
Il tempo è ancora oggi una delle grandi questioni filosofiche ancora irrisolte.
Come teorizzava Agostino è la cosa più personale e soggettiva di cui possiamo fare esperienza. Il tempo è l’aspettativa, il desiderio, la noia, la gioia di vivere e tanto altro ancora. Il tempo è la cifra qualitativa e valoriale della nostra storia quando segue il ritmo interiore. Se siamo passivamente ingaggiati a vivere la vita, compressa e frammentata in ritagli cronologici scivola come sabbia tra le mani.
La nostra efficienza e rapidità nel portare a termine ogni compito e tutto il tempo risparmiato non allungano la nostra esistenza, non abbiamo ancora a disposizione un modo per accumulare il tempo, per conservarlo o tenerlo in stand-by.
Gli antichi greci con il termine kronos indicavano la coincidenza della scelta deliberata con la visione di un’opportunità. Kairos è l’improvvisazione dell’atto più fecondo deliberata nel momento opportuno. Kairos è l’attimo propizio che si schiude a chi crea il futuro, a chi si improvvisa pioniere di una nuova rotta senza troppi strumenti di misurazione, seguendo la navigazione a vista del viandante.
Cos’è il tempo?
Il tempo è una conseguenza di un cambiamento avvenuto. È un’intuizione, un’elaborazione interna alla nostra mente, con importanti risvolti psicologici.
Il tempo è frutto di una nostra sensazione e possiamo pervenire ad esso grazie alla memoria nella quale gli eventi vengono registrati in successione, dove il passato influisce psicologicamente sulla percezione del presente e sulla incerta anticipazione del futuro. La dimensione psicologica è soggettiva, perché la percezione dello scorrere del tempo è in relazione al nostro vissuto interiore, infatti, allo stesso fenomeno esterno, diverse persone possono attribuire durata e intensità diverse in funzione dell’età, dello stato emotivo e delle esperienze sociali maturate. Dal punto di vista matematico e astratto possiamo dire che lo stesso fenomeno può essere osservato e definito oggettivo da più persone se ci si riferisce ad un sistema di misurazione astratto o convenzionale come il numero di battiti di orologio che ne misurano la durata. Ma dal punto di vista fisico e concreto il tempo ha la durata dell’atto di percezione.
Già in Sant’Agostino si intuisce la distinzione tra il tempo oggettivo, esterno a noi e il tempo soggettivo, dove il presente è il ricordo registrato nella nostra mente dell’immediato passato e l’anticipazione dell’immediato futuro.
Si è abituati a osservare il tempo come un flusso che scandisce il passato, il presente e il futuro, ma come ci hanno testimoniato studiosi e filosofi, la questione del tempo è molto più complessa, il tempo non è un dato permanente, dal momento che il passato non è più e il futuro non è ancora, e il presente è un dato della realtà fuggevole e inconsistente, in quanto già nell’atto della percezione si descrive il passato immediato già manifestatosi. Ma, nonostante ciò, siamo capaci di misurare il tempo, parlando di un tempo breve piuttosto che lungo, Bergson è d’accordo con le riflessioni di S. Agostino nel riconoscere l’esistenza di un cambiamento nella realtà esterna, ma tale cambiamento assume significato solo per una coscienza che percepisce e registra tale cambiamento. Il tempo, secondo Bergson, è anteriore alla misurazione del movimento, assume significato come atto della coscienza. È la coscienza che cerca di mettere ordine e dare senso alla realtà, altrimenti inafferrabile. Il tempo è sia un flusso che una relazione; nel primo caso abbiamo a che fare con il fenomeno sotto il profilo oggettivo convenzionale in quanto misurabile, nel secondo caso ci interessa l’aspetto della percezione del tempo come una relazione tra noi e i fenomeni esterni.
Aristotele affermava che il tempo è il numero del cambiamento secondo il prima e il poi, poiché non prendiamo coscienza del tempo quando non distinguiamo alcun cambiamento, mentre quando ci accorgiamo del cambiamento, diciamo che è passato del tempo.
Questa percezione del tempo non può che manifestarsi nella nostra coscienza. Abbiamo quindi due dimensioni del tempo: oggettiva, quando i fenomeni si manifestano in flussi di cambiamento esterni a noi, la seconda che diciamo soggettiva, quando i fenomeni esterni ci coinvolgono alterando il nostro tempo mentale. Certamente la società contemporanea è ancora ancorata allo scandire del tempo dell’orologio, ma intravvedono una soggettivazione della nozione del tempo sociale. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione attuali lavorano ad alta velocità, comprimendo le dimensioni tempo-spaziali, il tempo si annulla in quanto non siamo più in presenza di successioni di cose, ma di molteplici coesistenze di eventi, caoticamente immersi nello spazio delle informazioni. Solo la percezione soggettiva del tempo permette all’individuo di vivere una cospicua dimensione del suo presente.
