L’ordine dominante oltre la democrazia verso un nuovo feudalesimo

Introduzione
Tre elementi di cronaca.
Primo. Il 5 marzo 2025 la presidentessa della commissione europea Ursula von der Leyen, dopo aver annunciato l’intenzione di investire 800 miliardi di euro per il riarmo (progetto denominato “ReArm Europe”) annuncia l’intenzione di portarlo direttamente al consiglio d’Europa (tramite il ricorso all’art. 122, atto a trattare i casi di emergenza), senza passare per il parlamento europeo. Così la presidentessa:
So che l’articolo 122 non vi piace, ma è lo strumento più rapido fornito dai trattati. L’intenzione non è quella di aggirare il Parlamento ma si tratta di un’emergenza esistenziale1.
Per quanto intrinsecamente poco rilevante – come noto, il parlamento europeo ha una mera funzione consultiva: anche se boccia una proposta, il consiglio può tranquillamente ignorare questo parere e approvarla comunque, rendendola legge – il parlamento è l’unica istituzione votata dai popoli d’Europa (altrimenti detto, l’unica realmente democratica)2. La posizione della von der Leyen corrisponde dunque a un orientamento esplicito: fare a meno della volontà popolare. Le sorti dell’Europa – cioè, della vita e morte degli europei, in questo caso, dato che si parla di armamenti, cioè di guerra – sono sottratte ai cittadini, per essere affidate ai “tecnici”.
Secondo. Ancora più grave – se può davvero esistere una scala della gravità in questo ordine di cose – è il caso delle recenti elezioni in Romania. In data 7 dicembre 2024, la corte costituzionale della Romania ha decretato l’irregolarità dell’elezione di Călin Georgescu e, di conseguenza, l’annullamento della stessa elezione3. Ciò in barba alla volontà del popolo rumeno, che aveva scelto proprio Georgescu. E nonostante la sua rivale, Elena Lasconi, abbia criticato aspramente la decisione della corte di annullare l’esito elettorale, definendola “illegale e immorale” e dichiarando al riguardo che lo Stato romeno “ha calpestato e distrutto la democrazia”4 (motivo per il quale nemmeno ha presentato ricorso contro il vincitore Georgescu; la corte rumena ha agito d’impulso proprio). A scanso di equivoci, dovendosi così rifare le elezioni, ed essendosi Georgescu ricandidato, la stessa corte ha bocciato anche la candidatura5. Rivelando in tal modo non solo la violenza dell’aver calpestato la volontà democratica, ma anche il paternalismo di chi si sente talmente al di sopra del popolo da poter dire ai cittadini: “Poiché avete già sbagliato a votare una volta, per il vostro bene, vi impediremo di sbagliare di nuovo”6.
Terzo. In casa nostra – siamo a RAI3, “Re Start”, il 14 marzo 2025 – la giornalista Federica Fantozzi afferma candidamente che
a nessuno piace, non è popolare, a nessuno piace parlare o pensare alle armi; credo che se oggi si facesse un referendum “Sei per il riarmo, o no?” ci sarebbe il 100% sfavorevole. Però purtroppo non è una decisione che dipende da noi7.
Qui il paternalismo cui si accennava prima si fa smaccato: il popolo non solo – di fatto – non va ascoltato, ma non può – di diritto – essere ascoltato perché certe decisioni non le può prendere da sé. Chi dunque, dovrebbe prendere decisioni per il popolo, al posto del popolo? Semplice: i “tecnici”, quelli che nessuno ha eletto, ma che sanno per certo cosa è meglio per tutti.
Il governo dei migliori
Questo modo di pensare – “Il popolo non è in grado di amministrarsi da sé, tocca che qualcuno se ne occupi al suo posto” – non è affatto nuovo. È quello di tutti gli autoritarismi che la storia ha conosciuto ed è anche la convinzione più o meno esplicita di chi invoca la “dittatura illuminata” o rievoca tempi andati, quando uno decideva per tutti e si rigava dritto. Può stupire tuttavia ritrovare la stessa impostazione nel cuore della democrazia, di quelle repubbliche libere tanto solerti a smarcarsi dalle tirannie storiche, generalmente morte e sepolte (il comunismo russo, il fascismo italiano ecc.).
