
Abstract
The importance of manual labour and the superiority of humans over other creatures because they have hands has been emphasised many times in philosophy, anthropology, and sociology. Hegel, for example, said that “The hand is the animated creator of human happiness”. Heidegger argued that “Only a speaking, i.e. thinking, being can have hands and thus, through manipulation, perform the work of the hand”.
This short essay does not seek to demonstrate the superiority of humans over other living beings: rather, the intention is to analyse the possible nuances of a simple yet powerful gesture such as “holding hands”.
Keywords: hand, Aristotle, Michelangelo, Iliad, Émile, education, love, friendship, society
- Importanza delle mani da Anassagora a Michelangelo
“Anassagora afferma che l’uomo è il più intelligente degli animali grazie all’avere mani; è invece ragionevole dire che ha ottenuto le mani perché è il più intelligente. Le mani sono infatti strumenti e organi e il disegno invariabile della natura nel distribuire gli organi consiste nel dare all’animale quanto sia in grado di usare […] Considerando quindi che tale è il corso migliore delle cose, e che di ciò che è possibile la natura porta sempre in atto il meglio, dobbiamo concludere che l’uomo non deve la sua intelligenza superiore alle mani, ma le mani alla sua intelligenza superiore. A colui dunque che è in grado di impadronirsi del maggior numero di tecniche la natura ha dato, con la mano, lo strumento in grado di utilizzare il più gran numero di altri strumenti. […] La mano sembra in effetti essere non un solo strumento, ma molti strumenti al tempo stesso, è infatti, per così dire, strumento prima degli strumenti”.
Questo passo, tratto dal De partibus animalium di Aristotele[1], attribuisce ad Anassagora di Clazomene (469 a.C.-428 a. C.), detto il “fisicissimo” per la sua predisposizione a trovare la spiegazione delle cose nella natura e non in un principio trascendente, la sentenza secondo cui l’uomo è la più intelligente delle creature perché in possesso delle mani. Aristotele a questa sentenza oppone il proprio punto di vista, e cioè che “l’uomo non deve la sua intelligenza superiore alle mani, ma le mani alla sue intelligenza superiore”. È, infatti, colui che, grazie all’uso delle mani, può padroneggiare un gran numero di strumenti e tecniche, pertanto, proprio perché più intelligente degli altri esseri, ha in dotazione l’uso delle mani, lo “strumento prima degli strumenti”.
Nel Natura deorum, Cicerone[2] tesse un vero e proprio elogio delle mani, quale strumento per dedicarsi alle belle arti, provvedere alle necessità della vita quotidiana, utilizzare tecniche per lavorare il bronzo e il ferro, fabbricare abiti e ripari, coltivare i campi, costruire opere[3].
La mano ha un’importanza fondamentale nell’affresco di Michelangelo sulla Creazione di Adamo (che decora la volta della Cappella Sistina, nei Musei Vaticani a Roma), perché Dio crea l’uomo attraverso le mani. Nel Rinascimento, l’enfasi sulla dignità umana rimette al centro l’importanza della manualis operatio, cioè la capacità dell’uomo di vivere, creare e operare attraverso la manualità. Il sapere e il saper fare, nella loro unità, sono espressione di una mentalità che precede di secoli riforme scolastiche spacciate per rivoluzionarie, dove fumose “competenze” hanno più importanza delle conoscenze ed in cui la scuola-azienda delle formulette magiche (Pof, Ptof, Pon…) ha preteso di elevare la qualità della “offerta formativa” attraverso ore obbligatorie di “lavoro”, funzionali al mercato e non più allo sviluppo del senso critico individuale, che sarebbe il vero compito della scuola. Ma questa è un’altra storia.
- Omero
Nell’Iliade è presentato un Achille furioso per la morte del suo più caro amico, Patroclo. Uccide il suo assassino, Ettore, infierisce sul cadavere trascinandolo attorno alle mura di Troia e si rifiuta di consegnare il corpo al padre, il re di Troia, Priamo. Quest’ultimo, travestito, si reca furtivamente nella tenda di Achille per chiedere la restituzione del corpo di suo figlio primogenito. Si prostra ai piedi di Achille, piangendo e implorando pietà, abbracciandone le ginocchia e baciandogli le mani che hanno ucciso tanti troiani. È un gesto carico di significato. Un re si umilia davanti all’assassino di suo figlio per riaverne il corpo e dargli degna sepoltura.
