
Il futurismo è stato con molta probabilità il movimento letterario, artistico e culturale[2] più importante e significativo che l’Italia ha prodotto nell’intero Novecento. Il futurismo non è stato un movimento d’avanguardia circoscritto soltanto all’ambito letterario, ma con una quantità smisurata di manifesti, appelli e conferenze, ha proposto nuove e mai esplorate strade per tutte le arti, ha avuto una chiara posizione politica[3], ha cercato di stabilire una sua morale e un nuovo senso del vivere. Tra i manifesti futuristi più significativi, dov’è proprio stabilito cosa vuol dire essere futurista, vi è quello di Filippo Tommaso Marinetti pubblicato su «Le Figaro» nel 1909.
Dalla lettura del manifesto si evince immediatamente un elogio all’eroismo bellico e un assoluto disprezzo per il sentimentalismo romantico. Ormai i tempi sono cambiati, sono maturi affinché avvenga un superamento di quel romanticismo che tanto aveva animato il secolo precedente. Non vi era più quel sentore romantico, non vi era più spazio per inutili sentimentalismi, era tempo di agire. Si punta a una nuova categoria estetica che sostituisca il languore “antiquario” dell’arte dei secoli precedenti. Non si può più guardare al passato, è tempo di rivolgersi al futuro, l’oggi è allo stesso tempo presente e futuro[4].
I futuristi a differenza di D’Annunzio e dei crepuscolari, si rendevano conto che la strada già imboccata dalla società europea e, sia pure con netto ritardo dall’Italia, era quella della rapida industrializzazione. In una temperie culturale come questa non poteva esservi spazio per la commemorazione malinconica della gloria passata, sia essa classica (neoclassicismo) o medievale (romanticismo)[5]. Era ora di rivolgere l’attenzione al protagonista incontrastato dei successivi cento anni: la macchina.
Di pari passo con la macchina nasce una nuova “bellezza”, utilizzando proprio le loro parole, la velocità: «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità; un automobile da corsa col suo cofano adorno da grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo»[6]. La velocità ormai permea ogni cosa, dalle nuove masse urbane all’auto, il mondo rurale e contadino che segue i ritmi della natura e delle stagioni è ormai al tramonto e per questo nuovo tipo di mondo serve una nuova tipologia di uomo: l’Uomo futurista.
Sin dal garzonato liceale a Cagliari e poi universitario a Torino, Gramsci fu sempre estremamente attratto dalle novità che la poesia di quel tempo forniva. Egli fin da subito avvertì il provincialismo e la degenerazione di una letteratura di consumo come quella italiana. Questo Gramsci affermava della letteratura dell’epoca: «buona tutt’al più a procurare nei giorni di grasso una tranquilla digestione alle trippe dei buoni borghesi»[7]. In questo passo l’intellettuale si rivolge ai romanzi alla moda di Sem Benelli, Ettore Moschino e Luciano Zuccoli. Attacca inoltre la vecchia letteratura, che mostra tutta la sua vuotezza, ricevendo gli attacchi dai futuristi senza neanche scomporsi. Al contrario l’Intellettuale sardo apprezza le poesie e le prose dei futuristi quali Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni e Paolo Buzzi. Questo scriveva di loro in I futuristi, in Corriere Universitario: «ciò che di meglio la letteratura poetica odierna può offrire alla storia, ciò che assolverà dinanzi alle generazioni future tutti i milioni d’imbecilli che sporcano carta»[8]. Inoltre, lo studente sardo colse pienamente la rottura dei futuristi con il passato, prima con il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, poi con la composizione marinettiana Adrianopoli assedio orchestra del 15 marzo 1913.In quest’ultima, Marinetti utilizza una sintassi ellittica, i cui modi e ritmi sono quelli