Andrew Carnegie, imprenditore americano, nel suo Il Vangelo della ricchezza (1889), ne fornisce un esempio molto potente. L’autore dichiara, fin dal primo momento, che l’obiettivo del suo saggio è affrontare «l’unico problema della nostra epoca [:] la distribuzione della ricchezza» (45)8. È questo difatti l’unico problema, nella sua prospettiva, in quanto per lui il mondo capitalistico della fine dell’800 è un luogo dove si sta meglio che in qualunque altra epoca del passato:
I poveri si godono oggi quello che nemmeno i ricchi potevano permettersi ieri. Quelli che una volta erano lussi, sono diventati necessità. Attualmente qualunque bracciante gode di molte più comodità di quelle che il fattore aveva a disposizione poche generazioni fa. E il fattore ha molti più agi di quelli che aveva il proprietario terriero, veste meglio e ha una casa migliore. E il proprietario terriero oggi possiede libri e quadri ancora più rari, e arredi più sofisticati, di quelli che poteva procurarsi un sovrano (48).
Ora, nonostante l’intenzione dichiarata sia dedicarsi a un problema specifico (la distribuzione della ricchezza) il suo discorso prende subito una piega politica, su come il mondo e l’uomo vadano “amministrati” dai ricchi per il bene di tutti. Infatti questo è il migliore dei mondi possibili; non solo perché è il meglio che siamo riusciti a inventarci:
Per quanto queste leggi9 possano agire in maniera iniqua o ingiusta, e sebbene possano apparire imperfette agli occhi dell’idealista, esse sono tuttavia, così come il tipo di uomo più elevato, quanto di meglio e di più prezioso l’umanità abbia finora raggiunto (54),
ma anche perché tutte le altre alternative si sono mostrate peggiori (51) e quindi non ve ne sono più (49)10; per cui, la realtà del capitalismo va presa così com’è:
Sono le condizioni alle quali ci dobbiamo adeguare, e dunque accettiamo ben volentieri una grande disuguaglianza delle condizioni ambientali; la concentrazione degli affari industriali e commerciali nelle mani di pochi (49).
Quindi, poiché non c’è niente di meglio, la realtà del capitalismo va accettata nonostante non sia perfetta, dato che pone un grosso problema di giustizia sociale, ovvero quello della concentrazione della ricchezza nelle mani di una minoranza. Per cui – dato che il sistema non si può cambiare, perché alle leggi su cui si basa non possiamo sottrarci (49) e perché indietro non si può tornare («Il progresso può essere positivo o negativo, ma incombe su di noi a prescindere dal nostro potere di indirizzarlo, e dunque dobbiamo accettarlo e ricavarne il meglio»11: 46) – non rimane altro da fare che provare a tirar fuori ciò che possiamo dalla situazione così com’è12; è anzi un dovere (53) e ogni tentativo di indirizzare lo sforzo in altre direzioni (provando ad esempio a immaginare altri sistemi economici, politici e sociali per la produzione e la distribuzione della ricchezza) sarebbe uno “spreco criminale” (53). Di conseguenza, non si pone la questione di ripensare completamente un sistema che genera, sì, ricchezza, ma per metterla nelle mani di pochi (54); per Carnegie, l’unica questione è come fare a redistribuire tale ricchezza nella maniera migliore. Come se per lui, a un banchetto, non fosse meglio avere un cameriere che faccia da subito porzioni equilibrate per tutti; ma piatti stracolmi da un lato e piatti vuoti dall’altro, da riempire man mano a cucchiaiate. E il perché è presto svelato: Carnegie aborre qualsiasi intervento statale, tanto nella produzione quando nella distribuzione: «Le leggi del profitto vanno lasciate libere, così come le leggi della distribuzione» (71). E propone il metodo delle “cucchiaiate” da parte dei ricchi come soluzione del problema dei ricchi e dei poveri (71): la filantropia,
antidoto alla temporanea disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza: la riconciliazione del ricco e del povero – un regno di armonia, un altro ideale che differisce da quello comunista solo perché si limita a chiedere l’evoluzione delle condizioni attuali, e non il totale ribaltamento della nostra civiltà (61).