Il grande Priamo entrò non visto, ed avvicinatosi
abbracciò le ginocchia di Achille, baciò le sue mani
tremende, omicide, che a lui tanti figli avevano ucciso[4].
Profondamente toccato dall’umiltà di Priamo, Achille comincia a piangere con lui. C’è un’umanità comune che va oltre le divisioni imposte dalla guerra. Il pianto dei due protagonisti rappresenta la conclusione dell’Iliade. La rabbia di Achille è placata. Egli “si alza e porge la mano al vecchio”. Lo aiuta a rialzarsi e dopo gi restituisce il cadavere di Achille.
Le mani si incontrano, in questo caso, per umanità.
- Montaigne
Avete presente una stretta di mano in cui le dita si intrecciano per non separarsi più? Bene. Tale fu l’amicizia tra Michele de Montaigne ed il filosofo francese Étienne de La Boétie. Un rapporto così privilegiato che Montaigne nelle sue memorie descriveva in questi termini: “Elles se mêlent et se confondent l’une en l’autre, d’un mélange si universel, qu’elles effacent, et ne retrouvent plus la couture qui les a jointes.” (Esse (le anime) si mescolano e si fondono l’una nell’altra, con una miscela così universale che cancellano, e non ritrovano mai più, la sutura che le univa”).
Quest’amicizia così privilegiata trasformò la vita di entrambi. La Boétie morì di peste a Germignan presso Bordeaux nel 1563. Aveva solo 33 anni. Prima di morire redasse il suo testamento nominando Montaigne suo esecutore testamentario. Spirò tra le braccia del suo amico pronunciando la frase: “Mon frere! Me refusez-vous donc une place?» (Fratello mio! Mi rifiutate dunque un posto?)[5]. Montaigne lo racconta nelle Lettere. Egli, da sempre contrario alla vanagloria, rimase così colpito da queste parole al punto da intraprendere una profonda riflessione filosofica, che sfocerà poi nei Saggi, iniziati dieci anni la morte dell’amico.
La stretta di mano in questo caso è per amicizia.
- Rousseau
Per il pedagogista svizzero tenere la mano di un bambino illustra il significato dell’educazione. Secondo Rousseau, il bambino “ne doit faire que ce qu’il veut!; mais il ne doit vouloir que ce que vous voulez qu’il fasse!; il ne doit pas faire un pas que vous ne l’ayez prévu” (deve fare ciò che vuole; ma deve volere solo ciò che si vuole che faccia; non deve fare un passo se non lo si è previsto)[6].
Tenere la mano di un bambino significa stargli accanto, rispettare i suoi ritmi e fargli credere che sia lui il padrone dei suoi movimenti, quando invece egli viene diretto dall’adulto esattamente dove si vuole che sia. La mano dell’adulto guida e accompagna il bambino e, quando l’avrà lasciato, allora significa che quel bambino sarà diventato un uomo.
La mano ha, come detto, una funzione altamente educativa.
- Pestalozzi
Pestalozzi è anch’egli un pedagogista svizzero, ma non di Ginevra, come lo era Rousseau, bensì di Zurigo. Vissuto a cavallo tra l’epoca dei Lumi (alla quale, a pieno diritto, era appartenuto Rousseau) e il Romanticismo, mise al centro della sua pedagogia tre elementi: “Mente, mano, cuore”.
Cosa significa questa espressione? Significa che l’educazione integrale dell’individuo deva passare attraverso lo sviluppo delle qualità intellettuali (mente), della praticità ed utilità sociale (mano) e dei sentimenti e della morale (cuore).
Nessuna dimensione della persona è trascurata. L’Illuminismo aveva posto al centro della pedagogia solo l’aspetto razionale. Pestalozzi, con l’appello alla morale ed all’operatività, coniuga la visione esteriore con quella interiore dell’individuo, indirizzando il processo globale dell’educazione verso il bene.
- Goffman
Il sociologo canadese Ervin Goffman (1922-1982) ritiene che tenersi per mano sia un gesto al confine tra il privato e il pubblico. Nel tenersi per mano, Goffman individua il “noi” degli innamorati, l’aspetto fusionale, la “sacralizzazione del sé” coniugale, che mette in luce l’innamoramento come rituale interpersonale privato molto intenso e trasforma gli innamorati in oggetti sacri, l’uno per l’altro.
