Filosofia e nuovi sentieri

«Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L’un compito è proprio del genio che crea, l’altro della perspicacia che perfeziona» Denis Diderot

Ritrovare il valore dei Maestri con María Zambrano

Lascia un commento

In Italia è da tempo in corso un ampio ed articolato dibattito sullo stato della scuola e dell’istruzione. In particolare, è stato oggetto di ampia discussione un articolo di Massimo Cacciari, uscito sul quotidiano La Stampa del 28 luglio 2025, in cui il filosofo italiano accusa la politica di ignorare una cosa fondamentale: e cioè che “educare” significa “liberare”. Per usare le sue parole, significa “significa trarre fuori dal giovane la potenza che già è in lui, aprire la sua mente, i suoi occhi, e non informarlo di ciò che padri e nonni hanno compreso e vissuto”. La politica, da alcuni decenni, ha accantonato questa visione, perseguendo invece l’obiettivo “di addomesticare il giovane al mercato, ossessionata dalla peregrina idea dello “sbocco occupazionale”, sarà necessariamente il trionfo dell’ordinamento burocratico, del controllismo formale”.

Cacciari afferma che alla politica non interessa realmente la formazione dei giovani ed il risultato è la trasformazione della stessa in una sorta di pre-lavoro: “Modello non solo culturalmente odioso, ma semplicemente idiota, poiché esso prefigura una scuola che si troverà sempre in costante ritardo rispetto alle trasformazioni organizzative e tecnologiche”. Tutto ciò genera un abbassamento della qualità dell’istruzione, una riduzione del numero dei laureati (solo il 30% nella fascia tra i 25 e i 30 anni, cioè il 10% in meno rispetto alla media europea) ed una burocratizzazione insostenibile della professione docente, che non lascia ai professori il tempo per leggere, pensare e aggiornarsi. In una scuola siffatta contano solo le continue procedure e rendicontazioni, in nome di un fantomatico “successo formativo” che esiste solo sui tanti documenti da compilare con diligenza.

La scuola attuale ha perso di vista quello che ne è il cuore: i maestri.

Cacciari, a tale proposito, afferma: “Come ha bene spiegato Ivano Dionigi nel suo libro Magister ormai la scuola non la fanno i maestri, ma i ministri. È il sistema dell’universale sorveglianza. Tutto si svolge sotto il timore della punizione. Non hai seguito la regola, non hai riempito con diligenza i moduli prescritti, la controversia legale, magari fino al Tar, sta in agguato. Per essere tranquilli, obbedisci ai comandamenti ministeriali, per quanto stupidi possano essere e anche se ciò ostacola fino a impedirla la tua volontà di crescita intellettuale, di cambiare, di innovare dove le cose non ti sembra funzionino”[1].

Anche Gianni Oliva,  saggista, dirigente pubblico e politico italiano, su La Stampa del 29 luglio 2025, parla di “precise responsabilità politiche” nell’attuale deriva della scuola italiana. Il punto focale del suo discorso riguarda la riforma delle tre “i” – inglese, impresa, informatica –, varata nel 2003 e conosciuta anche come riforma Moratti. La scuola è, da allora, divenuta l’ambito all’interno del quale si preparano i giovani all’inserimento nel mondo del lavoro. In questo, Oliva individua l’errore di fondo di questo nuovo tipo di scuola: voler preparare solo al mondo del lavoro e non anche all’inserimento in società. Non essere più in grado di stimolare alcuna curiosità intellettuale, aver sostituito le indispensabili “conoscenze” con le “competenze” utili al mercato, avere ridotto ore di storia, filosofia, italiano ed avere così “smantellato l’istruzione umanistica senza sostituirla con altro”[2].

Il problema della progressiva riduzione delle ore dedicate alle materie umanistiche è, d’altra parte, già stato affrontato dalla grande filosofa americana Martha Nussbaum, che messo acutamente in relazione la crisi mondiale dell’educazione con i pericoli per la sopravvivenza della democrazia. Nussbaum afferma che in nazioni sempre più attratte dal profitto sono stati progressivamente accantonati i saperi umanistici, che sono invece indispensabili per la sopravvivenza della democrazia. Questa tendenza si protrarrà, i paesi di tutto il mondo produrranno generazioni di docili macchine anziché cittadini a pieno titolo, in grado di provare empatia e ragionare criticamente[3].

Un’altra voce che si è inserita nel dibattito odierno sulla scuola è quella direttrice del Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione e ordinario di Didattica e Pedagogia speciale presso l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. In un nuovo articolo, sempre sul quotidiano La Stampa, Loredana Perla parla di una scuola burocratizzata, che ha messo da parte il profilo culturale che la caratterizzava e che, almeno fino agli anni Ottanta, ha formato una classe dirigente degna di questo nome. Ma c’è di più: la scuola ha progressivamente liquidato l’idea di Magister.

La  pedagogista italiana rileva il fallimento del modello progressista e pragmatista e ricorda che già Hannah Arendt aveva acutamente individuato per tre motivi: 1) il depotenziamento sociale dell’insegnante: 2) la messa tra parentesi delle conoscenze a favore di un vuoto metodologismo; 3) la sostituzione del “fare” all’imparare.

“è bene dircelo a chiare lettere: l’alternativa progressista della “scomparsa” dell’insegnante e dell’insegnamento tradizionale non ha funzionato”.