Si può ben dire, a distanza di oltre 130 anni da questo scritto, che il metodo delle “cucchiaiate” filantropiche non funziona: la situazione infatti non è per nulla evoluta, come sostenuto dall’autore; piuttosto il contrario, dato che la disuguaglianza non solo non è svanita, ma si è accresciuta13. Ma l’intento politico del ricco filantropo è stato raggiunto: mantenere stabile la situazione socioeconomica, con i ricchi ben saldi nel privilegio e gli altri… a ricevere le briciole devolute dalla “generosità” individuale. Anche qui, tuttavia, in virtù di una giustificazione espressa: questa redistribuzione non è cosa che chiunque possa mettere in opera, no; occorre un talento specifico per farlo, una vera e propria abilità: «Usare la ricchezza per fornire un reale beneficio alla comunità richiede un’abilità non inferiore a quella necessaria per procurarsela» (58-59). I ricchi, cioè, non è che vogliano arrogarsi questo diritto; semplicemente è questa la strada migliore:
Così l’uomo facoltoso diventa il fiduciario e l’agente dei suoi simili meno fortunati, mettendo al loro servizio la propria superiore saggezza, la propria esperienza, le proprie doti di amministratore, operando nel loro interesse meglio di quanto essi stessi avrebbero voluto o potuto (66).
In altre parole: Rich Do It Better. Ecco perché «il milionario dovrà essere il fiduciario del povero: per una stagione gli è stata affidata la parte più cospicua dell’accresciuta ricchezza della comunità, ed egli la amministrerà per conto della comunità molto meglio di quanto potrebbe farlo essa stessa» (71). E i ricchi non possono fare questo all’interno di una democrazia, dove chiunque potrebbe decidere altrimenti. Per agire nel senso inteso da Carnegie, la classe dei ricchi deve potersi elevare al di sopra del popolo.
Conclusione: il processo deve essere interamente sotto il controllo di una parte della società, quella dei ricchi, ai quali tocca il compito di organizzare la produzione (mentre ai poveri tocca lavorare), distribuire la ricchezza (concentrando il capitale nelle mani dei capitalisti), redistribuirla filantropicamente nelle forme e nelle quantità che essi reputano più opportune. Anche qui, non si tratta di un arbitrio; semplicemente
a questo punto, le menti migliori potranno raggiungere uno stadio del progresso della razza umana nel quale si può vedere che non esiste altro modo in cui gli uomini saggi e seri possono disporre della ricchezza in eccesso ricevuta (71).
Questo in concreto. A chiacchiere, resta nell’opera di Carnegie l’elogio astratto della generosità («Una vita inutile, quella del milionario egoista»: 60), l’ipocrisia del voler “vendere” la filantropia come la dimostrazione che i ricchi non opprimono i poveri, ma al contrario si prendono cura del bene altrui, la vuota proclamazione della pari dignità di tutti gli uomini («Se la società vuole progredire, o almeno restare all’attuale stato di progresso, ciascun essere umano deve avere il diritto di “sedere sotto la sua vigna e il suo albero di fico, senza avere timore di nessuno”»: 52), con la precisazione “edificante” (intesa a trascinare dalla propria parte quelli che si sentono all’altezza) della necessità di distinguere fra “meritevoli” e “immeritevoli” verso un preteso miglioramento dell’umanità intera (68-71), la speranza che in tal modo si possa creare «uno Stato ideale, in cui la ricchezza in eccesso dei pochi diventerà – nel migliore dei modi – la proprietà di molti, perché amministrata in vista del bene comune» (61-62), la certezza fideistica – con tanto di Vangelo scritto con la maiuscola a proposito della sua opera (72) e dell’uso del termine «sacralità» per la proprietà privata (52) – che l’“osservanza” del metodo «è destinata un giorno a risolvere il problema dei ricchi e dei poveri, e porterà “Pace in terra, agli uomini di buona volontà» (72).
