
«“Morte di Dio” […] significa concretamente che non è più la differenza a dovere rendere conto di sé al tribunale dell’identità né la libertà al tribunale della verità né la molteplicità al tribunale dell’unità né, infine, il finito al tribunale dell’infinito. Sono, ora, l’identità, la verità, l’unità, l’infinito a dovere dare ragione di sé dinanzi all’istanza della differenza, della libertà, della molteplicità e del finito»
Mi è capitato recentemente di pensare questo simpatico neologismo: “teonicea”. Perché la filosofia occidentale è intrisa dell’interrogativo sulla giustizia di Dio, di come questa possa al proprio interno prevedere il Male: “Perché il Male?”, è la domanda a cui si cerca una disperata risposta.
Eppure, mi sovviene, quanto è poco importante una tale questione? Sicuramente il dolore e la sofferenza saltano all’occhio appena lo si fa viaggiare oltre il proprio naso – ma qualora li comprendessimo, cosa cambierebbe? Allora mi chiedo, per provocare: perché non si è mai andati oltre? Chissà che la domanda da porsi non fosse “perché il Male?”, ma: “perché il Bene?”.
Quale soddisfazione si potrebbe trarre da una perfetta conoscenza dell’origine del male, qualora non sapessimo nulla sul bene?
La grande umanità non danza sopra al male per via dei saggi schemi che lo imbrigliano nell’ordine cosmico o nella catena infinita delle causalità, o nella meno impegnata contingenza, ma perché ad essa il proprio Bene conferisce una forza così traboccante da superare ogni dolore e ogni sofferenza senza rendersi neppure curiosa di indagare più a fondo. “È così” – è sufficiente. Ma qual è questo Bene? Se si perdesse questo di vista, se la gioia venisse ridotta a qualche sporadico momento di euforia e se la beatitudine si trasmutasse in un semplice riposo temporaneo tra una fatica e un’altra, come potremmo farci carico di tutta la sofferenza nel mondo?
Credo fermamente che anche la più infelice delle anime abbia trascorso almeno un istante di vero Bene e di vera felicità – in quell’istante l’esistenza acquisisce un senso e una direzione, la fatica e il dolore sono giustificati, e l’unico sentimento che sgorga è il più profondo amore, gravido di azioni eroiche e ricco di gesti stupefacenti. Ma se questi stessi istanti perdessero il proprio significato, un denominatore in comune, una ragione ad essi intrinseca, e se fosse sufficiente alzare il dito del dubbio per distruggere il loro dominio sull’esistenza, che cosa ahimè rimarrebbe?
Quello che voglio dire, fronzoli a parte, è che non esiste nulla di sufficientemente grande davanti al Male se non il Bene. Non c’è piacere o euforia, se isolato, che tenga, che renda evidente il non-dominio del Male sul mondo.
Ma ecco che, nel fare questi ragionamenti, si staglia nella mia mente una Colonna marmorea: essa è il fondamento della Vita, colei che dà senso e possibilità di esistere al tempio che erigerò in vita. Senza quella, tutto è disperazione e lutto. Ma con essa, il futuro vince sul passato e illumina il presente.
Per me ha un chiaro significato, tutto ciò, ma gli attributi da darle, paradossalmente, sono una questione successiva: è intanto necessario comprendere la profonda essenzialità di una Colonna. “Perché il Bene?”, ecco come bisognerebbe di continuo interrogarsi. Ecco che il Bene risulta un mistero oscuro, di grandezza quasi spaventosa, che non si lascia avvicinare di fretta né accarezzare da una mano sgarbata, ma che va studiato, indagato, scoperto con pazienza. E piano piano i blocchi di marmo si accatastano in maniera confusa e poi più precisa, e infine – la colonna e là. Com’è possibile pensare di costruire qualsiasi palazzo, senza una colonna che tenga in piedi il tutto?
Quante colonne sono rimaste oggi? Quante non sono crollate? Non importa. Ce ne sono, e forse ce ne saranno sempre. Ciò che mi appare lampante è che, qualunque essa sia per gli uomini, rappresenta il fondamento di ogni cosa; non solo il Bene, ma la sua stessa origine, la sua essenza, il senso e il perché del Bene. In sostanza, è ciò che definisce la nostra vita – ma anche la Vita universale: come potrebbe, infatti, una grandezza simile, non avere portata infinita? Come potrebbe reggere una vita, se non regge l’Universo?
