti ad accogliere ed aspettarsi dei miracoli in campo politico. E quanto più si va verso la catastrofe, tanto più l’atto compiuto in libertà appare miracoloso. Difatti, la salvezza non è automatica, è invece automatico il processo che conduce verso la catastrofe.

Hannah Arendt è convinta che saranno sempre gli uomini a realizzare miracoli. Primo, perché hanno il dono della libertà. Secondo, perché hanno la capacità di agire per fondare una loro realtà.

Bibliografia

AA.VV. Scienze Umane corso integrato, Einaudi Scuola, Torino, 2012, pagg. 452-457

ARENDT HANNAH, Disobbedienza civile, Chiarelettere, Milano 2017

ARENDT HANNAH, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 2006

ARENDT HANNAH, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino, 2009 (Edizione originale: Schocken Books, 1951)

ARENDT HANNAH, Vita activa, Bompiani, Milano, 1964 e 1989 (Ed. originale 1958)

ARENDT HANNAH, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano

ARENDT HANNAH, Sulla violenza, Guanda, Milano, 2008

ARENDT HANNAH, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano, 2017

ENEGRÉN ANDRÉ, Il pensiero politico di Hannah Arendt, Lavoro, Roma 1987

PASSERIN D’ENTRÈVES MAURIZIO, The political philosophy of Hannah Arendt, Routledge, London, new York

1994

YOUNH-BRUEHL ELISABETH, Hannah Arendt (1906-1975): per amore del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1994

ZALTA EDWARD N. (a cura di), Hannah Arendt, in Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford.

3 thoughts on “Autorità e libertà nel pensiero di Hannah Arendt

  1. L’articolo di Lucia Gangale sull’autorità e la libertà nel pensiero di Hannah Arendt offre una visione illuminante del rapporto delicato tra questi due pilastri della vita politica e morale. Si distingue per la chiarezza dell’esposizione, per l’attenzione con cui avvicina la filosofia arendtiana alla realtà del nostro tempo e per la capacità di riportare in primo piano l’idea che la libertà non sia soltanto uno stato interiore, ma un atto di azione – un nuovo inizio che nasce dalla capacità umana di creare il mondo insieme agli altri.

    Tuttavia, nell’affrontare i problemi dell’odierno mondo occidentale, vi è spazio per uno sguardo più ampio, legato al mutamento della composizione spirituale e culturale delle società occidentali dopo i grandi sconvolgimenti del Novecento. L’Occidente di oggi non è più quello della Rinascenza o dell’Illuminismo: la globalizzazione, i movimenti di popolazione e l’incontro con culture formate sotto i sistemi materialisti dell’ex Est rosso hanno modificato profondamente la struttura stessa della coscienza occidentale.

    Questa trasformazione non è solo demografica, ma antropologica. Le società che non hanno attraversato una rinascita spirituale vivono l’autorità come limite e non come memoria condivisa, mentre percepiscono la libertà come scelta individuale, non come atto creativo che lega l’uomo al mondo e agli altri. In questo senso, la crisi dell’autorità descritta da Arendt – e interpretata con acutezza da Gangale – oggi si estende oltre la sfera politica o istituzionale: è una crisi dell’uomo stesso, che ha smarrito il senso della libertà come dimensione spirituale.

    Nell’epoca del consumo e della virtualità, “l’uomo che agisce” di Arendt è stato sostituito da “l’uomo che reagisce” – mosso più dagli impulsi che dalle idee, più dall’istinto immediato che dal pensiero. Ciò fa sì che l’autorità non venga più percepita come ponte morale tra le generazioni, ma come ostacolo all’autorealizzazione; mentre la libertà si riduce a una forma vuota di scelta, priva di contenuto etico.

    Proprio per questo, le riflessioni di Hannah Arendt restano straordinariamente attuali e richiedono una nuova lettura, capace di tener conto dei profondi cambiamenti spirituali e culturali dell’uomo moderno. La libertà, per tornare a essere forza creatrice della vita politica, ha bisogno di un fondamento interiore, di una coscienza che non veda l’autorità come imposizione, ma come memoria della responsabilità e del legame con l’altro.

    In questa luce, il testo di Lucia Gangale merita un particolare apprezzamento: solleva le domande giuste e ci invita a riflettere sulla necessità di riportare l’uomo al proprio nucleo spirituale, là dove libertà e autorità non si oppongono, ma convivono come due forze che danno senso al mondo umano. Ed è proprio questa, come direbbe la stessa Arendt, la più grande meraviglia dell’uomo: la capacità di ricominciare.

    • La ringrazio per l’apprezzamento e per le sue bellissime parole, che colgono in pieno le intenzioni con cui ho scritto l’articolo. Mi è piaciuta, in modo particolare, la sua riflessione su “l’uomo che reagisce” (cosa ampiamente verificabile sui social) ed il conseguente crollo dell’autorità, vista come impedimento al proprio personale sviluppo. Hannah Arendt ha questa grande capacità: interroga la nostra coscienza, in maniera quasi spietata. Ci spinge a riflettere seriamente su quali sono le scelte giuste per noi e per la nostra vita. Ci conduce, inoltre, a considerare la meraviglia dell’umano cominciamento in ogni momento dell’esistenza. Le sono grata per l’attenzione con cui ha letto l’articolo e per le sue considerazioni.

      • Gentile Professoressa,

        La ringrazio di cuore per la Sua risposta così calorosa e per la profondità delle riflessioni che ha voluto condividere con me.
        Sono molto lieto che Lei abbia percepito una consonanza tra le Sue intenzioni e il modo in cui ho letto il Suo articolo. Condivido pienamente il Suo apprezzamento per la forza con cui Hannah Arendt ci invita a confrontarci con noi stessi e con il mondo, senza elusioni e con onestà intellettuale.

        Le Sue parole rappresentano per me uno stimolo prezioso a continuare a riflettere e a scrivere su questi temi che toccano l’essenza dell’essere umano e della vita.

        Con stima e gratitudine,

        Robert Martiko

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