Che società è, quella di Carnegie: una democrazia, come pure si fa chiamare quella degli Stati Uniti d’America dove vive? Pare di no, dato che non solo non si tratta di un luogo in cui i cittadini possano dire di vivere liberi e uguali, ma nemmeno è possibile immaginare qualunque forma di partecipazione efficace al gioco della produzione e distribuzione della ricchezza, che viene interamente delegato a un’unica classe, quella dei ricchi. Quella tratteggiata da Carnegie non è una democrazia; ma una «plutocrazia benevola»14 in cui il sovrano illuminato – non eletto – si prende cura degli altri a propria discrezione. Questo nel cuore, come si diceva, della “più grande democrazia del mondo”15.
Insomma: il problema di Carnegie non è affatto “come distribuire la ricchezza”; bensì come scongiurare che la divisione tra classi – dominante/dominata – e la lotta che ne consegue possa sfociare in un sovvertimento delle condizioni economiche, politiche e sociali esistenti: la rivoluzione.
Feudalesimo contemporaneo
Problema che non è solo di Carnegie, ma dei capitalisti di ogni tempo e luogo, compresi quelli dei nostri giorni globali, in cui certi problemi non sono più di singoli gruppi o nazioni, ma realmente di tutti (un caso fra tanti: la crisi ambientale). Qui non basta più la filantropia spicciola, per quanto consistente o diffusa, non basta più cioè dedicarsi a problemi anche importanti ma meno alla ribalta (costruire una scuola o un’università, un ambulatorio o un ospedale, un asilo nido o un parco giochi, una mensa pubblica o un centro di accoglienza): oggi si richiede – unico modo per sanare la frattura interclasse, e far credere ai dominati che “siamo tutti sulla stessa barca”16 – non solo l’esborso economico, ma anche e soprattutto l’impegno civile. Si richiede cioè che il ricco di turno ostenti il proprio impegno a favore di una causa che sente propria: quella ecologica, appunto, o di genere, o animalista ecc. Nasce così il capitalismo woke17, nel quale proprio coloro che traggono maggior beneficio dalle disuguaglianze (tipicamente di destra) possono dichiararsi progressisti e schierarsi a favore di cause politiche tradizionalmente considerate di sinistra18 (11). E cercano così di salvare le apparenze e sedare il malcontento:
La crescente consapevolezza che i più ricchi si siano spartiti tutta la torta di quarant’anni di riforme neoliberiste è per loro motivo di paura. Le ondate di populismo sempre più vaste in tutto il mondo, il cui simbolo estremo è stata la presidenza degli Stati Uniti di Donald Trump, hanno fornito un chiaro segnale di come ormai la gente, oppressa dagli eccessi neoliberisti prodotti dai ricchi, stia convogliando la propria rabbia in una nuova politica di destra antiestablishment. […] Il capitalismo woke è una mossa difensiva volta a placare questa frustrazione e a preservare, se non addirittura a rafforzare, uno status quo in cui le società di capitali detengono una quota di potere politico sempre maggiore. […] Con il capitalismo woke le imprese cercano di giustificare moralmente la propria esistenza, ponendosi come salvatrici del sistema di sfruttamento, generatore di disuguaglianze, da loro stesse prodotto (129-130).