Padre, se solo si arrivasse a questo punto! Il passo poi è breve. Che importa se poi non viene chiamato col Suo nome? È già. Eppure la sorte è bislacca: in ogni momento e in ogni dove si innalzano colonne di cartapesta, fragili al vento e al loro stesso peso. Ma la solidità viene derisa, e così la forza. Amo l’Uomo temerario e intrepido, dallo sguardo di cristallo misto a fuoco, inamovibile dal proprio destino. La colonna cristiana è l’unica a permettere, ma, non solo, a inneggiare al titanismo: che l’uomo si faccia immagine di Dio, anzi, Dio stesso! E così in Occidente non c’è più limite all’individuo – ma! Cosa manca?
È venuto meno il fondamento, è con esso l’uomo: un Dio senza Dio, un’immagine vuota di sé stesso; un titano che, senza Olimpo da scalare, rantola nei capricci e nella hybris. Se è vero che il contrario di uno Stato cristiano è uno stato vecchio e triste, come siamo atei, oggi! Cos’è, poi, la vecchiaia? Uno stato in cui il passato ha il predominio sul futuro? Allora nasciamo già decrepiti, dacché non sappiamo neanche più cosa significhi futuro, noi cittadini del mondo senza confini e dalla storia terminata. Peggio: non abbiamo più neppure idea del passato. Barcameniamo noi stessi inconsapevoli dell’età, come vecchi che festeggiano da giovani, tra cadenti anziane imbellettate e monsignori con parrucchino e riporto.
Pochi metri di marmo, la presenza di un Bene, di una gloria e di una vittoria divina – ed ecco, gli uomini tornano concordi. Ma nel tetro solipsismo si perde perfino la lotta per la supremazia, la sana competizione che crea l’uomo superiore, l’amor di popolo che spinge l’umano a donare sé stesso, e ancor di più, per i suoi compagni. La guerra cessa di essere tale, perché senza la Gloria cos’è la guerra? E tutto diventa corsa. Corsa al benessere, al piacere, al riconoscimento altrui. È forse una mandria impazzita meno violenta di un esercito?
Poi arriva l’uomo di successo (giacché non si parla ben più di virtù o nobiltà), e così nasce il veleno più sordido e tipico: l’invidia; perché sappiamo che tutto ciò che egli ha ottenuto l’ha ottenuto solo per sé, lo sappiamo perché il nostro obiettivo è perfettamente il medesimo. Poiché lui ci è riuscito dovrei farcela anch’io – ma dove sono i miei premi? Dev’esserci stato un inganno, una furberia… E il seme del risentimento già ha germogliato i propri rovi ovunque. Dove il mio è solo mio e mi sforzo di piacere esclusivamente a me stesso e, al massimo, agli altri, non può esserci un Capo – meno che mai un Popolo di Capi! – ma solamente tiranni poco competenti. Solo nel riconoscere la Grandezza in sé stessa le si dà la possibilità di esistere senza essere soffocata da sete di vendetta. E se un uomo è Grande… esprimo la mia gratitudine e mi inginocchio, poiché egli è davvero immagine di Dio. Solo davanti a Lui possiamo essere noi stessi déi.
Parlo di nike, di vittoria, perché la convinzione è che la Forza e la Gloria siano più importanti della Giustizia, e anzi ne siano i presupposti fondanti. Si è parlato del soldato cristiano: ma che ne è dei guerrieri? Svanì purtroppo l’eroismo a cui lo Spirito è chiamato nell’essere Figlio. Non fa calcoli chi vive con Dio, cammina sopra le onde sul suo sentiero, ma ogni notte si guarda le mani che compiono le opere, e scruta l’orizzonte, e il Volto del Padre. Per questo prega: l’ardore di parlare la Parola! Il confine con la morte è tenue. Ma, ecco!, s’insinua nel cuore, in un attimo di debolezza, una convinzione: non si troverà il Bene se si cerca con gli occhi, non si scorgerà il Bello volendo rimanere stupefatti – non si può davvero forzare l’Amore a nascere; ma se lo sguardo si farà meno curante e più infantile, e se anche per un istante l’autoconservazione abbasserà le sue difese, allora anche il più duro dei cuori potrà colmarsi di meraviglia, e realizzare: di Bene ce n’è, in questo mondo, e il mondo ne è straripante, e non c’è altro in vero, per tutta la vita, per tutte le vite. Cinge ogni bene l’orizzonte: in coperta!