Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Italo Calvino e la soluzione contro la globalizzazione

1 Commento

Molto spesso la letteratura si è trovata a bruciare le tappe dello sviluppo tecnologico e a prevedere con lungimiranza i disastrosi risvolti di una tecnologia che si sviluppa ed evolve senza freni. Gli scrittori, proprio grazie al loro essere spesso dei “vate” e alla loro innata lungimiranza del fantastico possibile, riescono ad esplorare il tempo presente andando poi a concepire futuri realizzabili. Italo Calvino fu uno di questi cantori visionari, audaci, camaleontici e multiformi. Egli ha dimostrato ampliamente di essere un attento e agile lettore della realtà sia nei romanzi, che nella saggistica meno nota a un pubblico di non esperti. Fin dagli esordi, Calvino si rese conto che stava vivendo un’epoca di forti cambiamenti, spesso violenti e inafferrabili sul momento. Il mondo contemporaneo per Calvino è fin troppo cangiante e spesso risulta complicato e complesso. Lo scrittore in risposta alla violenza del mondo contemporaneo trova un suo modo di fare letteratura: non commette l’errore di molti suoi contemporanei, quello di illustrare solo i pericoli di quell’evoluzione irrefrenabile e inarrestabile, ma cerca ed offre anche soluzioni[2].