Anche qui, come nel mondo capitalistico di 130 anni fa, ci troviamo in una condizione nella quale mentre «miliardari e grosse aziende si accaparrano quote sempre maggiori della ricchezza mondiale, a venire sacrificata è la promessa democratica di uguaglianza. Valori umani come comunità, condivisione e giustizia finiscono per essere considerati superflui di fronte alle inevitabili conseguenze di un sistema economico fondato sull’appagamento dell’avidità» (87). Situazione nella quale il potere viene accentrato nelle mani di un’oligarchia che decide per tutti, mentre l’enorme maggioranza vien spogliata di ogni avere, di ogni prospettiva, di ogni peso sociale, di ogni rappresentanza politica (168). Il “neofeudalesimo” (20) dell’odierno capitalismo woke è in un certo senso il compimento del sogno di Carnegie: i colossi multimiliardari non solo continuano ad accumulare indisturbati sotto il naso di stati nazionali ormai talmente privi di risorse da non essere in grado di opporre la minima resistenza la loro avanzata, ma vengono ormai investiti anche dell’agenda sociale che sognava l’imprenditore ottocentesco (poter decidere al posto di tutti ciò che è bene per loro) e perfino dell’autorità morale che ne consegue (poter affermare di farlo per la propria virtù morale, che a questo punto non sembra più orientata esclusivamente al tornaconto personale). Ne consegue un assetto tutt’affatto antidemocratico, soggetto alla stessa critica rivolta a Carnegie (147); sfociante in quello che, con ogni evidenza, assume la fisionomia di uno “Stato privato”:
I miliardari finanziano progetti che un tempo erano di competenza dello Stato. La donazione di Bezos19 è un segno della crescita di un nuovo “Stato privato”, in cui i capricci e le inclinazioni personali degli ultraricchi determinano il futuro dei cittadini del mondo. In ultima analisi, prosegue Foer, questa capacità di influenzare il dibattito sul clima sarà di immenso valore per la stessa Amazon. Dopotutto, Bezos non vorrebbe che la politica del governo si orientasse in direzioni che potrebbero risultare dannose per le sue attività. Un progetto finanziato dai miliardi di Bezos sarebbe realmente in grado di interrogarsi seriamente sugli effetti prodotti dalla rete globale di consegne veloci? […] Tutto questo serve a dimostrare che il capitalismo woke è un’appendice della plutocrazia: un governo dei ricchi (149).
Se con la mano del proprio impegno sociale propagandato a reti unificate i superricchi del terzo millennio cercano di convincere il mondo di aver abbracciato la causa delle ingiustizie sociali, con l’altra sottraggono la speranza nella democrazia e nell’uguaglianza: «Guardando bene, esso appare un disegno complesso, volto a garantire che il sistema che ha generato le disuguaglianze, per le quali la filantropia è un unguento, permanga del tutto invariato» (254). La situazione è dunque pessima, proprio come quella dei tempi di Carnegie. Tuttavia, se lì c’era la schiettezza dell’ammissione di una pretesa superiorità dei ricchi e dell’avidità come motore legittimo dell’azione umana, qui – nel capitalismo woke – ritroviamo il farisaismo di chi vuol far credere, nel coltivare obiettivi “di sinistra”, di essere meno avido di ieri e di ricercare sul serio un cambiamento sociale (a fronte di un’efficacia delle politiche improntate al wokismo che è tutta da dimostrare: 11).
In definitiva, stanti così le cose, non c’è da aspettarsi nessun miglioramento significativo, sul piano economico e sociale, delle condizioni di chi lavora e vive al di fuori delle rendite del capitale; sul piano politico, non c’è da aspettarsi nessun rafforzamento della partecipazione e del peso democratico delle masse da parte degli attuali detentori del potere reale – quelli cioè del capitale transnazionale – che hanno tutto l’interesse a svuotare la democrazia di ogni peso materiale. «Il vero cambiamento» dice Rhodes (260)
viene dall’azione democratica, non dalle aziende che vanno avanti da sole. È tempo di abbandonare l’idea che le imprese, in quanto attori principalmente economici, possano in qualche modo aprire la strada politica per un mondo più giusto, equo e sostenibile. La politica democratica si fonda sulla convinzione che le persone abbiamo il diritto di governarsi da sole. Questa politica deve essere riaffermata come primaria, mentre l’economia deve retrocedere in secondo piano. Con il capitalismo woke, invece, abbiamo visto la tendenza opposta toccare un culmine pericoloso, perché le organizzazioni capitalistiche hanno sconfinato sempre più nella vita morale e politica dei cittadini» (260).
Bibliografia
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ANSA 2025 [a], “Fonti, su riarmo von der Leyen punta a evitare voto Pe”, 5 marzo, visibile in internet all’indirizzo https://tinyurl.com/UVDL050325 (pagina visitata il 21 marzo 2025).
ANSA 2025 [b], “Georgescu escluso da elezioni, Romania col fiato sospeso”, 12 marzo, visibile in internet all’indirizzo https://tinyurl.com/m9rdmh7j (pagina visitata il 21 marzo 2025).
Carnegie 2016, A., Il Vangelo della ricchezza, Garzanti, Milano [ed. oprig. The Gospel of Wealth].
Fusaro 2015, D., Europa e capitalismo. Per riaprire il futuro, Mimesis, Milano.
