Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

La modernità è finita. È tempo di atterrare

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Di moderno, non inteso semplicemente come odierno, attuale, ma come un’epoca avente determinate caratteristiche che ad un certo punto hanno cominciato a venir meno, hanno scritto vari pensatori. Possiamo ricordare Jacques Maritain, che nel 1922 scriveva l’Antimoderno, per prendere le distanze da quelle filosofie che definiva: ideosofie, incapaci di rapportarsi al reale ontologico; Romano Guardini che nel 1950 scriveva La fine dell’epoca moderna, in cui dalla Germania con le ferite della guerra ancora aperte, auspicava un ritorno ai valori spirituali, che il nazismo aveva violentemente soffocato. Jean François Lyotard nel 1979 pubblicava La condizione post-moderna, nella quale annunciava la fine delle grandi narrazioni, méta-récits, e l’avanzare delle tecnoscienze.

Bruno Latour, rispondendo alle questioni poste da François Ewald è costretto ad adoperare il termine a-moderno, o anche quello di seconda modernizzazione, dei quali non sembra peraltro particolarmente entusiasta.

Alla domanda di Ewald su cosa significhi essere moderni e perché ora la situazione stia cambiando, Latour, sociologo e antropologo, accenna al suo percorso di studi e ricerche sul campo per spiegare come ha maturato quest’idea: «Il termine modernizzazione si basa sulla distinzione, operata o meno, tra fatti e valori. Si distingueranno così le nozioni di efficacia, di verità, di redditività – cioè la scienza, la tecnica e il mercato – da ciò che possiamo chiamare i valori, le opinioni soggettive, la mitologia o i vari arcaismi che oscurano il nostro pensiero» (Latour, Disinventare la modernità, pp. 12-13).

Chi è moderno pensa che i fatti, scientificamente assodati, e i valori personali e comunitari debbano restare rigorosamente distinti. L’uomo moderno vede, prevede e provvede; per le prime due attività basta la scienza, per la terza ci vuole la politica, illuminata dal sapere scientifico. Quindi chi è moderno è emancipato, domina gli elementi, chi invece non lo è si trova ad essere connesso, dipendente, obbligato ad interagire con gli altri, che non sono solo gli umani.

A ben guardare l’efficienza del moderno è una pretesa piuttosto che una realtà, Non siamo mai stati moderni, è il titolo di un’altra sua opera, del 1991, nella quale vuole farci vedere che una commistione c’è sempre stata, tanto vale allora studiarla bene; dire che la scienza moderna non è contaminata dalle passioni umane è un’invenzione, nel senso di falsità, proprio per questo si rende necessario disinventare.

Nel corso degli eventi si verificano dei punti di discrimine e il covid è uno di questi, viene talvolta naturale, per parlare di una tale situazione, collocarla ante o post covid. E proprio la pandemia, con tutto quello che ne è conseguito, ha spinto Latour a spiegare nelle sue lezioni di filosofia per un pianeta che cambia l’ambiente in cui viviamo e il cambiamento generazionale ed epocale che è avvenuto; una sorta di testamento spirituale scritto nel 2021, un anno prima della sua morte.

Da fine narratore, che danza con le parole e ne inventa di nuove, si rifà a Kafka e al divenire-insetto, premessa per orientarsi in questa nuova situazione, ben sapendo che indietro non si può tornare. Bisogna abbandonare l’universo di cui possiamo avere solo esperienze mediate e tornare sulla terra. Où atterir? È il titolo di un suo saggio, di cui ha prodotto anche una rappresentazione teatrale, per dire se è ancora possibile fare politica ignorando l’attuale sconvolgimento globale.

Bisogna scendere sulla Terra, su questa Terra. Ha cura di spiegare che si tratta di un nome proprio; una crosta che si sprofonda qualche chilometro sotto la superficie della sfera e si espande di due o tre chilometri in atmosfera. La chiama anche biofilm o, su suggerimento del professore di Scienze della Terra Jérôme Gaillardet, zona critica. Di questa il vivente ha conoscenza diretta, di quello che va oltre ha solo una conoscenza mediata da strumenti più o meno sofisticati.

A questo punto vorremmo tentare un’analogia con la posizione di Giambattista Vico. Per questi l’uomo può conoscere realmente solo la storia, perché ne è l’autore, il mondo naturale invece se lo trova già creato, da Dio, e solo lui lo può conoscere. La Terra nella visione di Latour è tutta opera degli organismi viventi, ancor più, è un tutt’uno con i viventi stessi, è in un certo senso la loro storia, la loro Scienza Nuova.

Il confinamento a cui ci ha costretti il covid ci ha fatto capire qual è il nostro posto, angusto per l’uomo moderno che pretende di colonizzare il cosmo, ma abbastanza comodo se si impara a conoscerlo e a viverlo con gli altri: uomini, batteri, virus. Sia ben chiaro comunque che la Terra, così intesa, non è mai esistita a prescindere dagli organismi che la popolano, sono essi stessi e quello che essi producono la Terra stessa. La Terra è Vita; vivente non vale solo per le termiti ma anche per il termitaio, la città, Praga, per restare nel tema, è tutta viva in questo senso, come «le folle che si accalcano sul ponte Carlo e il ponte Carlo stesso» (Latour, Dove sono?, p.29), come anche le cime maestose del Gran Veymont, cimiteri di coralli che attendono da millenni di essere trasformati. L’organismo non finisce alla sua membrana esterna ma è un tutt’uno con la nicchia con cui s’avvolge e via via con tutto il resto della Terra.