Come c’era da aspettarsi, non sono mancate critiche a questi tre approcci. Viene soprattutto criticata l’impostazione secondo cui la “scuola di ieri” sarebbe stata capace di formare l’élite di governo, mentre quella di oggi sarebbe frutto di riforme disastrose. Anche perché la scuola degli anni Cinquanta e Sessanta era autoritaria, selettiva e fondamentalmente classista[4].

Si può essere o meno d’accordo sulle analisi sopra esposte, ma è interessante che tutti e tre gli autori si trovino d’accordo sul fatto che il docente è ormai diventato un “impiegato” dell’istruzione e, soprattutto, che la professoressa Perla ricordi le splendide pagine che la filosofa spagnola María Zambrano ha dedicato, proprio, alla figura del maestro.

Zambrano è una tra le menti più geniali del XX secolo, è figura completamente sconosciuta agli studenti liceali italiani, poiché nei manuali di filosofia in uso nelle scuole non viene neppure citata.

Eppure, è stata protagonista di un profondo processo di ripensamento della filosofia ed ha elaborato il concetto di “ragione poetica”, per il quale è senz’altro più nota negli studi che le sono dedicati.

Oggi, rileggere le pagine che Zambrano ha scritto sulla figura dei maestri è di grandissima attualità[5].  Partendo dal ricordo del suo maestro Ortega y Gasset, la sua maggiore guida, alla quale dovette la propria realizzazione personale, cioè il “vivere pensando”, la filosofa parla del maestro come parola, presenza, presenza fatta parola. Il maestro è colui che porta chiarezza nel mondo confuso di una mente giovane e inesperta ed ha la vocazione di risvegliare all’altrimenti di sé.

In altre parole, un vero maestro non è colui che svolge semplicemente una “professione” e tanto meno occupa un “impiego”, ma è colui che è guidato da una “vocazione”: quella di educare, di guidare, di assistere il discente nel suo viaggio attraverso la realtà e verso la scoperta della propria singolare vocazione.

La vita umana, dice Zambrano, “è un viaggio di conoscenza verso la realtà” e, dunque, questo cercare e questa richiesta di senso richiedono, esigono l’educare: chiamano in causa il maestro. Una guida, appunto, non un modello. Una presenza che “non trasmette una rivelazione”, ma, semmai, “talvolta indica solamente”.

Il maestro non è, pertanto, colui che vuole suscitare nell’allievo una “mìmesis”, bensì, appunto, risvegliarlo alla reale conoscenza di sé. Il maestro è un “mediatore” tra il sapere e l’ignoranza, tra la ragione e la confusione in cui ogni uomo inizialmente è solito stare.

Il maestro è colui che deve guadagnarsi il rispetto sul campo, di fronte ai propri allievi, ogni giorno, senza tentazioni narcisistiche e senza la paura di non essere adeguato. Senza rinunciare a mettersi in gioco. E senza tentazioni autoritarie, le quali nascondono goffamente la mancanza di autorevolezza.

Ed in quell’aula che si riempie di studenti, la riuscita dell’apprendimento, dice Zambrano, dall’istante in cui comincia la lezione ed in cui non si verifichi la rinuncia da nessuna delle due parti.

Questo lo sapeva anche Maria Montessori: l’educazione comincia sempre con una seduzione.

Invece Nietzsche, dal canto suo, affermava che gli insegnanti sono coloro “che hanno ancora tempo”. Tempo per dedicarsi alla formazione altrui, tempo per regalare tempo ai discepoli.

Allora, per Zambrano l’aula diventa quel luogo per eccellenza in cui il tempo si dona e si condivide. Dare tempo e luce sono gli elementi essenziali di ogni mediazione. Quel luogo in cui il maestro conduce l’adolescente-minotauro fuori dal labirinto della propria immaturità.

Non avere un maestro, dice María Zambrano, è restare chiusi come il Minotauro, traboccante di energia e senza via d’uscita. Ecco allora l’importanza della relazione educativa e di avere un maestro come guida che possa liberare l’adolescente dalle sue fragilità, idiosincrasie, paure e condurlo alla realtà della vita vera.

L’aula, ribadisce la filosofa, è uno spazio umanizzato per umanizzare l’uomo. E le aule dove non ci sono maestri sono prive di vita.

In tempi di scuola digitale, docenti influencer, messa in discussione della lezione quale cardine della trasmissione culturale di tutti i tempi, le parole di María Zambrano non possono che farci riflettere.


[1] L’articolo in versione integrale è qui: https://francescomacri.wordpress.com/2025/07/28/dibattito-sulle-finalita-della-scuola-educare-e-liberare/#more-160460

[2]Articolo integrale qui: https://giannioliva.it/2025/07/29/la-stampa-la-crisi-della-nostra-scuola-ha-precise-responsabilita-politiche/

[3] A questi problemi Martha Nussbaum ha dedicato opere come: Cultivating Humanity : A Classical Defencese of Reform in Liberal Education, Harvard University Press, Cambridge 1997 e Not for Profit. Why the Democracy Needs the Humanities, Princeton University Press 2010.

[4] Si vedano qui le osservazioni di Mila Spicola: https://www.huffingtonpost.it/blog/2025/07/31/news/la_scuola_di_ieri_e_quella_di_oggi_nel_culto_del_declinismo-19757587/

[5] Maria Zambrano, Filosofía y educacíon. Manuscritos, 2007 (Per l’amore e per la libertà: scritti sulla filosofia e sull’educazione, editado por Annarosa Buttarelli, Marietti 1820. La edición original se publicó en 2007).

Lascia un commento