Fusaro 2019, D. e Bolognini, S., Il nichilismo dell’Unione Europea, Armando, Roma.
Fusaro 2021, D., Golpe globale. Capitalismo terapeutico e Grande Reset, Piemme, Milano.
Fusaro 2023 [a], D., Demofobia. Destra e sinistra: la finta alternanza e la volontà di schiacciare il popolo, Rizzoli, Milano.
Fusaro 2023 [b], D., Sinistrash. Contro il neoliberalismo progressista, Piemme, Genova.
il Fatto Quotidiano 2024, “Romania, annullato il primo turno di elezioni presidenziali: la Ue non ha un buon rapporto con la democrazia”, 19 dicembre, visibile in internet all’indirizzo https://tinyurl.com/dtavrbat (pagina visitata il 21 marzo 2025).
la Repubblica 2025, “Elezioni, Calenda propone uno scudo democratico contro le ingerenze esterne”, 10 marzo, visibile in internet all’indirizzo https://tinyurl.com/3x53sc8e (pagina visitata il 21 marzo 2025).
RAI3 2025, “Re Start”, 14 marzo, visibile in internet all’indirizzo https://tinyurl.com/2444kb3y (pagina visitata il 21 marzo 2025).
Rhodes 2023, C., Capitalismo Woke, Fazi, Roma [ed. orig. Woke Capitalism, Bristol University Press. Tr. it. di M. Zurlo].
- ANSA 2025 [a]. Ovviamente, chi abbia deciso trattarsi di uno stato di emergenza talmente grave da poter aggirare il parlamento… è la stessa von der Leyen. ↩︎
- Sorvolando qui sul fatto che, essendo un organo meramente consultivo, il parlamento europeo non ha il potere di stabilire né di vietare alcunché: l’unica istituzione europea in grado di emanare leggi è il consiglio d’Europa (che è un organo non eletto). In altre parole, la politica della UE la decidono comunque soltanto i “tecnici” della commissione (anch’essa non eletta) e del consiglio. In questo senso, il parlamento è un organo di cui si può tranquillamente fare a meno; e le elezioni per comporlo paiono, a tutti gli effetti, una farsa. Ciò che porta un autore come Diego Fusaro a concludere che l’elezione del parlamento europeo è «una maschera che occulta l’essenza automaticamente non democratica dell’Unione Europea» (2019: 55). ↩︎
- ANSA 2024. ↩︎
- IL FATTO QUOTIDIANO 2024. ↩︎
- ANSA 2025 [b]. Non che dalle parti nostre ce la passiamo tanto meglio. Carlo Calenda, segretario di Azione, ha recentemente parlato dell’esigenza di uno “scudo democratico”: «Riteniamo da sempre che le democrazie non siano solo sotto attacco da potenze esterne con mezzi economici e militari ma anche con l’utilizzo di strumenti visti in azione da molti anni, esercitati dalla Russia ma non solo, che tendono a destabilizzare dall’interno le elezioni, rendendole falsate. […] L’Italia deve dotarsi di uno scudo democratico per evitare un voto non democratico» (LA REPUBBLICA 2025). Come in Romania. Insomma: il candidato eletto dal popolo… deve comunque essere approvato a posteriori da qualcun altro. ↩︎
- Virgolette nostre. ↩︎
- RAI3 2025, minuto 10:13. Ringrazio Gianluca D’Antonio per questa segnalazione, da cui l’articolo ha preso le mosse. ↩︎
- Qui e passim, le citazioni sono tratte, ove non diversamente specificato, da Carnegie 2007. ↩︎
- Le leggi della concorrenza e dell’accumulazione della ricchezza, che è per lui ciò che l’uomo naturalmente insegue. ↩︎
- Tenendo presente che in ogni caso, per Carnegie, ogni eventuale nuova alternativa all’orizzonte sarebbe comunque rischiosa perché «non abbiamo alcuna certezza sui possibili effetti di qualunque alternativa» (51). ↩︎
- Ritornello sempreverde per i cantori del capitalismo, che evidenzia il paradosso del “fatalismo progressista” in Fusaro 2023 [b] (156): «La tesi secondo cui “non si può arrestare il progresso” si porta ineludibilmente appresso quella secondo cui “non si può arrestare la mondializzazione capitalistica”». ↩︎