La frammentazione del tempo
Tempo e spazio sono le due dimensioni che ci costituiscono. La coscienza di chi siamo acquista forma nel tempo, in un divenire, ma anche in uno spazio definito da luoghi, limiti e confini. Il nostro rapporto con il tempo è caratterizzato da un intreccio degli orizzonti di tempo, il passato non è semplicemente ciò che non c’è più, il passato resta costitutivo dell’esperienza presente, essenziale per la sua comprensione.
La separazione inevitabile del passato non ne diminuisce la forza affettiva.
Ciò che non è più, può manifestarsi con una presenza più intensa, come accade quando proviamo un forte sentimento di nostalgia. Allo stesso tempo il nostro presente acquista significato da un’idea di futuro. La conoscenza trae forza da ciò che è stato e da ciò che verrà. Ciò che facciamo assume significato anche emotivo, lo spirito di un’epoca influenza le vite di ciascuno di noi. Se l’idea del futuro che ciascuno di noi ha, risulta instabile e incerta, si rischia di rimanere appesi a un presente assoluto.
Anche il passato perde il suo valore al fine di proiettare una visione del futuro, ma diviene luogo della nostalgia. Mancando una forza che spinge in avanti, il presente si apre e si chiude su sé stesso. Il bisogno di sentirsi attivi spinge a saturare il presente di eventi, di possibili esperienze alternative senza una direzione chiara. Da qui il vissuto di accelerazione, affanno, inquietudine, e talvolta stasi, ripetitività. Ci si muove in tante direzioni, ma niente cambia. La frammentazione del tempo e la tendenza a riempirlo il più possibile riguarda la difficoltà di attendere.
Si vive nel qui ed ora, in un presente puntuale che però deve anche generare risultati, in nome dell’efficienza che non sembra avere argini. Tutto ciò toglie valore e senso agli spazi intermedi, al cammino. Il tentativo è di far scomparire i tempi intermedi, in quanto fonte di inquietudine o di noia.
Per questo motivo, ad esempio l’ascolto, l’approfondimento o il dissenso sono considerate perdite di tempo, inceppi a un flusso di azione che non deve essere interrotto. Lo spessore dell’esperienza umana si costruisce proprio nel cammino. Il rischio è che spazio e tempo non significhino più niente.
La simultaneità rimuove ogni distanza e ogni attesa, estingue il tempo necessario a costruire una relazione di intimità autentica, e indugiare genera impazienza.
Il tempo della rete è un tempo istantaneo, ma cosa si rischia di perdere?
Abbiamo perso la spinta generatrice del desiderio, che ha bisogno di vuoto, di assenza, di mancanza per costituirsi. È l’affievolirsi di una vocazione tipicamente umana che è quella di generare nuovi inizi. Per generare nuovi inizi è necessario cominciare, ma anche finire, questo richiede che ci siano zone intermedie e zone di passaggio.
Invece, nell’esperienza del tempo attuale e puntuale le cose spesso finiscono a causa di agenti esterni che rendono ogni conclusione non voluta.
Accogliere l’imprevisto
Da sempre gli esseri umani hanno una preoccupazione costante per il trascorrere del tempo, perché hanno coscienza che tutto ciò che esiste è finito e limitato.
Progettiamo il futuro partendo da quello che siamo adesso, ma non tutto è progettabile, ci sono delle cose che non possono essere previste. Oggi la scienza riesce a prevedere il futuro, ma rischia di pensare di poter ridurre l’avvenire a futuro. Pensiamo che il tempo sia qui ed ora, ma il tempo umano è un’altra cosa, è fatto dalla memoria, ma anche dalla speranza, dall’attesa, eppure l’imprevedibile non è eliminabile.
Il futuro è una proiezione che si basa sul presente, l’avvenire è invece ciò che non può essere previsto. Quando progettiamo una determinata iniziativa futura partiamo dal presente in cui viviamo, dalle idee, sogni e speranze che abitano il nostro presente.
È a partire dall’oggi che penso al domani, allo scopo di progettare le mie azioni future, di conseguenza il domani, non può fare altro che contenere delle tracce di questo oggi. All’opposto l’avvenire è ciò che accade, e ciò che accade lo fa senza preavviso, ad esempio accade che ci si innamori, nessuno progetta che si innamorerà o può prevedere quando avverrà. Bisogna riconoscere la necessità di liberarsi dall’immaginazione per predisporsi ad accogliere il nuovo, l’imprevedibile, ciò che non può essere progettato, né previsto e neanche immaginato. Liberarsi dall’immaginazione significa accettare l’eccedenza dell’imprevedibile. La nostra società è diventata tecnologicamente così potente da arrivare a pensare che l’identificazione tra avvenire e futuro sarà prima o poi concretamente realizzata. Tramite gli algoritmi, i calcoli computazionali, si arriva a credere di poter ridurre la distanza tra avvenire e futuro.
Il nostro presente ha prestato attenzione al futuro disinteressandosi dell’avvenire.