Tenersi la mano simboleggia l’unione romantica fra due persone, attraverso un gesto molto significativo, ma al tempo stesso meno esibito e spettacolare del “baciarsi e dell’abbracciarsi”. Secondo lui, tenersi per mano non è un’attività che ci assorbe totalmente come le altre due, in quanto, pur restando uniti, ci apriamo agli altri, allo stare con gli altri, cioè alla vita sociale[7].
Non è così scontato che un sociologo affronti il tema delle emozioni, anzi, secondo quanto dichiarato da Thomas J. Scheff, che è un importante sociologo delle emozioni interazionista simbolico, Ervin Goffman ha il grande merito di avere affrontato esplicitamente lo studio delle emozioni, a differenza della stragrande maggioranza dei teorici sociali[8].
In definitiva
Per umanità, per amicizia, per amore. Stringere la mano si connota sempre come un gesto ad alta densità emotiva. Anche nel caso in cui la mano adulta serva a guidare il fanciullo lungo il difficile processo della formazione e della crescita. Prendersi per mano è tra i gesti più umani e divini che sia dato di vivere, tant’è che Michelangelo lo ha magistralmente rappresentato nella Creazione di Adamo, in cui l’umano si congiunge al divino. Ma si pensi a quanto numerose siano le opere d’arte in cui il gesto viene declinato. Ed a quante innumerevoli opere della letteratura di tutti i tempi descrivano con attenzione questo gesto così potente e così umano.
Note
[1] Aristotele, Opere biologiche, Le parti degli animali, Libro IV, 687a-687b, a cura di Diego Lanza e Mario Vegetti, Utet, Torino 1971, pp. 710-711.
[2] Marcus Tullius Cicero, De natura deorum.
[3] Dopo di lui, molti altri pensatori rimarcheranno questo aspetto. Suggerisco la lettura di due articoli: https://sanoma.it/articolo/agora/filosofia-competenza-del-futuro; http://blog.petiteplaisance.it/aristotele-384-322-a-c-la-mano-di-aristotele-piu-intelligente-devessere-colui-che-sa-opportunamente-servirsi-del-maggior-numero-di-strumenti-la-mano-costituisce-non-uno-ma-piu-strume/
Friedrich Engels, in Dialettica della natura, Editori Riuniti, Roma 1971, pp. 49-50, scrive: «La specializzazione della mano significa lo strumento: e strumento significa l’attività umana specifica. La mano dell’uomo è altamente perfezionata dal lavoro di centinaia di migliaia di anni…
Nessuna mano di scimmia ha mai prodotto il più rozzo coltello di pietra…
La mano dell’uomo ha raggiunto quell’alto grado di perfezione…solo attraverso il lavoro…
E l’uomo ha fatto tutto ciò, innanzitutto ed essenzialmente, per mezzo della mano».
[4] Iliade, libro XXIV, Milano, Bur, 2003, pp. 1245-1249.
[5] Montaigne, Sur la mort d’un ami, Texte présenté par France Quéré, Paris, Desclée De Brouwer, «Les Carnets DDB», 1995, p. 62.
[6] Jean-Jacques Rousseau, Émile ou De l’éducation (Livre second), Garnier-Flammarion, Paris 2021, p. 150. Vedere anche: https://ebooks-bnr.com/ebooks/pdf5/rousseau_emile_ou_education_livres1et2-a5.pdf.
[7] Nell’opera Relazioni in pubblico, Raffaello Cortina, Milano 2008, Goffman analizza le situazioni più comuni della nostra vita, quali passeggiare su un marciapiede affollato o in una metropolitana, stringersi la mano, salutarsi, scusarsi. Da queste azioni minime deriva un ordine sociale che è indispensabile non mandare in frantumi. Questa è una visione mutuata da Émile Durkheim, il sociologo francese che ha utilizzato il termine “rituale” per spiegare l’esistenza dell’ordine sociale. Secondo Durkheim, il rituale sociale è un meccanismo che produce solidarietà attraverso la riunione fisica di un gruppo e che trova la sua massima espressione nelle religioni. Tuttavia, lo stesso modello si applica anche a molti rituali formali ed informali della vita sociale.
Si veda anche E. Goffman, The presentation of self in everyday life, Garden City, Doubleday, New York 1959; trad. it. La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna 1969.
[8] Iagulli Paolo, Ervin Goffman e la sociologia delle emozioni, Studi di Sociologia, Edizioni Vita e Pensiero, Anno 52, Fasc. 1 (Gennaio-Marzo 2014), pp. 31-52.