della lingua parlata, spesso mancante di verbi e ricchissima di combinazioni verbali a ruota libera, con interazioni e frasi martellanti che vanno a scandire i ritmi di tutta la composizione. Questa è una forma di espressione linguistica che ha «il suo perfetto riscontro nella forma pittorica di Ardengo Soffici o di Pablo Picasso ed è anch’essa una scomposizione in più piani dell’immagine»[9]. Per alcuni anni Gramsci smise di interessarsi di Marinetti, tornò però a parlare di lui l’11 febbraio del 1918 in corrispondenza del primo abbozzo del programma del Partito politico futurista italiano. La sintesi delle parti essenziali del nuovo programma politico è seguita da un commento particolarmente attento alle istanze liberali della rivoluzione futurista: «Sfrondato delle amplificazioni verbali, delle imprecisioni di linguaggio, di qualche lieve contraddizione…il programma liberale che i nipoti di Cavour avrebbero dovuto realizzare per i migliori destini dell’Italia»[10]. La serietà dell’intellettuale sardo, sinceramente preoccupato dei problemi politici, culturali e morali, scatenati con il Primo conflitto mondiale, è rallentata e urtata dalla superficialità con cui l’opinione pubblica italiana si pone davanti all’«ingresso nella vita sociale di relazione di masse vergini all’esercizio del pensiero e della ragione»[11]. I giovani stanno degenerando, non leggono più giornali, l’unica eccezione è costituita dai futuristi. Nonostante una profonda avversione per il marinettismo deteriore e provinciale, persiste da parte dell’intellettuale sardo un nutrito interesse per la portata innovatrice del futurismo, in particolare per la performance futurista, la quale cerca di dare risposte ad esigenze vitali dell’uomo. Proprio da qui origina la stima di Gramsci per le provocazioni e l’attività distruttiva dei futuristi nel campo della cultura borghese ufficiale, sino ad ammettere che essi, nel rivendicare forme di arte, di filosofia, di costume, aderenti alla nuova vita tumultuosa della società di massa. Di essi egli dice: «hanno avuto una concezione nettamente rivoluzionaria, assolutamente marxista, quando i socialisti non si occupavano neanche lontanamente di simili questioni, quando i socialisti certamente non avevano una concezione altrettanto precisa nel campo della politica e dell’economia, quando i socialisti si sarebbero spaventati (e si vede dallo spavento attuale di molti di essi) al pensiero che bisognava spezzare la macchina del potere borghese nello Stato e nella fabbrica»[12].
[1] L’Autore è Istruttore direttivo presso la Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.
[2] Parlare di movimento letterario, artistico e culturale è riduttivo, in quanto il futurismo, nella mente di chi lo ha concepito, doveva permeare tutti gli ambiti della vita, della quotidianità. Il futurismo doveva essere un modo di essere e non di interpretarsi.
[3] Ebbe sempre una ferma opposizione alla democrazia, in contrasto con tutte le riviste fiorentine dell’epoca.
[4] S. Guglielmini, Guida al novecento, Milano, Editore G. Principato, 2014, pp. 94-95.
[5] A. Mosero, Futurismo, Milano, Skira, 2019, p. 112.
[6] F. T. Marinetti, Primo manifesto, cit.
[7] A. Gramsci, I futuristi, in Corriere Universitario, Torino, anno I, n. 8, 20 maggio 1913.
[8] Ibidem.
[9] A. Gramsci, I futuristi, cit. p. 7.
[10] A. Gramsci, Cavour e Marinetti, in Grido del Popolo, Torino, n. 712, 16 marzo 1918.
[11] A. Gramsci, Le riviste dei giovani francesi, in Il Grido del Popolo, Torino, n. 712, 16 marzo 1918.
[12] A. Gramsci, Marinetti rivoluzionario?, in L’Ordine nuovo, Torino, anno I, n.5, 5 gennaio 1921, p. 2.
23 giugno 2024 alle 20:06
Il tanto vituperato Medioevo era un bel fiore in confronto al quel grande mostro delle dittature del XX secolo.