Il male supremo per lo Scrittore è incarnato dall’avanzare della globalizzazione e di un progresso tecnologico smodato. Calvino, forte della sapienza filosofica, letteraria e logico-intuitiva, riesce a destreggiarsi meravigliosamente tra passato, presente e futuro. Il grande valore di Calvino è quello, come negli stessi anni stava facendo anche Pasolini, di aver previsto gli effetti devastanti della globalizzazione, non tanto dal punto di vista economico, ma da quello sociale. La sua previsione fu così ficcante e chiara, che servì a modello al sociologo Zygmunt Bauman[3]. Calvino cosciente dell’inafferrabilità del reale contemporaneo, ma fiducioso dell’azione costruttrice dell’uomo cerca costantemente di offrire delle soluzioni ai repentini cambiamenti di una società ormai globalizzata. Ciò lo si evince bene anche dalle sue parole: «Per un certo numero d’anni c’è uno che crede di lavorare alla costruzione d’una società attraverso il lavoro di costruzione d’una letteratura. Col passare degli anni s’accorge che la società intorno a lui (la società italiana, ma sempre vista in relazione con le trasformazioni in atto nel mondo) è qualcosa che risponde sempre meno a progetti o previsioni, qualcosa che è sempre meno padroneggiabile, che rifiuta ogni schema e ogni forma. E la letteratura è anch’essa refrattaria a ogni progettazione, non si lascia contenere in nessun discorso. Per un po’ il protagonista del libro cerca di tener dietro alla complessità crescente architettando formule sempre più dettagliate e spostando i fronti d’attacco; poi a poco a poco capisce che è il suo atteggiamento di fondo che non regge più. Comincia a vedere il mondo umano come qualcosa in cui ciò che conta si sviluppa attraverso processi millenari oppure consiste in avvenimenti minutissimi e quasi microscopici. E anche la letteratura va vista su questa doppia scala»[4]. Però egli continuò sempre a riporre la propria fiducia nell’abilità umana, che se ben indirizzata risulta essere sempre salvifica. Il critico letterario Giuseppe Bonura di lui disse: «è tale proprio perché non riesce a conciliare il naturale pessimismo dell’individuo con le fragorose manifestazioni di ottimismo del genere umano»[5]. Calvino individua diverse tipologie di globalizzazione, dal saggio Una pietra sopra emerge una globalizzazione economico-finanziaria: «C’è il boom economico, un’aria di cuccagna, ognuno bada ai suoi interessi. […] Così come oggi, nell’euforia di questa immeritata cuccagna, sappiamo che non possediamo veramente nulla, che tutto è un castello di carte e può crollare al primo soffio»[6]. La globalizzazione però non porta con sé solo un disfacimento economico, ma anche una costante perdita di valori e di legami, tanto cari al Pasolini di Scritti corsari. Secondo Calvino questa è l’uminità che si andrà sviluppando: «L’umanità che si svilupperà in un mondo di relazioni extrafamiliari, di culture extranazionali, di morali extrareligiose sarà – non dico meglio o peggio di quella di prima, che non ha senso – ma sarà varia, diversa, complicata, significante, con valori, non insulsa, felice-infelice, insomma sarà»[7]. Il pensiero di Calvino si avvicina molto a quello di un altro grande intellettuale di quegli anni, Luciano Biancardi: «il prelievo fiscale medio, la scuola media e i ceti medi. Faranno insorgere bisogni mai sentiti prima. Chi non ha l’automobile l’avrà, e poi ne daremo due per famiglia, e poi una a testa, daremo anche un televisore a ciascuno, due televisori, due frigoriferi, due lavatrici automatiche, tre apparecchi radio, il rasoio elettrico, la bilancina da bagno, l’asciugacapelli, il bidet e l’acqua calda. A tutti. Purché tutti lavorino, purché siano pronti a scarpinare, a fare polvere, a pestarsi i piedi, a tafanarsi l’un con l’altro dalla mattina alla sera. Io mi oppongo»[8]. Però la grandezza di Calvino, come si è già detto, a differenza di Volponi, Pasolini e Biancardi, sta proprio nella fiducia nell’umanità e nell’offerta di una soluzione al disfacimento. Il saggio La belle époque inaspettata, presente in Una pietra sopra, è una radiografia dettagliatissima della società attuale che mette in evidenza tutte le capacità della letteratura calviniana nel prevedere minuziosamente un futuro possibile e attuabile. Provoca forti scossoni leggere le sue parole oggi, poiché si capisce bene come abbia colpito nel segno: «I paesi arretrati più vicini al complesso industriale europeo si sottraggono alla necrosi con migrazioni di massa, spinte come da una forza biologica. Le rive del Mediterraneo non conoscevano dal Medioevo spostamenti di popoli così vasti e incontrollati»[9]. Pensare che ciò venne scritto negli anni Sessanta del Novecento, lascia di stucco. Calvino prima di essere un grandissimo scrittore fu un fine sociologo e un ottimo storico. Calvino si rese conto, come anche Pasolini, che tali rivoluzioni così repentine avrebbero condotto l’umanità globalizzata a cataclismi sociali: «Allo stesso tempo, ogni periodo di belle époque è sempre tempo di estremismi rivoluzionari e nichilismi ideologici»[10]. In tutto ciò bisogna pensare che negli anni in cui Calvino scrive, i flussi migratori, i radicalismi infondati, la vacuità del pensiero e il dissesto economico e sociale erano appena agli albori. Anche Calvino inoltre, proprio come Pasolini, comprende che questa feroce globalizzazione in poco tempo cancellerà tutte quelle realtà contadine e rurali, legate alla terra, al folkore e alle stagioni, ben narrate in I sentieri dei nidi di ragno, che in Italia erano sopravvissute intonse per secoli. Nel saggio La sfida al labirinto si ritorna nuovamente sul tema della globalizzazione: «ecco che tutte le relazioni cambiano: non più cose ma merci, prodotti in serie, le macchine prendono il posto degli animali, la città è un laboratorio annesso all’officina, il tempo è orario, l’uomo un ingranaggio»[11]. È opportuno soffermarsi proprio su quest’ultimo tratto, il ritmo a cui l’uomo è sottomesso non è più quello delle stagioni, quello della natura, della vita contadina, ma quello del lavoro, delle macchine, della fabbrica. Questo è un tratto messo in evidenza anche da Volponi in La strada per Roma e in varie opere di Pasolini. Questi grandi intellettuali si rendono immediatamente conto che si sta andando in una strada contro natura. La scienza darà loro ragione, è infatti ampliamente dimostrato che molte patologie che affliggono l’uomo contemporaneo sono indotte dai ritmi frenetici della vita, che non sono più quelli lenti delle stagioni e a cui il corpo non si è ancora abituato. Spesso Calvino definisce la città come “giungla edilizia”, poiché essa non a un ordine, né una logica come quella della natura. Queste giungle sono il risultato di una cementificazione sfrenata e violenta, dettata dall’incalzare del boom economico. A tal proposito non si può non citare il brano di uno dei più grandi cantautori italiani, Adriano Celentano, Il ragazzo della via Gluck (1966), ove appare chiara la critica a tale modello edilizio:

«Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa in mezzo al verde ormai
dove sarà?»

Per Calvino tale modello non è sostenibile, l’umanità, che viaggia a queste velocità, non è un ingranaggio, ma un ingranaggio rotto, frutto di un’industrializzazione forzata e totale: «Ora siamo entrati nella fase dell’industrializzazione totale e dell’automazione»[12]. Calvino già in quegli anni si era reso conto della presenza dell’automazione e della conseguente sostituzione prima dell’animale e poi dell’uomo da parte delle macchine. Calvino però fornisce una soluzione a questa imminente e incombente sostituzione. Egli si rese conto che controllare la realtà esterna era divenuto ormai impossibile, dunque l’unica soluzione era controllare quella interna, prendersi cura del proprio io: «Qualcosa soltanto non può esserci tolta: la facoltà di fissarci volta per volta un discrimine tra l’agire bene e l’agire male, di meravigliarci alle nuove immagini del mondo, di proiettare su noi stessi la pietà e l’ironia del futuro»[13]. Quello di Calvino è un prontuario per la cura di sé, per la cura dell’anima. Si pensi con gli occhi di oggi, all’intelligenza artificiale e alla reale incombenza della sostituzione. La soluzione esiste e sta solo nella cura del proprio io.


[1] Istruttore direttivo presso Biblioteca “Romolo Spezioli” di Fermo.

[2] I. Calvino, Il mare dell’oggettività (1959), in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Milano, Mondadori, 1995, pp. 46-48.

[3] Z. Bauman, Modernità e globalizzazione, Roma, Edizioni dell’Asino, 2009.

[4] I. Calvino, Sotto quella pietra, in “la Repubblica” 15 aprile 1980, ora in Appendice a Una pietra sopra, in I. C., Saggi I, Meridiani, Mondadori,1995, pp. 400- 401.

[5] G. Bonura, Invito alla lettura di Calvino, Milano, Mursia, 1972, p. 20.

[6] I. Calvino, La «belle époque» inaspettata, in «Tempi moderni», n. 6, luglio-settembre 1961, ora in Una pietra sopra, Einaudi, Torino 1980, pp. 70 e 74.

[7] Ivi., p. 78.

[8] L. Bianciardi, La vita agra, [1962], Rizzoli, Milano 1980, p. 158.

[9] I. Calvino, La «belle époque» inaspettata, in «Tempi moderni», n. 6, luglio-settembre 1961, ora in Una pietra sopra, Einaudi, Torino 1980, pp. 70 e 74.

[10] Ibidem.

[11] I. Calvino. La sfida al labirinto, (1962), in Una pietra sopra, p. 98.

[12] I. Calvino, La «belle époque» inaspettata, in «Tempi moderni», n. 6, luglio-settembre 1961, ora in Una pietra sopra, Einaudi, Torino 1980, p. 72.

[13] Ivi., p. 89.

1 thoughts on “Italo Calvino e la soluzione contro la globalizzazione

  1. Nello spazio incommensurabile del Tempo non si può aggiungere niente altro, oltre a quanto e scritto alla fine: “La soluzione esiste e sta solo nella cura di sé”.

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