Nel nostro mondo consumistico uno dei grandi valori che ci viene proposto è quello che identifica il compimento con il successo. L’idea del più forte, del successo ha come conseguenza che tutti gli altri diventano dei nemici, porta a vedere gli altri come antagonisti. Questa società continua a dirci che dobbiamo essere migliori, mentre in realtà dobbiamo diventare migliori, che è insito nell’idea di compimento, per essere migliori non bisogna battere gli altri, perché non sono da considerare insidie o pericoli, altrimenti il mondo si trasforma in una giungla, dove il più forte vince e gli altri soccombono.
Quest’idea è pericolosa perché identifica la realizzazione di ogni uomo con il successo. Il compimento dell’essere umano è qualcosa di più profondo del successo. Un uomo sa coltivare la ricchezza dei legami, sa gustare la bellezza della vita, è capace di condividere nella gioia e nel dolore. L’uomo è capace di vedere nell’altro qualcosa di diverso da un semplice nemico, l’uomo ospitale è colui che è capace di ospitare l’altro.
Noi veniamo alla vita senza deciderlo, non abbiamo deciso quando e dove nascere, ma diventare uomini è il frutto delle nostre scelte, delle nostre decisioni, è qualcosa che attende le nostre responsabilità.
Uomini nel senso pieno non si nasce, ma si diventa giorno per giorno.
Il tempo come opportunità
Se potessimo fermarci a pensare a quel che veramente è importante per noi, rivolgendo l’attenzione a quella collettività con la quale tendiamo ad interfacciarci con distanza, cambieremmo la visione di noi stessi, l’immagine, spesso artificiosa, che ha fatto in modo che dimenticassimo il senso della condivisione. Rimandiamo a domani perché oggi non abbiamo tempo, senza renderci conto che arriverà quel giorno in cui di “domani” non ce ne saranno più, perché il tempo non aspetta nessuno, scorre inesorabile.
Siamo ormai schiavi del tempo, con centinaia di impegni da assolvere e scadenze da rispettare, sprechiamo l’unica risorsa che non è acquistabile e che è limitata e porta con sé le parole che non ci siamo detti, le cose che avremmo voluto fare, ma non abbiamo fatto pensando che ci fosse tempo.
Se potessimo guardare alla vita iniziando a considerare il tempo perso quale occasione utile alla progressione verso il presente, non perderemmo neanche un attimo del tempo a disposizione, apparentemente illimitato.
Fare dell’esperienza del mondo qualcosa di cui andare fieri, significa valorizzare la nostra essenza, riconoscere che il nostro contributo è unico e prezioso. La preziosità del momento presente evanescente va ricercata nell’importanza della gestione del tempo. Riconoscere l’importanza del tempo significa recepire la preziosità anche di un solo istante della nostra giornata, spesso vissuta al minimo delle possibilità.
Il tempo può essere considerato come un evento di relazione, la possibilità di un incontro con l’altro, con la sua storia e la sua interiorità.
Parlando di gestione del tempo ci si riferisce alla capacità di organizzare in maniera efficace questa risorsa così importante. Se impariamo ad ascoltare noi stessi e a dar voce alle nostre esigenze, diventiamo più consapevoli delle nostre scelte. Fermarsi per ritrovarsi significa dare valore al nostro tempo e alle nostre esperienze, anziché lasciarsi travolgere dall’incessante corsa della quotidianità.
Fermarsi ci offre l’opportunità di ridefinire le nostre priorità e allineare le nostre azioni con i nostri valori più profondi, è un’occasione che spesso non ci viene concessa, ma che permette di ritrovarci.
Prendersi il tempo per riflettere, connettersi con sé stessi e affrontare le proprie emozioni può portare a una maggiore consapevolezza e a un senso di autenticità di noi stessi e della nostra vita, noi che impegnati nelle nostre attività, travolti dalla fretta, ci dimentichiamo di prestare attenzione persino a noi stessi e alle nostre esigenze interiori. Dobbiamo liberarci da questa frenesia e ritrovare il contatto con noi stessi, con le nostre emozioni e i nostri desideri più profondi. Solo la consapevolezza personale ci permette di intraprendere un cammino di miglioramento, apportando cambiamenti positivi nella nostra vita.
Bibliografia:
Bergson H., Saggio sui dati immediati della coscienza, in Opere 1889-1896, Mondadori, Milano1986.
Scicolone G., Trasformare il tempo in occasione, in Giubileo e potere, Edizioni associate, Roma 1998.
Aristotele, Fisica, a cura di Roberto Radice, Bompiani, Milano, 2011.
Agostino, Confessioni, Garzanti, Milano1990.
Lèvinas E. Il Pensiero dell’altro. Roma: Lavoro. (1999).
Lèvinas E Totalità e infinito, Saggio sull’esteriorità, Milano, Jaka Book 1996
Lèvinas E. Il Tempo e l’Altro. Genova, Il Melangolo 1997
Lèvinas E. L’epifania del volto. Pazzini. 2016
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