Nessuno può bastare a se stesso, anche gli organismi che la biologia definisce autotrofi hanno evidenti forme di dipendenza, i prodotti di rifiuto di alcuni sono nutrimento per altri; l’antagonismo per la sopravvivenza si accompagna in natura a forme di simbiosi mutualistica. Questo pare suggerire una necessaria trasposizione nel campo politico-sociale umano, come in altri tempi era stato fatto per i principi del darwinismo.

«Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze!» Queste parole che leggiamo nel prologo di Zarathustra risuonano nel capitolo sesto del libro appena citato. Latour parla, piuttosto sbrigativamente, dell’atteggiamento religioso come di qualcosa del passato; pare riferirsi unicamente alla confessione cristiana in versione molto ingenua e tradizionale. Ma ciò che lo interessa è quella che definisce religione secolarizzata, che riguarda un presente che ancora persiste nella sua modernità. È la pretesa di misurare, ordinare, esplorare tutto ciò che va oltre quel guscio che chiamiamo Terra. Promette l’infinito ma non consente nemmeno quel modesto spazio di libertà agli organismi viventi, altrimenti detti «olobionti, un insieme nebuloso di agenti dai contorni sfumati che permettono alle membrane un po’ durevoli di persistere grazie all’aiuto che l’esterno apporta a ciò che è all’interno» (Latour, Dove sono?, p.59). L’uomo con i suoi tessuti, organi e apparati caratterizzati dal proprio DNA convive con una quantità, fino a poco tempo fa inimmaginabile, di altri organismi geneticamente diversi. Questo è un esempio di olobionte.

L’uomo è un organismo molto complesso, capace di scrivere la sua storia e di riflettere su di essa. Latour in una di queste lezioni di cui si compone il libro parla dell’economia, non di quella che chiama innata e primordiale praticata fin dalle prime forme di aggregazione umana, ma di quella iniziata qualche secolo fa e ancora attuale. Borghese o socialista che sia, è stata considerata la base su cui si innesta tutto il resto e questo ha modellato la mente di tante generazioni, che hanno assunto «l’idea di assimilare le leggi dell’Economia a quelle della “Natura” e di attribuire all’Economia lo stupefacente ruolo di infrastruttura» (Latour, Dove sono?, p.78).

Il cambiamento è avvenuto e il covid ha funzionato da rivelatore ed anche da catalizzatore, capace di agire sulla velocità del cambiamento. Latour dice che è avvenuta una sorta di rivoluzione «Senza colpo ferire, la famigerata “infrastruttura” della vita moderna è apparsa superficiale; e, parallelamente, con un’inopinata sostituzione, si infiltrava al di sotto, insinuandosi nelle profondità, quelle che finora le menti razionali consideravano una “sovrastruttura” del tutto trascurabile: le preoccupazioni riproduttive e le questioni di sussistenza. In poche parole, l’Economia ha smesso di essere “l’orizzonte insuperabile dei nostri tempi”» (Latour, Dove sono?, p.72).

Se la modernità tendeva all’emancipazione, questa nuova situazione è prima di tutto una presa di coscienza della propria dipendenza. Se ci si riconosce dipendenti, andando nel concreto alla ricerca di quei fattori dai quali dipendiamo, si vive quella libertà, limitata ma autentica, che ci è propria in quanto uomini-olobionti. Ci vorranno certamente anche le forme aggregative a vari livelli e anche le istituzioni. Ma è tutto da vedere, da inventare. Alain Badiou, altro pensatore francese, in un suo recente saggio dal titolo: Osservazioni sul disorientamento del mondo, affronta la situazione attuale, con un taglio più politico-sociale ma molto attento alla questione ambientale. Egli propone anche una ricetta chiara; nato nel 1937, filosofo, commediografo e scrittore, impegnato nel dibattito e nell’azione politica fin dal Sessantotto, vede nella critica marxista del capitalismo un valido strumento per affrontare l’attuale situazione globale.

Molto più sfumate le indicazioni di Latour, che ha affrontato un quadro immensamente più complesso e dinamico. L’uomo che ha caratterizzato la terra fino al punto di metterla in pericolo ha ora il compito di fare quanto gli è possibile per creare una situazione di adeguata vivibilità. Verso la fine del saggio leggiamo: «Occorre reinventare tutto da capo: il diritto, le arti, l’architettura, la città ma, cosa ancora più strana, bisogna assolutamente reinventare il movimento stesso, il vettore delle nostre azioni. Smetterla di avanzare, verso l’infinito e imparare a indietreggiare, a fare un passo di lato davanti al finito» (Latour, Dove sono?, p.142).

Nessun accenno al sentimento religioso che, visto anche semplicemente come fenomeno sociale, riveste anche nel tempo attuale un’indubbia rilevanza che non si può ignorare.

Riferimenti bibliografici

ALAIN BADIOU, Osservazioni sul disorientamento del mondo, traduzione dal francese di Maria Montaldo, Neri Pozza Editore, Vicenza 2023.

BRUNO LATOUR, Disinventare la modernità. Conversazioni con François Ewald, Elèuthera, Milano 2008.

BRUNO LATOUR, DOVE SONO? Lezioni di filosofia per un pianeta che cambia, traduzione di Simona Mambrini, Einaudi, Torino 2022.

BRUNO LATOUR, Non siamo mai stati moderni, traduzione di Guido Lagomarsino e Carlo Milani, Elèuthera, Milano 2018.

BRUNO LATOUR, Où atterrir. Comment s’orienter en politique, La Découverte, ed. digitale, 2017.

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