- Molto comodo per i ricchi, che hanno ogni motivo per giustificare e provare a perpetuare lo status quo. Facendolo sembrare, ça va sans dire, non egoismo puro, ma semplice buon senso: «Criticare l’inevitabile è solo una perdita di tempo» (46). ↩︎
- Per un dato di sintesi relativo alla sola situazione CoViD-19, cfr. Rhodes 2023 (41-42): «Mentre i lavoratori hanno subito la perdita dei posti di lavoro, l’insicurezza occupazionale e la stagnazione dei salari, l’1 per cento della popolazione ha fatto soldi a palate. Oxfam l’ha definito un “profitto pandemico”. […] Tra marzo e aprile 2020, le 634 persone che ogni anno figurano nell’elenco dei miliardari più ricchi al mondo stilato da “Forbes” hanno incrementato il loro patrimonio di 685 miliardi di dollari. L’aumento è stato di circa il 25 per cento, per un totale sconvolgente di 3,7 bilioni di dollari. Complessivamente, nell’era del CoViD-19 il numero di miliardari nel mondo è salito a 2189, mentre la loro ricchezza collettiva ha superato tutti i record precedenti. Nel frattempo, a livello globale, le disuguaglianze sono cresciute mentre i lavoratori hanno accumulato sempre più debiti». ↩︎
- Rhodes 2023: 239. ↩︎
- Come spesso si sente ripetere. Nonostante, a ben vedere, se c’è qualcuno a cui spetta di diritto questo titolo non sono gli Stati Uniti d’America… ma l’India. ↩︎
- Retorica lampantemente falsa, come ha mostrato l’esperienza CoViD-19. Cfr. al riguardo Fusaro 2021 (96): «I miliardari americani della shut-in economy, del commercio digitale e della speculazione finanziaria lucravano vieppiù, mentre la popolazione dei ceti medi e delle classi lavoratrici languiva rinserrata in casa, terrorizzata. […] Profondamente falso e, marxianamente, gravido di ideologia è, quindi, il discorso politicamente corretto, ribadito a reti unificate dai bardi del mainstream, secondo cui, con la crisi epidemica, saremmo “tutti sulla stessa barca”». ↩︎
- Qui e passim, le citazioni sono tratte, ove non diversamente specificato, da Rhodes 2023. ↩︎
- Sull’inattualità delle categorie di destra e sinistra nell’attuale panorama politico, cfr. Fusaro 2023 [a] e [b]. ↩︎
- 10 miliardi di dollari che Bezos ha donato per la lotta al cambiamento climatico, all’incirca corrispondenti al triplo di quello che la sua azienda ha versato in tasse nell’arco di un decennio. ↩︎
30 marzo 2025 alle 10:21
In un senso più profondo, se la suddivisione del secondo in nanosecondi ha trasformato i mercati finanziari e la tecnologia, allora è comprensibile che abbia influenzato anche le strutture politiche e morali. Il capitalismo “woke” è un sintomo di questa epoca accelerata, in cui tutto deve avvenire a una velocità vertiginosa, trasformando anche l’attivismo e la giustizia sociale in prodotti di consumo istantaneo. In questo mondo frammentato, ogni crisi viene affrontata solo superficialmente, permettendo la sopravvivenza di un capitalismo che, essendo percepito come l’unica possibilità, non può in alcun modo cambiare la sua essenza, ma solo inventare nuovi modi per mantenere il potere e continuare l’accumulazione della ricchezza. In fin dei conti, cosa si può dire del fatto che nessun sistema al mondo cade dal cielo? Non sono forse gli stessi individui che, attraverso le loro scelte, selezionano le élite? Non ribollono insieme nello stesso calderone, prive di un mondo di significati profondi insieme ai valori stabili?
6 aprile 2025 alle 12:32
Eppure qui siamo in presenza di élite che non solo non vengono scelte dal popolo, ma che fanno proprio di tutto per rimanere ancorate alla posizione in cui si trovano. Perfino fingersi dalla parte del popolo; o intente a perseguire cause comuni in maniera del tutto arbitraria e priva di riscontri.